SCIENZA E RICERCA

Inquinamento bianco: i pericoli delle microplastiche nei suoli

È ormai diffusa la percezione che stiamo creando “un mondo di plastica”. Le materie plastiche sono ovunque, e hanno rivoluzionato moltissimi aspetti della vita quotidiana grazie alla loro versatilità. Tuttavia, esse portano con sé un rischio: essendo materiali di sintesi, prodotti in laboratorio, non si degradano in natura, dove non esistono enzimi in grado di “digerirle”. La loro massiccia dispersione negli ecosistemi, dovuta soprattutto al nostro smodato utilizzo di imballaggi con un ciclo di vita estremamente ridotto, determina un serio rischio per l’ambiente. Sottoposti all’azione degli agenti atmosferici, infatti, gli oggetti di plastica si dividono in parti sempre più piccole: è così che nascono le famigerate micro e nanoplastiche, la cui pervasività e dannosità sono ormai tristemente note.

Nuove evidenze mostrano che le microplastiche costituiscono un pericolo non solo per gli ambienti acquatici, su cui finora si era concentrata la ricerca, ma anche per gli ecosistemi terrestri: è quanto sottolinea un articolo pubblicato su Science, in cui vengono descritti i numerosi danni subiti dai terreni contaminati da microplastiche. Le due principali preoccupazioni riguardano da una parte la modificazione della struttura dei terreni, e dall’altra le possibili alterazioni che un accumulo di microplastiche nei suoli potrebbero generare sulla capacità di questi ultimi, una volta saturi, di sequestrare il carbonio.

A spiegarci la questione è Mario Malinconico, chimico industriale e direttore di ricerca all’Istituto per i Polimeri, Compositi e Biomateriali (IPCB) del CNR di Pozzuoli: “Il carbonio da cui si ottengono i polimeri alla base delle materie plastiche è un carbonio fossile, estratto dagli strati interni della terra, il cui rilascio modifica il bilancio totale di carbonio presente in atmosfera. In questo senso, la plastica ha una funzione di “tampone”, poiché intrappola il carbonio di origine fossile in un materiale durevole. Se non venissero disperse nell’ambiente, le plastiche non creerebbero grossi problemi di inquinamento. Il problema principale riguarda gli imballaggi, compresi i film, le reti e i tessuti-non-tessuti impiegati in agricoltura: tutti questi prodotti plastici vengono scaricati in modo incontrollato nell’ambiente, trasformandosi, attraverso la degradazione causata dagli agenti atmosferici, in microplastiche che entrano nel terreno e interagiscono con la sua struttura, rendendola più porosa”.

Una volta immesse nell’ambiente, le microplastiche interferiscono con i normali cicli vitali, tanto che si parla di un vero e proprio “ciclo della plastica” che genera sull’ecosistema numerosi effetti di retroazione, tra cui – oltre alla modificazione della struttura del suolo e del sequestro di carbonio – un’alterazione dei cicli del fosforo e dell’azoto, componenti essenziali per l’equilibrio dell’intero ecosistema.

La questione catalizza un’attenzione sempre maggiore tanto da parte della comunità scientifica quanto da parte delle autorità istituzionali: nel 2019, con il patrocinio dell’Unione Europea, è stato avviato un progetto congiunto di ricerca (BIO-PLASTICS Europe) focalizzato proprio sulla comprensione dei rischi e sull’individuazione di possibili soluzioni all’inquinamento da microplastiche.

“Si tratta di un problema globale – nota Malinconico – e nel cercare una soluzione non ci possono essere barriere: ne è ben consapevole l’Europa, che infatti ha incluso in questo progetto anche un partner cinese. Il caso della Cina, ad esempio, è particolarmente interessante: il Paese è alle prese con il fenomeno della white pollution, l’inquinamento dei suoli causato soprattutto dal crescente utilizzo di film plastici nell’agricoltura intensiva. Si pensi che in alcuni terreni si è misurata la presenza di una tonnellata di microplastiche per ettaro, laddove 10 anni fa erano 200 kg. Queste microplastiche hanno causato la desertificazione dei terreni contaminati: la loro presenza (entrano in profondità nel terreno) impedisce il corretto drenaggio, e dunque inibisce gli scambi idrici tra le parti superficiali e profonde del suolo. Il governo cinese è intervenuto, recentemente, vietando l’utilizzo di film plastici troppo sottili (con spessore inferiore ai 5 micron, laddove in Europa la minima misura consentita è di 12 micron), impossibili da recuperare alla fine della stagione agricola.

L’unica possibile soluzione, al di là dei singoli provvedimenti, è la cooperazione: un simile problema deve essere affrontato da istituzioni dotate di credibilità internazionale come l’OCSE, l’ONU, l’International Science Council, capaci di indicare linee d’azione comuni. È necessario adottare un approccio olistico: abbiamo bisogno di una visione globale per risolvere problemi locali”.

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