SOCIETÀ

La morte dei giganti salentini e il fragile legame tra popolazione, ambiente e paesaggio

L’ulivo è la pianta sacra per eccellenza nel mondo mediterraneo ed è storicamente simbolo di prosperità e benessere sin dall’antica Grecia, dove le coltivazioni di ulivi rappresentavano una parte fondamentale dell’identità culturale del paesaggio e degli abitanti di quelle zone. Nel Salento, la popolazione ha sviluppato un legame profondo con la coltura e la cultura degli ulivi iniziato circa quattrocento anni fa, quando furono abbattute antichissime foreste di querce e lecci per coltivare questi alberi che sarebbero diventati il fulcro della produzione agroalimentare pugliese.

Per questo motivo, l’epidemia di Xylella scoppiata in queste zone nel 2013 rappresenta al momento la fitopatologia più grave in corso in Europa. Il batterio Xylella fastidiosa, che secondo un recente studio è giunto in Italia nel 2008 dalla Costa Rica attraverso alcune piante di caffè, ha colpito più di 6,5 milioni di alberi di ulivo in Puglia e da allora sta causando un gravissimo danno alla produzione olivicola salentina. Il contagio, infatti, non è stato bloccato sul nascere e ha dato il via a una controversia lunga e inconcludente tra scienziati, coltivatori, classe politica e opinione pubblica che ha impedito di intervenire prontamente per rimuovere gli alberi malati e quelli a rischio.

“La diffusione dell’ulivo, nella Grecia antica, coincise con la massima espansione della civiltà. Quanto sta accadendo nel sud della Puglia è forse la metafora del decadimento della nostra modernità?” Questo è ciò che si domanda il giornalista salentino Stefano Martella ne La morte dei giganti, pubblicato da Meltemi editore. Il libro è frutto di un lungo lavoro di inchiesta svolto da Martella per cercare di inquadrare il fenomeno sociale dell’epidemia da Xylella, una catastrofe che ha sconvolto le abitudini, le menti e le coscienze della popolazione. Servendosi dei metodi del giornalismo investigativo e degli strumenti tipici della ricerca sociologica, l’autore ha cercato di svelare e districare i meccanismi complessi alla base del rapporto tra popolazione, natura e territorio e mettere in luce le domande che ancora sono rimaste senza risposte. L’intenzione dell’autore viene chiarita fin da subito nella prefazione a cura del sociologo Stefano Cristante, che definisce il libro di Martella “una sorta di manuale di ciò che può accadere quando si crea la tempesta perfetta tra dicerie, diffusione social-digitale delle opinioni/emozioni e una politica completamente incapace di scelte strategiche e dipendente dal consenso immediato”.

L’inchiesta di Martella non ha soltanto lo scopo di ricostruire le cause e i processi che hanno causato l’emergenza Xylella; l’autore aveva soprattutto la volontà di raccontare quella sorta di isteria collettiva che altrettanto rapidamente si è diffusa tra gli abitanti del Salento. La sua tesi è che il batterio Xylella fastidiosa non si sia accanito solo sugli alberi, ma anche sulle persone, alcune delle quali sembrano spezzate e svuotate proprio come i tronchi degli ulivi millenari sconfitti dalla fitopatologia.

In questo senso, l’indagine sociologica di Martella si concentra sull’analisi di due strette relazioni entrate in crisi: quella tra individui e patrimonio naturale e quella tra cittadini e scienza. Il primo di questi rapporti è causa del lutto ecologico che si consuma quando le persone che dipendono dalla natura e dal territorio non sanno più come prendersene cura. Il secondo rapporto conflittuale si è creato invece tra la popolazione civile e la ricerca scientifica quando quest’ultima, purtroppo, non è riuscita a difendere i suoi metodi e i suoi valori, ostacolata dalle forme di complottismo più disparate e a volte persino dalla politica.

Quando Martella attraversa i campi degli ulivi che si sono arresi al batterio, uno scenario devastante si apre davanti ai suoi occhi: di quei giganti maestosi e silenziosi che hanno resistito pazientemente al trascorrere dei secoli (se non dei millenni), oggi non rimane che una carcassa vuota, secca e grigia.

Un simbolo di questa distruzione è uno degli ulivi più antichi della Puglia, il “Gigante di Alliste”, un albero che ha assistito a gran parte della storia della civiltà occidentale e che ha accompagnato, generazione dopo generazione, le persone che hanno abitato questi luoghi per secoli. Il Gigante è morto nel 2019 e il suo “cadavere” oggi presenta ancora i segni di un accanimento terapeutico causato dai tanti, inutili tentativi di salvarlo senza abbatterlo. Nel suo lavoro di inchiesta, Martella ha incontrato Enzo Marzano, un uomo che discende da una stirpe di coltivatori che per generazioni hanno curato questi campi e che, come gli altri olivicoltori che fanno parte della comunità rurale del Salento, sono rimasti orfani dei loro alberi. Il lutto vissuto da Enzo e dagli altri olivicoltori intervistati da Martella è l’ultima estrema espressione di un legame che è molto più profondo del semplice rapporto tra un agricoltore e le sue piante.

