SOCIETÀ

Tra società e tradizione: Francesco e i nodi irrisolti della Chiesa

“Non solo non c'è ancora l'istituzione ‘papa emerito’: il papa che si è dimesso, o che più correttamente ha rinunciato al ministero petrino, non è più papa”. È netto Pierluigi Giovannucci, docente presso l’università di Padova di storia del Cristianesimo e delle chiese, che abbiamo interpellato dopo che sul tema del rapporto tra Francesco e Benedetto la scorsa settimana è intervenuto Vittorio Berti. “Il ‘già papa’, per così dire, può avere un ruolo morale – sottolinea ancora lo studioso – ma questo non può tradursi in una guida bicefala della Chiesa cattolica, che dal punto di vista istituzionale è una monarchia assoluta”.  

E se, per fare un’ipotesi, un papa assumesse posizioni eretiche?

“È una questione discussa a lungo all’epoca della Riforma, quando effettivamente Lutero considerava il papa di allora alla stregua dell’Anticristo. Da questo punto di vista la Chiesa cattolica si è incamminata da tempo in un’altra direzione, arrivando alla definizione dell’infallibilità pontificia con il Concilio Vaticano I nel 1870. Con esso viene stabilito che il papa, in virtù dell’assistenza dello Spirito Santo, gode del privilegio dell’infallibilità ex sese e non ex consensu ecclesiae, senza che cioè ci sia bisogno del consenso della comunità ecclesiale. Una posizione che all’epoca fu contestata da diversi teologi e che diede origine allo scisma dei cosiddetti ‘vecchi cattolici’. Attualmente nella Chiesa cattolica non è prevista una procedura di stato di accusa per un papa eretico: questo potrebbe spiegare perché, per contestare le posizioni del papa regnante, lo schieramento che potremmo definire conservatore preferisca richiamarsi al presunto magistero del cosiddetto papa emerito”.

Ma la Chiesa è davvero in una fase di riforme così decisive e traumatiche?

“Ho l’impressione che si faccia un passo avanti e mezzo passo indietro. Alcune questioni sono sul tappeto da parecchio e avrebbero richiesto decisioni già qualche decennio fa; credo che Bergoglio su certe questioni arrivi ‘a babbo morto’: una certa frattura rispetto ad alcune istanze della società contemporanea ormai c’è già stata. Il papa ha inteso intervenire ma, come sempre si fa, i suoi interventi sono sì innovativi ma comunque condotti nel solco della tradizione. Dietro alle questioni attuali c’è però quella, già emersa sia con Wojtyła che con Ratzinger, del rapporto con il concilio Vaticano II”.

In che senso?              

“Il Vaticano II ha portato un cambiamento importante per quanto riguarda il rapporto tra Chiesa  e società moderna. Fino al pontificato di Pio XII verso società contemporanea vigeva uno schema di sostanziale condanna”.

Fino al concilio Vaticano la Chiesa condanna la società moderna

Si riferisce al Sillabo di Pio IX?

“Anche, il Sillabo era sostanzialmente una raccolta di pronunce precedenti: lo schema intransigente era già stato definito prima. Secondo questo la realtà veniva letta, soprattutto alla luce dello sconquasso portato da rivoluzione francese, come una storia di decadenza e di progressivo attacco alle verità consolidate e a una mitica concordia tra religione e società. Una condanna durata in vari modi fino a Pio XII, che mette in atto uno sforzo ciclopico per cercare di ricondurre la società moderna alla Chiesa, e che si attenua durante il pontificato di Giovanni XXIII”.

Cosa cambia con il Vaticano II?

“Nella prima parte del pontificato di Paolo VI vengono varate riforme importanti come quella liturgica e quella della curia. Po ci sono novità come quelle introdotte dalla costituzione conciliare Lumen Gentium, che definisce la Chiesa come ‘popolo di Dio’ in cammino, con un deciso accento sulla sua natura spirituale piuttosto che giuridica e istituzionale,  e dalla Gaudium et spes, secondo la quale Chiesa condivide e in qualche modo partecipa alle gioie e alle speranze della società, così come ai suoi problemi e difficoltà. Non si parte più da un giudizio preventivo di condanna del mondo moderno, inoltre ci si rivolge a tutti gli uomini di buona volontà”.

