SCIENZA E RICERCA

Quando si potrà parlare di supremazia quantistica?

L’amministratore delegato di Google, Sundar Pichai, ritiene che il momento sia equiparabile a quando nel 1997 Deep Blue batté per la prima volta il campione di scacchi Gary Kasparov. Altri lo paragonano addirittura al primo volo dei fratelli Wright. Secondo un competitor come IBM invece è solo tanto rumore per nulla. La notizia era stata anticipata a settembre da un sito della Nasa e rimossa poche ore dopo. La conferma tanto attesa è arrivata il 23 ottobre direttamente dalle pagine di Nature: il gruppo del Quantum AI Lab di Google guidato da John Martinis per la prima volta ha utilizzato un processore quantistico a 53 qubit, nominato Sycamore, per effettuare in poco meno di tre minuti un’operazione di calcolo che qualsiasi altro super computer classico oggi esistente non sarebbe in grado di compiere in tempi ragionevolmente brevi. Il computer della Nasa, secondo Martinis e colleghi, ci avrebbe messo 10.000 anni.

Le applicazioni pratiche sono ancora lontane: pochi anni secondo alcuni, mentre altri dicono che il computer quantistico sarà come la promessa della fusione nucleare, che ogni anno rimane distante una ventina d’anni. Secondo Simone Montangero, professore di fisica della materia del dipartimento di fisica e astronomia dell’università di Padova, l’impatto dell’articolo di Nature può essere paragonato a quello della prima osservazione delle onde gravitazionali: “Quasi tutti i lavori che usciranno nei prossimi anni dovranno misurarsi con questo”.

Ibm però ha fatto sapere in una nota di non essere d’accordo con i ricercatori di Google: Summit, il super calcolatore classico di Ibm, seguendo una procedura diversa impiegherebbe circa due giorni e mezzo a risolvere lo stesso problema di sampling risolto da Sycamore.

Quand’è che si potrà parlare veramente di supremazia quantistica, ovvero del sorpasso del computer quantistico su quello classico? La domanda per la prima volta se l’è posta John Preskill, fisico del California Institute of Technology (Caltech), che già nel 2012 si era reso conto che presto il computer quantistico sarebbe riuscito a fare calcoli fuori dalla portata di qualsiasi altro calcolatore.

La stessa domanda l’abbiamo rivolta a Simone Montangero, che fa parte di Pasquans (Programmable atomic large-scale quantum simulation), un consorzio di ricerca finanziato con 10 milioni di euro dall’Unione Europea all’interno del programma dedicato allo sviluppo delle tecnologie quantistiche Quantum Flagship. A settembre ha pubblicato su Science, assieme a un gruppo internazionale di università statunitensi (Harvard, MIT, Caltech, Berkeley) e tedesche (Ulm, Jülich e Colonia), un lavoro che dimostra sperimentalmente un decisivo passo avanti nella preparazione di sistemi entangled composti da un ampio numero di qubits, necessari a costruire il computer quantistico.

“Il problema è che non esiste una definizione matematica di supremazia quantistica” specifica Montangero. “Non esiste una soglia matematicamente ben definita che il computer classico non può oltrepassare e quello quantistico sì. È quindi difficile stabilire in termini certi che un dato compito non potrà essere svolto da un computer classico, perché se oggi ne abbiamo uno con una certa capacità computazionale, domani potrebbe esserne disponibile un altro più potente in grado di svolgerlo. Matematicamente si può però definire la complessità di un algoritmo, ovvero come aumenta il tempo necessario per risolvere un problema in funzione del numero di qubits. Considerando questa definizione, il vantaggio nell’uso dei calcolatori quantistici avverrebbe per un numero di qubits ancora inaccessibile, dell’ordine di alcune centinaia, se non migliaia”.

Ci sono altri aspetti poi da considerare per parlare di supremazia quantistica: “Vogliamo mettere nel conto della supremazia quantistica che il problema risolto sia anche utile? Il compito di sampling risolto dal processore di Google può essere affascinante per un ricercatore, ma non ha alcun risvolto pratico. In Europa anziché di supremazia si parla di vantaggio quantistico, ma queste sono questioni lessicali, non scientifiche. A mio modo di vedere il termine supremazia quantistica ha a che fare molto con il marketing. D’altronde Google si occupa anche di questo, dunque fa bene a usarlo”.

Ad ogni modo, secondo Montangero, non c’è dubbio che l’articolo pubblicato su Nature è e resterà una pietra miliare, nonché un confronto imprescindibile, per i futuri sviluppi del settore. “L’evento è stato paragonato al primo volo dei fratelli Wright. Ricordiamo però che ci sono voluti decenni di sviluppo, ricerca e investimenti costanti per poi avere aerei come li conosciamo oggi. Oggi siamo a un punto d’inizio analogo. Possiamo discutere se il primo “volo quantistico” sia stato nel 2019 oppure nel 2003, quando Nakamura riuscì creare il primo gate tra due qubit superconduttori. Quello che conta secondo me è che oggi siamo qui a discuterne: significa che stiamo andando, molto velocemente, nella direzione giusta”.

Nessuno infatti si aspettava, fino a pochi anni fa, che lo sviluppo dell’hardware quantistico sarebbe avvenuto così in fretta, anche se indizi di un imminente traguardo erano già trapelati.

“A maggio di quest’anno ero in California, al KITP (Kavli Institute for theoretical physics, ndr) università di Santa Barbara, per un programma di due mesi” racconta Montangero, che l’anno scorso ha ricevuto nel campo della computazione quantistica il Google faculty research award, un premio assegnato dall’azienda di Mountain View a ricercatori che lavorano a problemi che avranno un impatto decisivo sulle generazioni future e il loro rapporto con le nuove tecnologie.

