SOCIETÀ

In Medio Oriente torna a salire la tensione tra Israele e Palestina

Fine di qualsiasi accordo con Israele e Stati Uniti. E tensione che torna ben oltre i livelli di guardia tra Ramallah e Gerusalemme. Il presidente palestinese Abu Mazen reagisce con forza all’escalation (verbale, per ora) innescata dal premier israeliano Netanyahu che spinge sull’acceleratore del programma di annessione di parte dei territori occupati nella Valle del Giordano e degli insediamenti ebraici in Cisgiordania, sulla base di quanto previsto dal piano “di pace” proposto a gennaio dal presidente americano Trump. «L’Organizzazione per la liberazione della Palestina e lo Stato della Palestina sono da oggi esentati da tutti gli accordi e le intese fin qui raggiunte con i governi americano e israeliano e da tutti gli obblighi ivi previsti, compresi quelli di sicurezza», ha dichiarato Abu Mazen all’agenzia di stampa palestinese Wafa. «Le annessioni costituiscono gravi violazioni e crimini di guerra», prosegue il presidente palestinese. «Israele deve assumere gli obblighi e le conseguenze di Paese occupante sulla base del diritto internazionale e umanitario, in particolare della Quarta Convenzione di Ginevra: responsabilità sulla sicurezza della popolazione civile, divieto di punizioni collettive, del furto di risorse, dell’annessione di terra e di trasferimenti di popolazione dall’occupante agli occupati».

Quella di Abu Mazen è una chiamata internazionale alla responsabilità e alla vigilanza, l’ennesimo Sos lanciato all’Onu, alle potenze arabe, all’Unione Europea, a chiunque abbia ancora voglia di ascoltare e di guardare da vicino cosa sta accadendo in quella terra martoriata da oltre settant’anni di conflitto. Una chiamata che contiene una minaccia, pronunciata in un successivo discorso in tv: «Nessuno dovrebbe illudersi di poter sfruttare la situazione globale attuale causata dall’epidemia di coronavirus per violare i nostri diritti nazionali. Abbiamo informato la comunità internazionale, inclusi i governi di Usa e Israele, che non staremo con le mani legate se Israele annuncerà l’annessione di qualsiasi parte della nostra terra. Siamo in guardia rispetto a chiunque possa pensare di attenuare o aggirare la nostra decisione nazionale di stabilire un libero e indipendente stato nel nostro territorio con Gerusalemme est capitale, in linea con le legittime risoluzioni internazionali. Prenderemo ogni decisione e misura per salvaguardare i nostri diritti». 

Onu, Ue, Vaticano: cresce la preoccupazione

La situazione è, come al solito (perfino più del solito), estremamente complessa e delicata. Non sono ancora chiari i tempi e soprattutto i modi con cui l’Autorità Palestinese si allontanerà dagli accordi (i territori palestinesi sono regolati dagli Accordi di Oslo del 1993, con la divisione della Cisgiordania in tre settori distinti). «Stiamo aspettando di vedere come reagirà il mondo all’annuncio del presidente», ha dichiarato un funzionario dell’Olp al Jerusalem Post. «In ogni caso, non prenderemo alcuna misura reale prima che il governo israeliano abbia annunciato ufficialmente l’annessione di parti della Cisgiordania». Sulla questione è intervenuto anche il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Nickolay Mladenov: «Qualunque siano le nostre valutazioni individuali sulla reazione palestinese alla minaccia israeliana di annessione, è un disperato grido di aiuto, un invito all’azione immediata. La leadership palestinese non sta minacciando: chiede un'azione urgente per preservare la prospettiva della pace».

Anche il Vaticano ha espresso preoccupazione “per eventuali atti che possano compromettere ulteriormente il dialogo" tra israeliani e palestinesi. «Il rispetto del diritto internazionale, e delle rilevanti risoluzioni delle Nazioni Unite, è un elemento indispensabile affinché i due popoli possano vivere fianco a fianco in due Stati, con i confini internazionalmente riconosciuti prima del 1967», è scritto in un comunicato firmato da monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per le Relazioni con gli Stati.

