SOCIETÀ

Il vento in Israele sta cambiando. Netanyahu: tra processi e spallate politiche

Il vento sta girando in Israele, ed è un vento che piace per nulla al premier uscente Bibi Netanyahu. Che in poche ore è passato dalla più fragorosa euforia post elettorale al timore (praticamente terrore) di essere incredibilmente finito in un vicolo cieco, proprio lui che delle battaglie, con vittoria finale, ha fatto una leggenda.

Lunedì scorso, al termine delle ennesime elezioni parlamentari in Israele (le terze in meno di un anno), il premier più longevo (è in carica dal 2009, più un mandato di 3 anni dal 1996 al 1999) si era lasciato andare all’entusiasmo: «E’ la più grande vittoria della mia vita», l’aveva definita quando lo spoglio dei voti, ancora parziale, gli assegnava seggi a un soffio dalla maggioranza assoluta in Parlamento (61 seggi su 120).

Maggioranza che avrebbe significato due cose, entrambe per lui di fondamentale importanza: possibilità di formare ancora una volta un governo e libertà di approvare una legge ad hoc che impedisse di processare un premier in carica, rinviando tutto alla fine della legislatura. Perché il baratro, per Netanyahu, si sta avvicinando: il prossimo 17 marzo comincerà il processo a suo carico, con l’accusa di corruzione (sono 3 i procedimenti aperti). E’ la prima volta nella storia d’Israele che un capo di governo entrerà in tribunale come imputato. E oramai non riuscirà a evitarlo.

Il prossimo 17 marzo comincerà il processo a carico di Netanyahu, con l’accusa di corruzione

Perché il conteggio degli ultimi voti, rallentato per via del coronavirus (oltre 5mila i voti espressi dagli elettori che lunedì 2 marzo si trovavano, per varie ragioni, in quarantena) ha riservato una brutta sorpresa a King Bibi.

Vittoria confermata, ma alla fine il blocco del Likud, più i partiti conservatori e ultrareligiosi, ha ottenuto 58 seggi, 3 in meno del necessario per guidare la Knesset. I centristi Blu-Bianco di Benny Gantz, con il blocco di sinistra, ne hanno 55, compresi i 15 della Lista Unita degli arabo-israeliani. La destra laica di Israel Beytenu 7.

Insomma, il solito stallo. Ma Gantz ha spinto improvvisamente sull’acceleratore, proponendo una legge che impedisca a un politico sotto processo di ricevere l’incarico a formare un nuovo governo. E Avigdor Lieberman, leader di Israel Beytenu ed ex allegato di Netanyahu, ha detto un doppio sì: alla proposta di legge e all’incarico da conferire non a Netanyahu ma a Benny Gantz.

I numeri ci sono: 55 seggi del blocco di centrosinistra più i 7 di Lieberman fa 62. Una maggioranza che difficilmente si tradurrà in un potenziale governo (Lieberman ha dichiarato che mai farà parte di un esecutivo del quale facciano parte i partiti arabi, ma neanche di uno a guida Netanyahu), ma sufficiente a tagliare la strada al premier uscente. E se Bibi fosse costretto a farsi da parte (anche se resta il leader più popolare e apprezzato dagli elettori), non è da escludere che Gantz possa proporre la formazione di un governo di unità nazionale. Fuori Bibi, tutti gli altri dentro.

Società laica e stop al piano “di pace” americano

Lieberman aveva posto cinque condizioni per sostenere la candidatura a premier di Benny Gantz, tutte indirizzate alla laicizzazione della società. Tutte accettate da Gantz. Una sfida aperta a Netanyahu che è invece il più autorevole e fidato rappresentante dei partiti ultrareligiosi. Il piano potrebbe andar bene anche alla Joint List dei partiti arabi, nonostante la dichiarata incompatibilità di Lieberman e, in maniera più sfumata, di Blu-Bianco: perché così facendo spazzerebbero via il loro principale nemico ed eviterebbero l’applicazione del piano di pace americano, presentato da Trump come “l’Accordo del secolo” (che prevede tra l’altro l’annessione di ampie zone della Cisgiordania da parte dello Stato ebraico), uno degli argomenti chiave che ha comunque permesso a Netanyahu, nonostante tutto, di vincere ancora una volta le elezioni.

Ma Gantz deve anche affrontare un accenno di “ribellione” interna, deputati che proprio nulla vogliono condividere con i partiti arabi, nemmeno come appoggio esterno. E il pallino è nelle mani del presidente israeliano Reuven Rivlin: entro il prossimo 17 marzo (coincidenza di date) dovrà affidare, dopo un brevissimo giro di consultazioni, a un membro della Knesset l’incarico di formare un nuovo governo. Trovare la quadra, come sempre, sarà un’impresa. Scrive Shlomo Ben-Ami, ex ministro degli Esteri israeliano nel governo laburista di Ehud Barak e attuale vicepresidente del Centro internazionale per la pace di Toledo: «E’ questo il vero, storico messaggio di queste elezioni. Se una battaglia per l’anima di Israele si sta svolgendo oggi, è tra la coalizione di estrema destra di Netanyahu e la Arab Joint List, non la sinistra ebraica o i centristi di Blu-Bianco. I sionisti liberali saranno in grado di arginare la crescente ondata di nazionalismo sfrenato solo attraverso un'alleanza condivisa con gli arabi israeliani».

Tra proposte di premier a rotazione e minacce di morte

Un futuro fosco per l’ex premier: e ora Netanyahu è una furia. Appena fiutato il cambio di vento ha cominciato a ringhiare: «E’ un attacco alla democrazia», ha gridato nel commentare il probabile accordo tra Lieberman e Gantz,  «un tentativo illegittimo di falsare le elezioni». Il suo team di avvocati ha immediatamente presentato una richiesta di rinvio di 45 giorni dell’udienza del 17 marzo, per non aver ricevuto nei termini e nei modi previsti il materiale su cui si basa l’accusa: un cavillo procedurale usato solo per prendere tempo. Appena saputo dell’appoggio di Israel Beytenu, il Likud ha inoltre richiesto un’indagine sullo stesso Lieberman, per un vecchio caso di corruzione. Ma, sottotraccia, ha fatto pervenire a Blu-Bianco una proposta per formare una maggioranza con premier a rotazione (in Israele non è una novità): Netanyahu primo ministro per il primo anno, seguito da due anni di Gantz e poi chiunque sarebbe stato il leader Likud al servizio dell'ultimo anno. Proposta, per ora, rifiutata.

Ma c’è di più. Il Parlamento israeliano ha appena rafforzato la scorta a protezione di Benny Gantz, oggetto nelle ultime ore di “credibili” minacce di morte. Gantz, come riporta The Guardian,  ha rivelato che un uomo ha cercato di aggredirlo sabato 7 marzo, durante un incontro pubblico, e che i sostenitori di Netanyahu continuano a minacciarlo online. Uno di loro, in un post, si augurava che Gantz fosse “eliminato come l'ex primo ministro Yitzhak Rabin”, assassinato da un ultranazionalista ebreo il 4 novembre 1995. In un altro post è stata pubblicata un’immagine ritoccata del leader di Blu-Bianco con indosso un copricapo arabo: fotomontaggi simili erano stati realizzati con il volto di Rabin, pochi giorni prima del suo omicidio. «Israele rischia di restare prigioniera di un passato fatto di divisione e di odio», ha recentemente dichiarato Noa Rothman, la nipote del premier laburista Yitzhak Rabin. «Quel passato che non passa ha il volto di Benjamin Netanyahu».

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