MONDO SALUTE

Immunità di gregge, Viola: “Si raggiunge attraverso la vaccinazione”

Secondo quanto dichiarato alcuni giorni fa da Michael Ryan, direttore esecutivo del programma per le emergenze sanitarie dell'Organizzazione mondiale della Sanità, il virus Sars-CoV-2 avrebbe infettato circa 770 milioni di persone in tutto il mondo, 20 volte il numero dei casi attualmente confermati. “Le nostre migliori stime attuali – ha dichiarato Ryan, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera – ci dicono che circa il 10% della popolazione mondiale potrebbe essere stata infettata da questo virus. Varia a seconda del Paese, tra città e campagne, e varia a seconda dei gruppi. Ma ciò significa che la maggior parte del mondo rimane a rischio. Stiamo entrando in un periodo difficile. La malattia continua a diffondersi”. Considerazioni, queste, che spingono a fare alcune riflessioni anche sulle attuali conoscenze intorno al tema della risposta immunitaria a Sars-Cov-2 e a interrogarsi sulla possibilità di raggiungere (e in che modo) la tanto discussa immunità di gregge. Argomento che, di nuovo, torna sotto i riflettori.

Che i casi di infezione da Sars-Cov-2 siano superiori a quelli conteggiati è noto, come ha dimostrato del resto anche l’indagine di sieroprevalenza condotta dall’Istat e dal Ministero della Salute sulla reale diffusione del virus nel nostro Paese. Lo studio, sottolinea l’immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica di Fondazione Città della Speranza, ha dimostrato che il numero reale di infezioni da Sars-Cov-2 nel periodo critico era sei volte maggiore rispetto ai casi confermati. “Tale numero – osserva – potrebbe essere anche un po’ più alto, perché si deve tener conto della sensibilità del test, del fatto che alcune persone potrebbero aver avuto una forma lieve e quindi non aver sviluppato anticorpi, o ancora che gli anticorpi potrebbero aver avuto già un titolo basso”. Dunque, secondo la docente, è plausibile supporre che nel nostro Paese il numero delle persone che sono venute in contatto con il virus possa essere considerato maggiore anche di dieci volte rispetto ai dati ufficiali. È difficile calcolare cosa stia succedendo invece nel resto del mondo, dato che in molti Paesi la quantità di tamponi processati è bassa e magari può esserci un’ampia circolazione di asintomatici. Viola ritiene che, a livello mondiale, sicuramente i casi di infezione da Sars-CoV-2 potrebbero essere dieci volte quelli ad oggi noti. Il numero di casi stimato dall’Organizzazione mondiale della Sanità è estremamente elevato, secondo l'immunologa, ma se è stata avanzata questa ipotesi probabilmente esistono dei dati che servirebbe esaminare.

Guarda l'intervista completa all'immunologa Antonella Viola, direttrice scientifica della Fondazione Città della Speranza. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Tutto ciò fa emergere quanto sia ancora ampio il numero di individui suscettibili alla malattia e lontana la tanto agognata immunità di gregge. Nei giorni scorsi non sono passate inosservate le dichiarazioni del presidente degli Stati Uniti Donald Trump che, dopo aver contratto il virus Sars-CoV-2, si è ora proclamato immune alla malattia. Ha “cinguettato” il suo messaggio su Twitter, e il post non è passato inosservato tanto da essere stato segnalato sul social media (sebbene non cancellato) per aver violato le regole “sulla diffusione di informazioni fuorvianti e potenzialmente dannose su Covid-19”.   

Proprio di risposta immunitaria a Sars-CoV-2 abbiamo parlato con la professoressa Viola. “Gli anticorpi – spiega la docente – vengono prodotti in quasi tutte le persone che contraggono la malattia, ma la loro durata non si mantiene a lungo nel tempo, c’è una rapida caduta del titolo anticorpale, cioè della concentrazione degli anticorpi in circolo, nel sangue, che avviene intorno ai tre mesi. Quindi si stima che la durata degli anticorpi (di un titolo anticorpale alto) sia più o meno di alcune settimane, intorno ai tre mesi.  Ciò non significa che non ci sia immunità, perché in qualche modo è anche atteso che gli anticorpi diminuiscano, dato che non in tutte le infezioni si mantiene un titolo anticorpale elevato o costantemente alto per lungo tempo.  Quello che è necessario capire è se si è sviluppata la memoria immunologica, cioè se si sono generate quelle cellule che ricordano l’esposizione al virus e che, quindi, in una successiva esposizione saranno in grado di attivarsi e di produrre anticorpi, oppure di andare a eliminare le cellule infettate dal virus. E sappiamo che l’immunità cellulare è presente in questi pazienti”. Viola spiega che esistono due tipi di immunità: un’immunità umorale, che è basata sulla produzione di anticorpi, e un’immunità cellulare che, nel caso del virus, è basata sulla produzione di linfociti citotossici, in grado di andare a eliminare le cellule infettate dal virus. “Quando il virus entra nel corpo, ha bisogno di entrare nelle cellule per replicarsi. Se, quindi, vengono eliminate le cellule in cui è entrato il virus, questo non si può replicare e l’infezione non prosegue. Ciò che stiamo cercando di capire è se questa risposta all’infezione mediata dai linfociti T si mantenga nel tempo, più a lungo di quanto faccia il titolo di anticorpi”.

