MONDO SALUTE

Vaccini anti Covid-19 nei Paesi poveri: abbassare i costi dei più efficaci e aumentarne la produzione

Secondo quanto riferito da Our World in Data, ad oggi il 61,9% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose di vaccino contro Covid-19; 10,42 miliardi ne sono state somministrate a livello globale, e 30,92 milioni ne vengono inoculate ogni giorno. Solo il 10,6% delle persone nei Paesi a basso reddito, però, ha ricevuto almeno una dose. In molti Stati dell’Africa, in particolare, la vaccinazione procede molto lentamente: nella Repubblica Democratica del Congo, solo per fare qualche esempio, solamente lo 0,5% della popolazione (al 14 febbraio 2022) ha ricevuto almeno una dose di vaccino, in Tanzania il 4,1%, nella Repubblica del Niger il 5,7%, il 7% in Nigeria. In Italia, sul fronte opposto, siamo all’83,7%.

Si discute da molto ormai sull’enorme disuguaglianza nella distribuzione dei vaccini e sulla necessità di immunizzare le popolazioni più povere, non solo per una questione etica, per garantire dunque un accesso equo ai vaccini, ma anche (nell’interesse di tutti) per evitare l’insorgere di nuove varianti, qualora si lasci circolare liberamente il virus. Già sul finire del 2020 India e Sudafrica avevano avanzato la proposta di sospendere i brevetti sui vaccini, in mano a poche industrie che ne monopolizzano sia il prezzo che la distribuzione. Ma la proposta di moratoria sui brevetti non è in realtà mai decollata.

Se questo è il contesto, si intuisce facilmente la ragione per cui nelle scorse settimane si sia tanto parlato di Corbevax, un vaccino contro Covid-19 che non è protetto da alcun brevetto, ma anche dei vaccini sviluppati a Cuba, che, dato il costo contenuto, potrebbero aiutare molti Paesi meno ricchi nella prevenzione di Covid-19. Abbiamo approfondito l’argomento con Guido Forni, immunologo e membro dell’Accademia nazionale dei Lincei.

Intervista all'immunologo Guido Forni. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Barbara Paknazar

Corbevax, il vaccino senza brevetto sviluppato in Texas

Corbevax è stato messo a punto da Maria Elena Bottazzi e Peter Hotez, codirettori del Texas Children’s Hospital Center for Vaccine Development al Baylor College of Medicine. A occuparsi della produzione la Biological E. un’azienda partner in India dove il vaccino è già stato approvato. Al momento, ha dichiarato Bottazzi a La Repubblica, i ricercatori stanno lavorando anche con altri produttori a cui trasferiranno le loro cellule e il loro know-how. Tra questi l’azienda BioPharma in Indonesia, Incepta in Bangladesh e ImmunityBio, con sede negli Stati Uniti, ma anche con stabilimenti nei Paesi africani, come il Botswana. 

“Si tratta di un vaccino proteico – spiega Guido Forni – che usa una tecnologia relativamente tradizionale: il gene che codifica la parte più esterna della proteina Spike, fondamentale perché il virus possa entrare nelle cellule umane, viene introdotto nel lievito. Il vaccino quindi viene prodotto come proteina ottenuta da lievito da cui viene poi purificata. Mescolata con degli adiuvanti tradizionali è usata per vaccinare”. Forni spiega che la tecnologia impiegata per realizzare Corbevax è complessa, sebbene ben conosciuta: “Ha quindi queste due valenze: da una parte di essere ben nota perché usata per molti altri vaccini, dall’altra di essere una tecnologia in gran parte superata. I vaccini genetici sono molto più duttili e concettualmente più semplici da produrre, ed è più agevole modificarli man mano che il virus si modifica. Con i vaccini proteici, invece, abbiamo una tecnologia più rigida, meno facile da modificare nel tempo”.

Entrando nel merito della questione da cui siamo partiti, l'immunologo osserva che un vaccino senza brevetto è qualcosa che entusiasma, dato che l’arroganza finanziaria delle grandi aziende è ciò che ha limitato la diffusione dei vaccini, tuttavia non sfugge a una serie di difficoltà: “Il vaccino del Baylor College deve essere messo a punto, deve esserne avviata la produzione, quindi le prospettive sono relativamente lunghe. Il tempo è una variabile cruciale: il virus cambia rapidamente e così cambia anche l’atteggiamento del mondo verso il vaccino. Quando quello del Baylor College sarà disponibile in miliardi di dosi, sarà ancora importante averlo a disposizione? Questa è una domanda a cui è difficile rispondere. E quale sarà il confronto con gli altri vaccini che saranno disponibili?”.

