La superficie del pianeta Mercurio. Foto: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Carnegie Institution of Washington
È iniziato il conto alla rovescia: il 20 ottobre, dalla base europea di Kourou nella Guyana francese sarà effettuato il lancio di due satelliti verso Mercurio per studiarne l’origine e l’evoluzione, le caratteristiche pianetologiche, le proprietà dell’esosfera e della magnetosfera. La missione, frutto di una collaborazione tra Esa e Agenzia spaziale giapponese, è dedicata a Bepi Colombo, matematico, fisico, ingegnere, astronomo, che in passato con i suoi studi dette contributi significativi allo studio del pianeta. Fu lui a dimostrare la correlazione tra periodo di rotazione e periodo di rivoluzione di Mercurio. Fu sempre Colombo, invitato dalla Nasa a discutere sulla missione Mariner 10 in programma per il 1973, a proporre una modifica della traiettoria della sonda così da consentire non un solo incontro con il pianeta, ma ben tre, soluzione che fu in grado di fornire una quantità di dati assai maggiore.
Chi era Bepi Colombo
Ma facciamo un passo indietro. Con una laurea in matematica alla Scuola normale superiore di Pisa, Giuseppe Colombo (1920-1984) inizia la sua carriera all’università di Padova nel 1944 come assistente alla cattedra di meccanica razionale, fino a diventare professore ordinario nel 1955. Dopo aver insegnato alcuni anni anche a Catania, Modena e Genova, racconta Paolo Campogalliani nella sua biografia, nel 1961 viene chiamato alla cattedra di meccanica delle vibrazioni, di nuova attivazione in Italia, nella facoltà di Ingegneria dell’università di Padova. Gli viene affidato anche l’insegnamento di meccanica celeste nella facoltà di Scienze (e dal 1974 alla Scuola normale superiore di Pisa) e dal 1982 la cattedra di vettori e veicoli spaziali. Alla docenza in Italia alterna collaborazioni didattiche e di ricerca con numerosi istituti Oltreoceano, come l’Harvard College Observatory, lo Smithsonian Astrophysical Observatory, il Massachussetts Institute of Technology, il California Institute of Technology, il Jet Propulsion Laboratory di Pasadena.
È il 1958 l’anno in cui Colombo pubblica il suo primo contributo sulla meccanica celeste, un lavoro sul problema del movimento di un satellite artificiale nel campo di influenza del sistema Terra-Luna. Si tratta di un settore di ricerca, quello della meccanica celeste, che torna in auge alla fine degli anni Cinquanta con il lancio delle prime sonde spaziali e Colombo ne rimane affascinato. Nel giro di alcuni anni la sua reputazione scientifica cresce al punto tale da essere ritenuto uno degli esperti europei in materia, corteggiato dagli Stati Uniti (e reclutato dalla Nasa) per affrontare le sfide della nuova era spaziale. Pur essendo molti i contributi del suo ingegno – dalla missione Giotto sulla cometa di Halley alla missione Galileo su Giove solo per citarne alcune – il nome dello scienziato è legato anche al “satellite al guinzaglio”, il Tethered Satellite System, un satellite collegato con un filo al veicolo spaziale principale. Partendo da una intuizione di Mario Grossi, Colombo contribuisce a sviluppare il progetto: nel 1976 iniziano i primi studi di fattibilità alla Nasa e allo Smithsonian Center for Astrophysics e nel 1992 viene lanciato in orbita il primo satellite al guinzaglio (TSS-1) durante la missione STS-46 sullo Space Shuttle Atlantis.
Enrico Lorenzini, oggi docente del dipartimento di Ingegneria industriale dell’università di Padova, conosce Colombo nel 1981 all’Alenia di Torino (allora Aeritalia) dove lavorava e di cui lo scienziato era consulente. Fresco di laurea, viaggiava spesso in America con Colombo e l’allora capo del Piano spaziale nazionale, Guerriero, per promuovere lo sviluppo del satellite a filo. È Lorenzini a proseguire gli studi dello scienziato padovano dopo la sua morte. “Era una personalità fuori dal comune, forse ostico a tratti e a volte un po’ brusco, ma sicuramente uno scienziato geniale, un uomo di idee che poteva passare con grande disinvoltura dalla matematica alla fisica all’ingegneria”. E non tace un aneddoto. “Una volta accadde di trovarci insieme in aeroporto a Parigi. Bepi era in continuo movimento. Estrasse dalla borsa una calcolatrice e delle foto fatte da una sonda della Nasa che mostravano gli anelli di Saturno, e iniziò a fare delle misure. Subito dopo telefonò a un collega che lavorava a quegli argomenti per annunciargli la scoperta che aveva fatto, lì in attesa di un volo in aeroporto”.
Non si discostano da questi i ricordi di Alessandro Caporali, docente del dipartimento di Geoscienze, che incontra Colombo alla Nasa in America nel 1980, quando lavorava come borsista a un programma di ricerche di fisica fondamentale. “Giuseppe Colombo aveva una grandissima dimestichezza con le leggi della fisica e della meccanica analitica che poi ha applicato alla meccanica celeste, al moto dei pianeti e dei satelliti artificiali – racconta Caporali che allo scienziato padovano era unito da un sodalizio non solo professionale ma umano – Proponeva soluzioni ardite e geniali, ma al tempo stesso semplici ed efficaci che lasciavano tutti sbalorditi e che si dimostravano valide al punto da essere tuttora utilizzate”. Era una persona che conquistava per la sua immediatezza e semplicità. Non gli importava che il suo interlocutore fosse uomo, donna, bianco o nero, o di una certa posizione sociale, gli interessava solo poter parlare di aspetti tecnico-scientifici.
Di Colombo Caporali sottolinea anche la lungimiranza. “A me, che di formazione ero un fisico e che non avevo mai studiato geologia, suggerì di occuparmi di satelliti per applicazioni alle scienze della Terra, data l’importanza che avrebbero assunto. Seguendo le sue indicazioni, pur senza la sua guida dato che morì dopo poco nel 1984, mi sono avvicinato da autodidatta a una materia che non avevo mai affrontato durante il percorso universitario e oggi sono ordinario in geofisica della Terra”.