La partita di Netanyahu

Il premier israeliano Bibi Netanyahu non sembra aver tempo da perdere (anche per via dei suoi guai giudiziari: il 24 maggio è in programma la prima udienza dei processi a suo carico): forte del nuovo governo d’emergenza varato domenica scorsa in ticket con Benny Gantz, leader di Blu-Bianco, appare estremamente determinato a portare a compimento il piano di annessione dei territori, a partire dal prossimo 1 luglio. Come ha ribadito in occasione della fiducia ottenuta in Parlamento: «Sono regioni dove la nazione ebraica è nata e cresciuta», ha dichiarato. «E perciò è giunto il momento di applicarvi la legge israeliana e scrivere un altro grande capitolo nei registri del sionismo». Sulle annessioni tutti d’accordo: qualche differenza sui tempi di attuazione. Gantz (vicepremier e ministro della Difesa) e Gabi Aschenazi (Esteri) hanno avanzato riserve e auspicato prudenza, anche perché le reazioni internazionali al piano di pace americano sono state tutt’altro che entusiaste. Come quella del re di Giordania Abdullah II, che in un’intervista di pochi giorni fa al quotidiano tedesco Der Spiegel ha annunciato pesanti reazioni in caso Israele proceda con le annessioni. «La soluzione a due stati è l’unica soluzione. I leader che sostengono una soluzione a uno stato non capiscono cosa significherebbe. Cosa accadrebbe se l’autorità nazionale palestinese crollasse? Ci sarebbe più caos ed estremismo nella regione. Se Israele annettesse davvero la Cisgiordania a luglio, porterebbe a un enorme conflitto con il Regno hascemita di Giordania. Non voglio fare minacce, ma stiamo prendendo in considerazione tutte le opzioni. Concordiamo con molti paesi in Europa e con la comunità internazionale che la legge dei più forti non dovrebbe applicarsi in Medio Oriente». E il ministro degli esteri israeliano ne è consapevole: «Attribuisco grande importanza al rafforzamento dei legami strategici con i paesi che hanno sottoscritto con noi accordi di pace, l’Egitto e la Giordania. Sono gli alleati più importanti nell’affrontare le sfide regionali». Ancora nessuna reazione dall’Egitto, un silenzio che sa di attesa. 

L’Unione Europea ha preso una posizione netta. «Grave preoccupazione» per le intenzioni di Netanyahu è stata espressa dal coordinatore della politica estera dell’Ue, Josep Borrell: «Il diritto internazionale è un pilastro fondamentale dell’ordine internazionale, basato su regole. A questo proposito, l’UE e i suoi stati membri ricordano che non riconosceranno alcuna modifica ai confini del 1967 se non concordati tra israeliani e palestinesi». Per poi concludere: «La soluzione a due stati, con Gerusalemme come capitale futura per entrambi, è l’unico modo per garantire pace e stabilità sostenibili nella regione. Dobbiamo aumentare i nostri sforzi e la nostra influenza sui principali attori del Medioriente per evitare che accada qualcosa che non vogliamo». Una presa di posizione non da poco: l’Unione Europea è il principale partner commerciale di Israele.  In concreto, cosa potrebbe accadere? Scrive Paolo Castellano su Mosaicoil sito della Comunità ebraica di Milano: «Dalle parole di Borrell non si è compreso bene quali saranno gli eventuali provvedimenti punitivi dell’UE nei confronti di Israele. Secondo i media israeliani, l’Europa potrebbe rifiutarsi di stipulare nuovi accordi commerciali e di estendere in futuro le sue sovvenzioni nel campo della ricerca. Inoltre, non è chiaro se verranno congelati gli attuali accordi o se saranno cancellati nella loro totalità». Più esplicita la Francia: «Il piano di annessioni in Cisgiordania potrebbe danneggiare i legami di Israele con l’UE». 

Violenze continue nei territori occupati

Mentre il Washington Post, oltre alla cronaca degli eventi, riporta un’interessante analisi che spiegherebbe la fretta di Netanyahu: «Il nuovo accordo di coalizione di Israele prevede che l’annessione possa essere attuata con un voto del gabinetto o del parlamento dopo il 1° luglio, purché abbia l’approvazione dell'amministrazione statunitense. Gli osservatori affermano che la finestra per attuare la misura probabilmente si chiuderebbe se il presidente Trump non riuscisse a vincere la rielezione. E Joe Biden, probabile avversario democratico di Trump, ha ripetuto la sua opposizione all’annessione».

Infine la denuncia-appello di Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che da oltre 60 anni lavora al fianco delle comunità più vulnerabili dei Territori Palestinesi Occupati. Oxfam ha appena presentato il reportViolenza e impunità in Cisgiordania al tempo del Coronavirus”. «Dallo scoppio della pandemia, in Cisgiordania, si registra un’inarrestabile escalation di violenza dei coloni sui civili palestinesi, con 127 attacchi solo dal 5 marzo», scrive l’agenzia cattolica Agensir. «Il Rapporto presenta una serie di testimonianze di abusi, incendi e vandalismicompiuti dai coloni nei confronti delle comunità più vulnerabili della Cisgiordania, in cui vivono quasi 3 milioni di palestinesi e circa 400mila coloni israeliani». Oxfam chiede infine all’Unione Europea di fare pressione su Israele perché garantisca «l’applicazione dello stato di diritto, senza discriminazioni o eccezioni, in merito alle violenze commesse da coloni israeliani ai danni dei palestinesi, delle loro proprietà e dei loro mezzi di sostentamento».

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