CULTURA

Seconda guerra mondiale. 80 anni dall'inizio della tragedia che sconvolse coscienze, ideali e convinzioni

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata

Nell'aria spasimante
involontaria rivolta
dell'uomo presente alla sua
fragilità

   Giuseppe Ungaretti – Fratelli (L'Allegria, 1943)

Era il 1 settembre 1939 quando Hitler iniziò a invadere la Polonia, e fu quello il momento che gli storici individuarono come il vero inizio della seconda guerra mondiale. Pochi giorni dopo, la Francia e la Gran Bretagna dichiararono ufficialmente guerra alla Germania, mentre l'Italia, pur essendo legata allo stato tedesco con il patto d'acciaio, dichiarò inizialmente la non belligeranza, per poi scendere ufficialmente in campo nel giugno dell'anno successivo. Com'era successo per il primo conflitto mondiale, i teorici di strategia del tempo si aspettavano una guerra rapida, di breve durata. Ancora una volta non fu così, e ancora una volta le popolazioni europee e non solo dovettero affrontare per sei lunghi anni la tragedia dei bombardamenti, della paura, del lutto e della fame.

Sopraffatti dalla tragedia, furono molti i pensatori del tempo che videro delusi i loro ideali giovanili. Lo scontro con l'irrazionalità della vita e dell'orrore fece riemergere temi e concetti appartenenti all'esistenzialismo, che per quanto si tratti di una corrente di pensiero che attraversa la società europea durante entrambi i conflitti mondiali, raggiunse il suo apice nel secondo dopoguerra.

La vita si tingeva di colori cupi, tanto da diventare una vera e propria tragedia; la guerra riportava alla luce tematiche già affrontate nel corso dell'Ottocento da Kierkegaard, come l'angoscia, la disperazione e l'incertezza del vivere. Visti gli spettacoli disastrosi che la guerra offriva, diventò impossibile per molti pensatori e scrittori del tempo, come Gadamer, Sartre o Camus, non concentrare la loro attenzione sulla precarietà dell'esperienza umana, sulla banalità del morire e poi, per quanto riguarda quest'ultimo, sulla necessità di costruire un senso di solidarietà che potesse unire le coscienze dell'intera popolazione mondiale.

La guerra, l’odio, la distruzione, il tradimento, la sconfitta, l’amara vittoria, facevano emergere gli scogli perennemente frapposti fra il mare dell’esistere ed il porto dell’assoluto: la morte, l’errore, la colpa, il nulla, l’impotenza, il tempo Pietro Chiodi, “l'esistenzialismo”, 1957

Per quanto l'esistenzialismo non possa essere considerato propriamente una corrente filosofica unitaria, poiché sotto questa etichetta si ritrovano singole proposte filosofiche che possono differire tra loro, queste sono comunque accomunate dall'atmosfera di angoscia che le pervade, e dal senso di delusione nei confronti della vita che irrimediabilmente le attraversa.

Riflessioni filosofiche di questo genere si concentravano soprattutto sui limiti che caratterizzano la condizione umana. L'assurdità e l'incertezza del vivere erano insormontabili realtà dovute al fatto che l'uomo, essendo finito, si ritrova spaesato di fronte alla scelta infinita di possibilità che gli si apre davanti, cadendo facilmente nell'errore. È questo ciò di cui parla Albert Camus interpretando il celebre mito greco di Sisifo, colui che era stato condannato a passare l'eternità a spingere un grosso macigno su per una collina, e ad esserne travolto e schiacciato una volta arrivato in cima. Pur ingabbiato in questa ciclica prigionia, il Sisifo immaginato da Camus era, forse inaspettatamente, felice. La forza di Camus e di altri pensatori esistenzialisti stava nel non lasciarsi andare al pessimismo. Sisifo rappresentava quindi la condizione dell'uomo che continuava a lottare e a perseguire i suoi obiettivi anche se la vita lo schiacciava ed era capace di distruggerlo con la sua disarmante indifferenza.

Per Sartre, la guerra, la distruzione e la sofferenza erano responsabilità dell'uomo. Respingendo ogni fatalismo e determinismo, il filosofo riconduceva tutto alla libertà dell'uomo di fare qualunque cosa, tranne di decidere se essere libero. La sua vita, gratuita e inevitabile, nonché piena di angoscia e fallimento, era la causa del senso di nausea che la caratterizzava. Neanche Sartre, però, si lascia sopraffare da un totale pessimismo. Compito di ogni individuo era quello di costruire i suoi propri valori. Il vuoto di certezze che la guerra aveva lasciato negli animi di chi l'aveva vissuta era incompatibile con i valori della classe borghese, accusata da Sartre di essere un focolaio di idee perbeniste e ipocrite; a loro si contrapponevano invece i movimenti operai e di contestazione giovanile, che il filosofo sosteneva e apprezzava.

Anche in Italia la guerra e le sue conseguenze produssero una profonda crisi nelle coscienze degli intellettuali dell'epoca. Benedetto Croce vide delusi gli ideali del Risorgimento in cui aveva creduto; Buzzati e Moravia cercarono nella letteratura un rimedio al tradimento di molte delle speranze che avevano nutrito.

Questo senso di delusione e sofferenza si palesa nella poesia ermetica di autori come Giuseppe Ungaretti, nelle cui opere emergono i temi della solitudine, della morte, delle illusioni della vita spezzate dalla guerra.

Cessate d’uccidere i morti,
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire,
Se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,
Non fanno più rumore
Del crescere dell’erba,
Lieta dove non passa l’uomo

   Non gridate più – Giuseppe Ungaretti (Il Dolore, 1947)

L'autore, inoltre, di fronte alle atrocità della guerra, sentì la necessità di cercare nei classici il ricordo di una dignità umana, e si dedicò alle traduzioni dell'Eneide, di Shakespeare e di Blake.

Molte delle reazioni degli intellettuali europei agli orrori della guerra, per quanto diverse, furono un tentativo di cercare conforto e sollievo di fronte a una realtà che naufragava. Forse, in un mondo come quello, era l'arte l'unica possibilità per riappacificare il proprio animo.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012