SOCIETÀ

L'Europa indecisa sui Balcani

“In un momento in cui l’ordine internazionale fondato sulla legge è sempre più messo in discussione – dichiara Ursula von der Leyen –, un’Europa più larga e più forte dà certamente più valore alla nostra voce nel mondo”. Così lo scorso 8 novembre è stato varato il nuovo pacchetto di allargamento Ue; in attesa del Consiglio Europeo del 14 e 15 dicembre, proviamo a fare il punto della situazione con Luisa Chiodi, direttrice dell'Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa di Trento, think-tank che si occupa di analizzare le trasformazioni sociali, politiche e culturali che caratterizzano le aree dell’Est-Europa, dei Paesi balcanici e di quelli post-sovietici.

L’attacco di Putin ha infatti impresso per reazione un'accelerazione al processo di adesione di Ucraina, Moldavia e Georgia, generando al contempo una serie di malumori in chi da oltre un decennio attende il suo turno per entrare (Albania, Bosnia, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia). “Al momento l’Ue non appare però pronta a un nuovo allargamento. È già quasi impossibile prendere decisioni all'unanimità in 27, figuriamoci in 36”, spiega Chiodi a Il Bo Live prima del seminario organizzato nell'ambito dei corsi di laurea magistrale in Relazioni Internazionali e Diplomazia e Human Rights and Multilevel Governance del Dipartimento Spgi dell’Università di Padova.

Al momento quindi non ci sono scadenze in vista?

“Scadenze assolutamente no, si parla di tappe relative a un processo comunque molto articolato. Del resto, anche i Paesi che entrarono nel 2004 e nel 2007 aspettarono almeno una decina d'anni: pensate solo alla difficoltà di introdurre nel proprio ordinamento centinaia di migliaia di norme che l'Unione Europea ha emanato nei decenni precedenti e quelle che nel frattempo continua a sviluppare. Un percorso lungo e faticoso al quale ci si presta volentieri se si hanno possibilità reali di entrare nell'Unione Europea, come è stato per la Croazia nel 2013; il problema è che negli ultimi anni agli aspiranti è stato detto di fare comunque le riforme, senza che però dare la prospettiva di entrare: per fermare tutto bastava che un Paese membro ponesse il veto, magari per questioni puramente formali o di natura ideologica e identitaria”.

Come hanno fatto ripetutamente Grecia e Bulgaria con l’ex Repubblica jugoslava della Macedonia, costretta a cambiare addirittura il proprio nome in Macedonia del Nord. 

“Questioni che hanno poco di sostanza ma con un impatto devastante su un Paese fragile, multietnico, complicato e con un'economia debole. E per il futuro ci sono ancora tanti conflitti da risolvere, se non addirittura più aspri: Serbia e Kosovo riusciranno a stare nella stessa Unione?”.

Su questa situazione come ha impattato l’aggressione russa all’Ucraina?

Prima del 24 febbraio 2022 il processo di allargamento era in crisi nera, in seguito la necessità di dare una risposta alla crisi geopolitica internazionale ha reso necessario che all’Ucraina venisse data una prospettiva europea. Al contrario per i Balcani, che arrancano da vent’anni, la situazione è quasi peggiorata. A causa della competizione che si è generata, con l'Ucraina in particolare, si sono sentiti abbandonati due volte: per aver atteso tutti questi anni e perché intanto Kiev ha ottenuto lo status di candidato in pochi mesi. Qualcuno ha così cercato di forzare un nuovo rilancio, causando però nuovi conflitti, di conseguenza il livello dello scontro si è alzato e con esso anche il livello di instabilità di insicurezza”.

Quando potrà concretizzarsi l’ingresso dei nuovi membri?

“Qualche anno fa si diceva nel 2025, mentre quest’anno il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha parlato del 2030. Personalmente credo che ci vorranno almeno 10 anni, sempre che nel frattempo tutto vada nella direzione giusta. È comunque importante che, passo dopo passo, si continui ad andare avanti in questo lungo processo”.

L’Ue è ancora un mezzo di integrazione economica e politica come negli anni Novanta?

“Come spazio economico è sicuramente ancora un mezzo di integrazione, ma è importante che rimanga anche uno spazio di diritti; la grande difficoltà è riformare i meccanismi decisionali, perché attualmente la necessità dell’unanimità di tutti gli Stati membri sulle decisioni principali ne rende in prospettiva impossibile il funzionamento”.

L’ingresso nell’Ue dei Paesi Balcanici potrebbe essere la chiave per sanare i conflitti nella regione?

“Abbiamo sperato tanto che fosse la strada per una riconciliazione, come del resto lo era stato per i Paesi appartenenti al nucleo originale dell'Unione. Purtroppo finora non è stato così, anche perché, da parte nostra, rallentamenti e lentezze hanno creato meno impulso, meno spinta in quella direzione. Certo, localmente fino a pochi anni fa ci sono stati conflitti atroci, per elaborarli serve ancora tempo. Speriamo che l’Unione Europea riesca a mantenere il ruolo di mediatore e che in futuro si riesca con pazienza a fornire a questi Paesi una prospettiva chiara per uscire da un conflittualità così terribile, che solo in Bosnia, ricordiamolo, ha causato 100.000 morti”.

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