Quest’albero può vivere per centinaia, migliaia di anni, ha accompagnato intere generazioni della stessa famiglia. Ha rappresentato una connessione tra i vivi e i morti: per questo la sua morte è vissuta come un lutto vero e proprio Stefano Martella, “La morte dei giganti”. Meltemi 2022

Ne La morte dei giganti Martella si addentra alle radici di quello che definisce uno psicodramma collettivo, dove la presenza di tanti, forse troppi attori, non fa che confondere e alimentare ancora di più i sentimenti di rabbia, dolore e spesso anche rassegnazione da parte di tutte le parti coinvolte. L’autore incontra infatti diversi personaggi, tra cui scienziati, imprenditori, fabbricanti di prodotti fitosanitari e olivicoltori che nel loro piccolo hanno provato di tutto per salvare i loro alberi, utilizzando ogni sorta di medicinale e, nei casi più disperati, affidandosi persino alla preghiera e alla musicoterapia.

Alcuni olivicoltori si rifiutano di abbattere i loro alberi per piantare diverse varietà di ulivi, come la Favolosa e il Leccino, che sembrano essere molto più resistenti al batterio. Non vogliono rinunciare all’unicità e all’identità del loro prodotto per fabbricare un olio “indifferenziato”, senza anima. Altri, invece, hanno iniziato a coltivare queste diverse varietà pur di far sopravvivere la loro attività e, in altre parole, continuare a mantenere le loro famiglie. Nonostante questo, vivono nella paura che anche queste cultivar inizino, un giorno, ad essere attaccate dal batterio.

Ciò che lega i diversi olivicoltori è la sensazione di essere stati abbandonati e traditi da quella classe politica che avrebbe dovuto intervenire in modo massiccio, deciso e, soprattutto, rapido, per bloccare sul nascere un'epidemia che oggi sembra ormai incontrollabile. Per il falegname artista Cosimino, il dramma degli alberi si è tradotto in un tormento psicologico che non lo lascia più dormire. Così, per riuscire a sopravvivere e tentare di reagire al lutto e all'insonnia, ha deciso di trasformare il suo dolore in arte. Scolpisce nel suo studio lavori in legno che ricordano gli ulivi secolari, opere d’arte create dalla natura delle quali, però, nessuno è stato in grado di prendersi cura.

Tutto questo, riflette Martella, è accaduto perché l'uomo ha tradito il “patto di Pericle”, un antichissimo tacito accordo tra esseri umani e natura, in cui le persone si prendono cura del territorio che le ospita e che, in cambio, garantisce loro la sopravvivenza e dona loro i suoi frutti con generosità. Il motivo per cui l’arrivo della Xylella ha avuto un impatto così devastante nel Salento è stato proprio il tradimento del patto da parte degli abitanti, molti dei quali ormai considerano gli alberi come un bene dovuto, o come una mera componente del paesaggio. Per questo, al di là di ogni speculazione scientificamente fondata o meno, resta una sola certezza: questi alberi non hanno ricevuto le cure e le attenzioni che meritavano e sono stati abbandonati a loro stessi.

Le reazioni schizzano convulse, come uno sciame di api a cui hanno appena incendiato l’alveare. Non si tratta più solo di una malattia delle piante. Il batterio ha creato una forma di psico-fitopatologia o socio-fitopatologia Stefano Martella, “La morte dei giganti”. Meltemi 2022

La psicosi collettiva ha purtroppo reso il terreno fertile al complottismo e a una caccia alle streghe generale alimentati dalla disinformazione, dalla mancanza di fiducia verso gli scienziati e la classe dirigente e, soprattutto, da emozioni forti e contrastanti che non fanno altro che confermare bias cognitivi, sospetti e atteggiamenti negazionisti da parte delle tante persone confuse che fanno fatica a capire in cosa credere.

“In questo mondo isterico che si è creato intorno al batterio, non esiste mediazione e i fatti principali sono stati sommersi dal magma di insinuazioni e voci di popolo” riflette Martella mentre si addentra in questo intricato puzzle fatto di teorie scientifiche, tesi complottiste e spiegazioni soprannaturali in cui quasi ci perdiamo, cercando di seguire i fili dei tanti ragionamenti spesso contraddittori che si uniscono, si rincorrono, si biforcano. Ciò che davvero appare chiaramente è la gravità del dramma umano e ambientale che si sta consumando nel Salento, che ha messo ancora una volta in evidenza quanto sia stretto, e allo stesso tempo fragile, il legame tra natura e persone e tra paesaggio e salute umana, sia fisica che mentale.

Un collo metallico vomita detriti di legna che si compattano in una piramide. I patriarchi, in pochi secondi, sono stati polverizzati, sono diventati trucioli, segatura, buoni per alimentare le centrali a biomasse o come lettiere per gatti e roditori Stefano Martella, “La morte dei giganti”. Meltemi 2022

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