MONDO SALUTE

La guerra dei vaccini

In questi giorni è balzato – ancora una volta – agli onori della cronaca il dibattito sui vaccini. Si discute sull’emendamento proposto al disegno di legge 770 - Disposizioni in materia di prevenzione vaccinale che di fatto abroga il caposaldo della legge Lorenzin. Secondo quanto proposto infatti verrebbe meno l’obbligo di presentare la certificazione vaccinale per accedere ad asili nido e scuole dell’infanzia: “la presentazione della documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni – recita l’emendamento – non costituisce requisito di accesso al servizio, alla scuola, al centro ovvero agli esami. Altresì, la mancata presentazione della documentazione comprovante l'effettuazione delle vaccinazioni non determina la decadenza dall'iscrizione né impedisce la partecipazione agli esami”. Dell’argomento abbiamo parlato con Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità che il 6 aprile con Walter Ricciardi discuterà di queste tematiche al Festival della salute globale a Padova, con un intervento dal titolo La guerra dei vaccini.


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In scienza e coscienza chiunque di noi – afferma Rezza – non può che essere favorevole ai vaccini. Per quel che riguarda l’obbligo, invece, siamo di fronte a una situazione più complessa. Ci sono molti Paesi, come quelli del nord Europa, il Regno Unito in cui non esiste obbligo vaccinale eppure si riesce a mantenere alte le coperture vaccinali. Nel sud Europa, a esclusione della Spagna, e in Italia invece serve ricorrere all’obbligo. In ogni caso, l’importante è mantenere elevate le coperture: l’obbligo vaccinale può talora costituire un mezzo per accelerare il recupero delle stesse, come è avvenuto nel nostro Paese”. Secondo Rezza sarebbe giusto fare a meno dell’obbligo, perché il vaccino dovrebbe essere percepito come un diritto e non come un dovere, ma quando l’alfabetizzazione scientifica della popolazione è bassa a volte bisogna ricorrere a misure straordinarie.  

“Chiaro che poi sono necessari alcuni requisiti fondamentali come le anagrafi vaccinali elettroniche in grado di monitorare costantemente le coperture vaccinali e di identificare eventuali situazioni critiche, come può essere una scuola o una classe con un bambino immunodepresso e bambini non vaccinati. In questi casi bisognerebbe intervenire con tempestività e lo si può fare solo laddove ci siano dei registri molto efficienti. Questo già avviene in Veneto, in Puglia, ma non accade in molte altre regioni italiane. L’argomento è molto complesso e non credo che l’emendamento cambi molto rispetto a quella che è l’ispirazione del disegno di legge 770 che tende a superare l’obbligo o quantomeno a instaurare un obbligo cosiddetto flessibile”.


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Sui vaccini girano molte false notizie, soprattutto on line. L’esempio più clamoroso è il legame tra vaccini e autismo, che è stato difficile combattere nonostante le molte evidenze scientifiche che dimostrano il contrario. I vaccini sono vittima del loro stesso successo, secondo Rezza, dato che diminuiscono l’impatto delle malattie infettive contro cui si vaccina e questo abbassa la percezione del rischio nella popolazione. A ciò si aggiunga la riluttanza a compiere un atto medico su una persona sana. Non da ultimo si assiste in Italia a una perdita del principio di autorità, a una sfiducia non solo nei confronti degli operatori sanitari, dei medici, degli scienziati in genere, ma anche nei confronti di politici e magistrati. Nonostante sia evidente che grazie alla scienza siano stati fatti numerosi progressi – è aumentata, ad esempio, la durata media della vita e la qualità di vita con l’impiego di nuovi farmaci e vaccini –, si è diffusa una cultura antiscientifica che spinge spesso a fare ricorso a terapie alternative rispetto alla medicina tradizionale. È, questo, un problema soprattutto delle società avanzate, dato che non esiste questa diffidenza nei Paesi in via di sviluppo.

Come agire dunque? “È difficile che si possa innalzare il livello di alfabetizzazione sanitaria in un Paese dall’oggi al domani. Ciò che si potrebbe fare è intervenire sugli operatori sanitari, dato che molti medici e infermieri non danno il buon esempio: contro l’influenza si vaccinano solo uno su quattro. Serve invece far vedere che si crede alla vaccinazione. Bisogna aumentare la cultura vaccinologica negli operatori sanitari, perché troppo spesso invece è bassa. E rendere più efficienti i centri vaccinali, perché bisogna garantire un accesso rapido alla vaccinazione. Ma il requisito principale restano le anagrafi vaccinali in grado di identificare immediatamente le criticità”.  

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