Continua Forni: “In Sudafrica, recentemente, sono riusciti a riprodurre il vaccino Moderna, quindi sarebbe possibile seguire anche questa via, cioè avviare una collaborazione tecnologica mondiale per produrre in Africa dei vaccini più duttili e probabilmente più efficaci. Quindi, riguardo al vaccino del Baylor College io provo da una parte grande simpatia, ma dall’altra mi è difficile prevedere che lo sviluppo di questo vaccino riesca ad avere un ruolo importante nel rendere possibile la vaccinazione nei Paesi più poveri del mondo. Ciò perché si tratta di un vaccino che deve ancora essere sviluppato industrialmente. Un po’ diverso è il discorso relativo ai vaccini cubani, anche questi senza brevetto, che sono però già una realtà e sono stati impiegati su milioni di persone. Anche in questo caso, perché possano avere un ruolo importante nella diffusione della vaccinazione anti Covid-19, si deve riuscire ad attivare una produzione in miliardi di dosi, quindi una quantità molto elevata, cosa che pone significativi problemi industriali ed economici”.  

I vaccini cubani

I vaccini sviluppati a Cuba sono ad oggi complessivamente cinque, tre dei quali già approvati dagli enti regolatori e due ancora in fase di studio clinico. A luglio del 2021 l’agenzia regolatoria cubana, il Center for Quality Control of Medicines, Equipment, and Medical Devices (Cecmed), ha approvato l’autorizzazione per l’uso di emergenza del vaccino Abdala sviluppato dal Center for Genetic Engineering and Biotechnology di Cuba, che avrebbe dimostrato un’efficacia del 92,28% dopo un ciclo completo di tre dosi contro la malattia sintomatica. Ad agosto dello stesso anno è stata la volta dei vaccini Soberana 02 e Soberana Plus, prodotti dall’Instituto Finlay de Vacunas. In questo caso, il programma di vaccinazione combinava due dosi di Soberana 02 con una terza dose di Soberana Plus, che è stato approvato per la popolazione con più di 19 anni di età. Secondo quanto riferiscono i ricercatori cubani in uno studio pubblicato su medRxiv (non ancora sottoposto a peer review), infatti, due dosi di Soberana 02 insieme a una terza dose di Soberana Plus, raggiungono un’efficacia del 92,4% nel prevenire la malattia grave.

A questi vaccini, approvati dal Cecmed e impiegati per vaccinare la popolazione cubana, vanno aggiunti Soberana 01 e Mambisa, sviluppati rispettivamente dall’Instituto Finlay de Vacunas e dal Center for Genetic Engineering and Biotechnology di Cuba, ancora in fase di studio. Sia per il primo che per il secondo sono attualmente in corso studi clinici di fase 2.

“I vaccini cubani – sottolinea Forni, riferendosi in particolare a quelli del gruppo Soberana – utilizzano una tecnologia analoga a quella impiegata per realizzare Corbevax, ma al posto di usare le cellule di lievito, relativamente più facili da coltivare, impiegano cellule di falena coltivate in vitro in cui viene inserito il gene dell’intera proteina Spike, non solo dunque di una parte di questa come nel caso del vaccino del Baylor College. Rispetto a quest’ultimo, quindi, c’è una leggera differenza sia nella tecnologia che nel prodotto finale”. Entrambi sono vaccini proteici che vengono mescolati ad adiuvanti. “Sono più avanzati rispetto al vaccino del Baylor College, perché gran parte della popolazione cubana è già stata vaccinata. I vaccini del gruppo Soberana sono tre, Soberana 01, Soberana 02 e Soberana Plus. Nel caso di Soberana 01, la proteina Spike è legata a polisaccaridi del meningococco. In Soberana 02, che è quello più diffuso in questo momento, la proteina Spike è legata invece al tossoide tetanico: si tratta quindi di un vaccino che si lega la proteina del virus di Covid-19 a una proteina conosciuta per indurre una memoria immunitaria molto prolungata. Per tale ragione, la vaccinazione con Soberana 02 potrebbe indurre una immunità particolarmente prolungata. Il Soberana Plus, infine, è composto da un pezzo della proteina Spike, non legato ad altre molecole”.

In altri Stati oltre a Cuba, le agenzie regolatorie hanno già approvato alcuni di questi vaccini: Soberana 02 ha ottenuto l’approvazione in Iran, Nicaragua e Venezuela, Abdala invece in Messico, Nicaragua, Saint Vincent and the Grenadines, Venezuela e Vietnam.

Quale soluzione per i Paesi più poveri?

Anche i vaccini cubani come il Corbevax, secondo alcuni, potrebbero essere utili per accelerare l’immunizzazione della popolazione nei Paesi più poveri, anche se va detto che non sono ancora stati approvati dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Forni, tuttavia, pone le stesse osservazioni avanzate per il vaccino del Baylor College: “Il problema è analogo, cioè riuscirà Cuba o chi sta sviluppando vaccini senza brevetto ad avere partner industriali e finanziamenti tali da permetterne la produzione in centinaia di milioni o miliardi di dosi? O ci saranno tante e diverse difficoltà che rallenteranno i progetti? Questi sono vaccini tradizionali che usano una tecnologia relativamente complessa, delicata, che richiede tempo per essere messa a punto. Potrebbero essere molto importanti, ma perché scegliere questi e non utilizzare invece i vaccini che finora sembrano più efficaci, e parlo di quelli a mRna prodotti da Moderna e da Pfizer? La ragione che ne sta alla base mi sembra essere un abietto problema di arroganza finanziaria”.