Ci si può riammalare?Sono documentati casi (pochi) di seconda infezione – riferisce l’immunologa –. Ci sono dei pazienti che si sono ammalati una prima volta e, a distanza di pochi mesi, hanno contratto la malattia di nuovo. Molti medici hanno raccontato di persone con una seconda infezione, ma solo in alcuni casi si è potuto dimostrare che non si trattava di persistenza del virus, ma di soggetti che effettivamente si erano ammalati una seconda volta. Quindi sì, ci si può reinfettare. È comune che questo accada? Non lo sappiamo, finora possediamo davvero pochissimi casi dimostrati e quindi per il momento possiamo considerarli casi singoli e non la regola. Attualmente vale l’idea che, se non altro per alcuni mesi, l’immunità riesca a proteggerci”.

Quando poi si raggiunge una determinata soglia di persone, che sono state esposte al virus e hanno sviluppato una risposta immunitaria che si mantiene nel tempo, si parla di immunità di gregge o di immunità di comunità.  “Si crea, quindi – sottolinea Viola –, una barriera naturale alla circolazione del virus, ed è ciò che si cerca di ottenere utilizzando i vaccini”. Calcolare la percentuale di popolazione necessaria a raggiungere una efficace immunità di gregge non è facile, osserva la docente, “perché si devono prendere in considerazione tanti aspetti dell’infezione, innanzitutto R0 del virus: se noi ci basassimo solo su questo valore, potremmo dire che l’immunità di gregge, in questo caso, si raggiunge con il 60-65% della popolazione”. L’immunologa, tuttavia, precisa che ci sono anche molte altre variabili di cui tener conto, come il ruolo degli eventi di superdiffusione, la variabilità individuale all’infezione, la suscettibilità e anche la capacità di trasmettere il virus (possono esserci o meno soggetti che agiscono da superdiffusori per caratteristiche biologiche). “Tutto ciò complica molto il calcolo preciso della soglia dell’immunità di gregge. Per questo, qualcuno ritiene che possa essere molto più bassa del 60% nel caso di Sars-CoV-2, e che si possa collocare anche intorno al 40%. Volendo essere conservativi, potremmo dire che la soglia che ci potrebbe far stare più tranquilli si situi tra il 50-60%. Il problema è che tale soglia è ancora molto lontana”.

Su gran parte del territorio italiano, osserva la docente, l’indagine sierologica ha rilevato una bassa prevalenza della malattia, in alcune zone del sud Italia inferiore all’1%. “È davvero impensabile, quindi, poter superare questa situazione lasciando circolare il virus e lasciando contagiare il 60% della popolazione, perché questo significa avere persone ricoverate, in terapia intensiva e i morti a seguire. Circa un 20% delle persone avrà difficoltà, un 15% avrà serie difficoltà e una percentuale variabile, a seconda delle fasce di età, morirà di questa malattia”. Non si può considerare dunque, secondo la docente, di raggiungere l’immunità in questo modo: “L’immunità di gregge si raggiunge attraverso la vaccinazione”.  

È un argomento, questo, ampiamente discusso e che di tanto in tanto riemerge. Ha suscitato ampio dibattito in questi giorni la cosiddetta Dichiarazione di Great Barrington con cui un nutrito gruppo di scienziati di tutto il mondo sostiene un approccio di “protezione focalizzata”: viene proposto, cioè, di lasciar circolare il virus tra la popolazione giovane senza imporre restrizioni, proteggendo invece le fasce più a rischio. Questo favorirebbe l’insorgere di un’immunità naturale attraverso l’infezione di persone che hanno basse probabilità di contrarre la malattia in forma grave. Il documento (che, va detto, contiene anche nomi fasulli) non ha tardato a richiamare su di sé le critiche della comunità scientifica.

Consentire a un virus pericoloso che non comprendiamo appieno di circolare liberamenteha dichiarato il direttore generale dell’Organizzazione mondiale della Sanitàè semplicemente immorale, non è etico e non è un’opzione”.

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