Con il concilio viene superata la distanza tra Chiesa e società?

“Fino a un certo punto. Una prima fase, dedicata all’applicazione e alla recezione del concilio, porta a una serie di cambiamenti, con aperture e a volte fughe in avanti. Già però a partire dalla seconda fase del pontificato di Paolo VI, e poi soprattutto con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, c’è un progressivo infittirsi dei richiami alla trazione. Sia Wojtyła che Ratzinger hanno partecipato al concilio, sia pure con ruoli differenti, ma entrambi in seguito ritengono necessaria una normalizzazione”.

Le riforme hanno funzionato?

“Diciamo che la curia oggi è meno autoreferenziale di un tempo. Già Paolo VI da una parte cercò di razionalizzare e snellire gli uffici curiali, dall’altra di mantenerne un forte controllo per attuare le sue riforme, in quanto da uomo di curia aveva chiarissimo che in particolare in alcune congregazioni era forte l’ostilità rispetto ad alcune novità del concilio. Detto questo le istanze tradizionaliste trovano nella curia il loro habitat per così dire naturale, mentre dall’altra le istanze innovatrici hanno più difficoltà a funzionare perché per il momento non sono strutturate da un punto di vista istituzionale. Gli stessi sinodi dei vescovi sono uno strumento importante ma insufficiente, un’autorevole minoranza organizzata di prelati può sempre resistere a determinati processi di riforma”.

È probabile in futuro il superamento prima del celibato ecclesiastico, mentre per il sacerdozio femminile il problema è più complesso

In che misura nella Chiesa la tradizione può essere riformata o superata?

“Io sono uno storico, e la storia non va sempre d’accordo con la teologia. È chiaro che un’istituzione come la Chiesa ha una tradizione lunga e complessa: il problema dei settori tradizionalisti è prenderne solo determinate fasi e poi pretendere di assolutizzarle. Il fatto però che una certa cosa si facesse in un modo 50 o 80 anni fa non significa che sia stato sempre così. Per fare esempi banali i presepi o i crocifissi nelle scuole non ci sono sempre stati, mentre nell’ambito dei dogmi ricordiamo che quello dell’Immacolata Concezione è stato definito alla metà dell’800, dopo una discussione durata 500 anni tra immacolisti e antiimmacolisti. San Tommaso d’Aquino per dire era antiimmacolista, e con solide ragioni teologiche”.

E per quanto riguarda il celibato? E un domani altri temi, come il sacerdozio femminile e il riconoscimento dei rapporti gay?

“Sul punto ricordo la prima lettera di Timoteo, che oggi potrebbe risultare imbarazzante per alcuni in quanto raccomanda che il vescovo ‘sappia guidare bene la propria famiglia e abbia figli sottomessi e rispettosi, perché, se uno non sa guidare la propria famiglia, come potrà aver cura della Chiesa di Dio?’ (1Tm 3,4-5). Il celibato è una norma disciplinare nella chiesa e non è inerente alla natura stessa dell’ordine sacro, anche se Paolo VI nell’enciclica Sacerdotalis Caelibatus e poi soprattutto Giovanni Paolo II hanno usato a questo proposito una terminologia semi-dogmatica, dalla quale potrebbe sembrare che si tratti quasi di un elemento irriformabile. In prospettiva l’impressione è che il celibato possa essere prima o poi superato, mentre il discorso in parte cambia per sacerdozio femminile e matrimonio gay. È diverso in questi casi l’ancoraggio scritturistico della normativa, quindi per un suo eventuale cambiamento bisognerebbe preventivamente indebolire l’autorità delle Scritture, relativizzandola rispetto al contesto storico e sociale in cui sono state elaborate. Cosa che nell’immediato non vedo probabile”.

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