L’idea di sviluppare nuovi vaccini senza brevetto da impiegare per immunizzare i Paesi meno ricchi è particolarmente nobile e interessante ma la questione, secondo Forni, è se ciò possa realmente incidere nel mondo intero in questo momento, specie nei Paesi che necessitano di vaccini e non li possono avere per il loro costo e per il sostanziale disinteresse del mondo: “È un problema complicato. Questi nuovi vaccini senza brevetto in via di sviluppo entusiasmano, possono costare poco, però rischiano di essere meno efficaci e meno duttili degli altri, che ci sono già. L’intento è nobile, ma apparentemente con poca speranza di incidere realmente sul problema”. L’immunologo ribadisce invece che sia fondamentale limitare l’arroganza finanziaria di aziende come Pfizer e Moderna, che intendono continuare a trarre profitto dai loro prodotti.

Per inciso: Pfizer, secondo quanto riferito da The Guardian, nel 2021 ha guadagnato quasi 37 miliardi di dollari dalla vendita del vaccino contro Covid-19 – rendendolo di fatto uno dei prodotti più redditizi della storia – e ha previsto un altro anno eccezionale nel 2022, con una spinta significativa proveniente dal nuovo farmaco per trattare Covid-19, Paxlovid. I ricavi complessivi della casa farmaceutica statunitense nel 2021 sono raddoppiati a 81,3 miliardi di dollari, e nell’anno in corso sono attesi ricavi record, dai 98 ai 102 miliardi di dollari.

Secondo Guido Forni, bisognerebbe pattuire di abbassare il costo dei vaccini efficaci come quelli di Pfizer e Moderna, così da permetterne la distribuzione in tutto il mondo. “Il guaio è che spesso i Paesi poveri hanno a disposizione vaccini scadenti. I vaccini più utilizzati sono quelli prodotti in Cina, basati sul virus di Covid-19 inattivato chimicamente. Con questi sono stati vaccinati cinque miliardi di persone, nonostante l’immunità indotta sia bassa. La Cina ha spesso usato questi vaccini come improprio strumento politico. Così, gran parte dei Paesi meno ricchi o non hanno vaccini o hanno vaccini meno efficaci, mentre con investimenti meno competitivi e più saggiamente orientati si potrebbero offrire i vaccini più efficaci”. Il secondo vaccino più utilizzato nei Paesi meno ricchi è AstraZeneca/Serum Institute of India, perché è un vaccino termostabile, che non deve essere mantenuto a temperature molto basse come i vaccini a mRna. Questo vaccino era disponibile anche in Italia e in Europa, finché si è deciso di non utilizzarlo più. “In conclusione, ai Paesi poveri vengono resi disponibili vaccini meno efficaci, mentre con uno sforzo finanziario che ritengo possibile si potrebbero rendere subito disponibili i vaccini migliori, abbassandone il costo, aumentandone la produzione e facilitando la produzione locale”.

Valutare tutte le possibilità

Continua l’immunologo: “Il Sudafrica, che ha riprodotto il vaccino di Moderna, ha dimostrato che il trasferimento tecnologico è difficile, ma non impossibile. Si potrebbe fare un trasferimento tecnologico investendo sui vaccini migliori, non su altri abbastanza buoni. Il vaccino Soberana o quello del Baylor College sono buoni, ma forse non come quelli a mRna. Se subentra una variante, in poco tempo i vaccini a mRna possono essere modificati e prodotti in funzione della variante. I vaccini proteici, invece, hanno una lentezza intrinseca nel processo di fabbricazione”.

Guido Forni conclude le sue riflessioni citando Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice dell'Organizzazione mondiale del commercio (World Trade Organization): “Ha delle visioni estremamente pratiche sulle possibili soluzioni al problema economico dei vaccini. Si deve per esempio valutare quanto sia difficile superare i brevetti, o se non sia più facile, attuando degli accordi tecnologici, trasferire tecnologie avanzate. È importante esplorare tutte le possibilità in maniera pragmatica, pensare ai vaccini più semplici, come quelli cubani o quelli del Baylor College, considerare i vaccini molto raffinati e incentivare tutte le possibilità di produrli, qualunque sia la tecnologia e qualunque sia l'accordo commerciale che si riesce a fare, cercando di combattere il problema nel più breve tempo possibile. Non bisogna dimenticare che quella dei vaccini è una lotta contro il tempo, non abbiamo bisogno di un vaccino che sia fantastico tra cinque anni, ma di uno efficace disponibile nei prossimi mesi. Il problema è di avere al più presto la possibilità di offrire vaccini efficaci a un grande numero di persone nei Paesi in cui i vaccini non sono disponibili, in gran parte a causa del disinteresse commisto a motivi biecamente commerciali ed economici, che sono difficili da accettare”.

POTREBBE INTERESSARTI

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012