“Nello stesso campus, a 500 metri, ci sono i laboratori del Quantum AI Lab di Google, che ho visitato proprio per un workshop dedicato ai vincitori del premio. Già allora ci avevano fatto capire che le loro ricerche erano a buon punto. È una decina d’anni d’altronde che i ricercatori di Google ci stano lavorando”. Proprio con loro Montangero sta collaborando a un progetto, finanziato da Google, sul controllo ottimale dell’hardware quantistico, una delle sfide che occorrerà superare per avere a disposizione i calcolatori di nuova concezione.

Insieme a lui ci siamo addentrati nelle pagine dell’articolo pubblicato su Nature dal gruppo di John Martinis, per capire effettivamente in cosa consista il compito di sampling risolto dal processore quantistico.

“La prima parte del lavoro consiste nel far vedere che il chip quantistico a 53 qubit funziona molto bene. Il processore è un circuito fatto di un materiale superconduttivo, una griglia dove ciascuno degli incroci rappresenta un qubit. Il tutto è immerso in un criostato, che serve a mantenere le temperature basse per far lavorare i superconduttori, e a ciascun incrocio arrivano dei contatti elettrici”.

Il numero 53 deriva soprattutto da ragioni ingegneristiche, più che fisico-matematiche, spiega Montangero: “questa connettività è stata pensata per implementare i cosiddetti error corrections, codici di correzione degli errori (che sono presenti anche nei nostri computer tradizionali), passaggio indispensabile da risolvere per qualsiasi computer quantistico si vorrà realizzare”.

A ciascun qubit sono associati due livelli energetici diversi, 0 e 1. Con 53 qubit, il numero di stati possibili del sistema è 253, ovvero 10 milioni di miliardi di combinazioni possibili (un 1 seguito da 16 zeri). Siamo nell’ordine dei PetaByte di memoria (1 milione di gigabyte), quando i nostri computer hanno di norma al massimo 1 TeraByte (1000 gigabyte).

Ma non risiede qui ancora la peculiarità del processore quantistico, perché anche con 50 bit classici si avrebbe la stessa quantità di possibili stati. “L’informazione contenuta in un processore quantistico viene estratta dalla funzione d’onda” spiega Montangero, “descritta da un vettore di numeri complessi che ci dice quale è la probabilità di trovare il sistema in un dato stato”.

Quello che hanno fatto i ricercatori di Google è sostanzialmente una serie di misurazioni degli stati del sistema quantistico, che a differenza di un sistema classico, gode della proprietà di sovrapposizione: il gatto di Schrödinger , in un mondo quantistico, ha contemporaneamente una certa probabilità di essere vivo e una certa probabilità di essere morto. In gergo queste misurazioni vengono chiamate problema del sampling.

“Ai fisici del primo anno viene insegnato che per essere precisa una misura deve essere ripetuta molte volte. Se misuro un bastoncino di legno una volta risulterà lungo 8,2 cm, un’altra volta 8,3 cm. Se prendo molte misure, ottengo una distribuzione di risultati, tipicamente rappresentati dalla curva gaussiana. Con il processore quantistico i ricercatori hanno fatto esattamente la stessa cosa: dopo una serie di operazioni di inizializzazione, con cui hanno messo il sistema in uno stato di sovrapposizione, hanno misurato il valore assegnato al sistema e hanno ottenuto una distribuzione di risultati. In questo caso però la distribuzione che si ottiene non è data dall’incertezza della misura in senso classico, ma è data dal fatto che la funzione d’onda del sistema è in una sovrapposizione di stati. Ciò che hanno ottenuto è quindi una distribuzione della probabilità di trovare il sistema in un dato stato”.

In un sistema classico se si compie 100 volte la misurazione dello stato del sistema, a meno di errori, 100 volte si troverà sempre lo stesso valore. Se la misurazione avviene invece in un sistema quantistico, una volta si troverà uno stato (0, 0, 0), un’altra volta se ne troverà un altro (0, 1, 0). “Se su 100 misure, 3 volte si ottiene (0, 0, 0), significherà che la probabilità di avere lo stato (0, 0, 0) è del 3%. Se (1, 1, 1) uscirà 5 volte, significherà che la probabilità di avere quello stato è del 5%, e così via”.

Per ottenere questa distribuzione di probabilità occorre effettuare tante misurazioni, molte di più di quello che è il numero degli stati possibili del sistema. Siccome gli stati possibili del sistema sono 253, ovvero nell’ordine dei 10 milioni di miliardi, gli eventi di misurazione devono essere un numero ancora più grande.

Per la prima volta il processore quantistico di Google è riuscito a svolgere questa misurazione o sampling in poco più di tre minuti. “Il compito di misurazione o sampling di per sé è banale e di nessuna utilità pratica” commenta Montangero. Il numero di combinazioni però era talmente alto che solo un computer quantistico, capace di sfruttare il calcolo parallelo della sovrapposizione di stati, è in grado di processarlo in tempi brevi.

Oltre alla sovrapposizione di stati, l’altra caratteristica dei sistemi quantistici che oggi siamo in grado di sfruttare per applicazioni tecnologiche è l’entanglement. “Nel lavoro pubblicato su Nature in realtà ci si aspetta che si potrà sfruttare le proprietà dell’entanglement, ma non è stato fatto un vero test per l’entanglement” precisa Montangero.

Se la comprensione delle leggi della meccanica quantistica nella prima metà del Novecento ha consentito lo sviluppo di tecnologie oggi diffusissime come i laser, sovrapposizione e entanglement saranno le due proprietà protagoniste di quella che è già stata battezzata seconda rivoluzione quantistica.

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