La pandemia è ancora in corso ma è già tempo di prepararsi al dopo: rischiamo altrimenti di vanificare 350.000 morti (per ora) e la peggiore crisi economica e sociale degli ultimi 75 anni.
Proprio al prossimo futuro è dedicato l’ultimo libro di Ilaria Capua (Il dopo, Mondadori), nelle librerie dal 26 maggio. La crisi sanitaria – suggerisce la virologa – ci costringe a cambiare “mappa mentale”, riconsiderando molti aspetti del nostro modo di vivere, di produrre e di viaggiare, l’organizzazione della comunità scientifica e dei sistemi sanitari.
“ Siamo stati avvertiti. Se domani scoppiasse una nuova pandemia, dobbiamo farci trovare pronti Ilaria Capua
Tanti i nodi venuti al pettine in queste settimane: c’erano anche prima ma adesso presentano il conto tutti insieme, e non sappiamo ancora quanto sarà alto. Il libro li ripercorre da una prospettiva globale e interconnessa, sviluppata dalla scienziata negli anni passati alla guida dello One Health Center of Excellence dell’università della Florida (ed esposta nella sua penultima pubblicazione: Salute circolare. Una rivoluzione necessaria, Egea 2019). Il ‘cigno nero’ che si è materializzato sotto i nostri occhi comprende i ritardi nella presa di coscienza del pericolo, gli errori e le reticenze nella comunicazione, le falle nella condivisione dei dati. Un tema quest’ultimo particolarmente caro alla scienziata, che nel 2005 – quando lavorava all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Legnaro – con il suo gruppo di ricerca fu la prima a pubblicare la sequenza genetica del virus H5N1 dell’aviaria, caricandola su un database aperto a tutti i ricercatori del mondo.
Proprio la trasparenza sembra essere mancata in questi giorni, con gli Stati impegnati più a contrastarsi in un’improbabile gara per accaparrarsi conoscenze e risorse, piuttosto che a lottare insieme contro la diffusione della pandemia. Per questo sarebbe essenziale imparare dai nostri errori, in vista delle sfide che inevitabilmente dovremo affrontare nei prossimi anni. Nell’ultima crisi ad esempio si sono mostrati pronti soprattutto i Paesi dell’estremo oriente, che nel 2002 avevano dovuto fronteggiato l’epidemia della Sars. Un po’ come i giapponesi, a causa delle caratteristiche geologiche della loro terra, con il tempo sono diventati maestri nel fronteggiare terremoti e tsunami. Ora sarebbe strano se proprio i Paesi occidentali, che sono stati la culla della scienza moderna e i protagonisti degli straordinari progressi tecnologici degli ultimi secoli, avessero perso la capacità di imparare dalla propria storia. “Siamo stati avvertiti – scrive Capua nel libro –. Se domani scoppiasse una nuova pandemia, dobbiamo farci trovare pronti. Per questo è importante cercare di individuare le ragioni delle nostre fragilità”.
L’alternativa è aspettare inermi la prossima botta. Bisogna trovare il modo di tutelare gli ultimi ambienti risparmiati dall’urbanizzazione e dallo sfruttamento: non solo in quanto incomparabili scrigni di biodiversità ma perché contengono ancora chissà quanti virus e batteri sconosciuti, probabilmente ancora più pericolosi del SARS-CoV-2. Bisogna pensare a strumenti e strategie differenziate per proteggere gli strati più fragili della popolazione, a cominciare dagli anziani e da chi soffre già di gravi patologie, il cui numero negli ultimi decenni è aumentato proprio a causa della maggiore ricchezza e dei progressi della medicina.
Lo shock a cui siamo stati esposti potrebbe avere anche aspetti positivi: dovremmo finalmente aver capito che un modello di sviluppo insostenibile è come una macchina lanciata a folle velocità, che però prima o poi va a sbattere. In questi giorni tutti hanno sperimentato quanto possano essere preziose le tecnologie informatiche, sia per il lavoro che per mantenere le relazioni. Anche l’organizzazione del lavoro e del tempo libero potrebbe essere profondamente ripensata, in modo da evitare gli spostamenti non strettamente necessari – limitando inquinamento e sprechi di tempo – e salvaguardare maggiormente la vita personale e familiare.
Un cambiamento di paradigma che potrebbe anche avvantaggiare chi finora è stato sfavorito dall’assetto precedente, a cominciare dalle donne. Proprio le donne che, dai dati disponibili fino a questo momento, sembrano maggiormente resistenti al virus e che per questo, secondo la scienziata, potrebbero avere un ruolo da protagoniste nella ripartenza. “Credo che l’esperienza della quarantena e, in generale, della pandemia, ci abbia mostrato chiaramente quanto insensata sia la dicotomia tra lavoro e cura – scrive la scienziata –. E, soprattutto, quanto insensato sia stato aver bollato la cura come secondaria - e, in quanto tale, appannaggio delle donne”.
Su una cosa invece è lecito dubitare. “Spero con tutto il cuore – scrive ancora Capua – che questa overdose di numeri e nozioni di virologia e medicina, spesso comunicate con troppa superficialità, e l’esperienza appena vissuta favoriscano un maggior desiderio di capire e di sapere. Una maggior sete collettiva di scienza e di conoscenza”. In questo la scienziata riprende un’altra delle sue battaglie, quella per avvicinare la scienza alla cittadinanza. Purtroppo le overdose non sono il modo migliore per risvegliare istinti positivi e i successi della scienza – lo dimostrano proprio le polemiche sui vaccini – possono persuadere solo chi ha già una formazione almeno basilare in merito. La cronaca purtroppo non sopperisce alle mancanze della scuola e della società: le amplifica. L’antiscienza ha solo tirato un attimo il fiato, ma è già pronta a ripartire.
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