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In più occasioni su Il Bo Live abbiamo parlato di malattia di Alzheimer, da diversi punti di vista. Abbiamo approfondito i sintomi con cui si manifesta, ne abbiamo discusso le possibili cause. Confrontandoci con gli esperti del settore, abbiamo illustrato le terapie attualmente in uso e la direzione in cui si sta muovendo la ricerca. Ora, in occasione della Giornata mondiale dell’Alzheimer 2022, che ricorre il 21 settembre, vogliamo invece dar voce ai caregiver, a chi si prende cura quotidianamente di questi pazienti, molto spesso i familiari, per cercare di capire quali siano le difficoltà che si incontrano. Di seguito riportiamo la testimonianza di Anna e Marco, familiari di Teresa (i nomi sono di fantasia).
Anna e Marco avevano una famiglia come molti: lei lavorava part-time in una farmacia poco distante da casa; lui come chimico in un’azienda fuori città. Il figlio e la figlia frequentavano due istituti scolastici differenti, in sedi diverse, e come gran parte dei ragazzi nel pomeriggio praticavano sport o vedevano gli amici, con tutto ciò che questo implicava sul ménage familiare. Marco, originario della Liguria, si era trasferito in Veneto al momento del matrimonio, mentre la madre Teresa aveva continuato a vivere da sola a Genova, al quinto piano di un condominio (senza ascensore) in centro città. Comoda, dunque, ai servizi essenziali di cui aveva bisogno. In estate e a ogni festa comandata tutta la famiglia trascorreva parte delle vacanze a Genova, mentre Marco tornava a fare visita alla madre ogni mese o due.
Questo fino al 2018. Quell’anno infatti, durante una delle consuete visite, i coniugi si accorsero che qualcosa non andava. Teresa, aveva iniziato a non riconoscere persone che avevano sempre fatto parte della sua vita. Allora aveva 79 anni. Si rivolsero al medico di base, che prescrisse una visita neurologica. Fu eseguita una tac cerebrale, con cui si escluse la presenza di tumori e ictus. Allora il neurologo imputò i sintomi a una generica demenza senile e a problemi cardiovascolari, per cui prescrisse una terapia con cardioaspirina. Solo un anno più tardi, al terzo controllo medico, si giunse alla diagnosi di Alzheimer e alla prescrizione dei farmaci specifici.
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La malattia fu individuata quando era ancora in fase iniziale. Teresa continuava a essere autonoma nella sua quotidianità, anche su suggerimento dei neurologi; usciva per qualche passeggiata o per fare la spesa. Ma, ragionavano i due coniugi, non si poteva pensare che la gestione familiare rimanesse quella di prima. Trecento chilometri separavano Marco dalla madre e gli avrebbero impedito di raggiungerla immediatamente in caso di necessità. Decisero dunque per una badante, inizialmente due volte a settimana. Da parte sua, il figlio cominciò a intensificare le visite.
Nel corso di due anni, le condizioni della donna regredirono lievemente. Per un periodo fu costretta in un letto d’ospedale a causa di una frattura femorale, con tutte le conseguenze del caso: venne a trovarsi in un ambiente che non conosceva con persone estranee, e ciò influì anche sull’andamento della patologia, dato che nei pazienti con malattia di Alzheimer si rivela fondamentale mantenere una scansione più o meno simile delle giornate, una routine quotidiana. A peggiorare la situazione, le misure restrittive adottate per contenere la pandemia da Covid-19, su tutte il periodo di lockdown.
A quel punto si rese necessario intensificare l’assistenza. Una persona per poche ore a settimana non era più sufficiente. Un aspetto non secondario da considerare e gestire era, infatti, anche l’assunzione dei farmaci – si consideri che un anziano ha spesso anche patologie preesistenti –, che dovevano essere assunti a orari diversi e, a seconda dei casi, prima o dopo i pasti. Una telefonata poteva essere utile, ma non dava la certezza che la medicina venisse assunta. I coniugi ritennero dunque che si dovesse garantire un'assistenza domiciliare continua, 24 ore su 24. Tramite un’agenzia individuarono una badante che avrebbe assicurato la sua presenza dal lunedì al venerdì. Certo i costi non erano superflui e la retribuzione dovuta era di oltre 2.000 euro mensili: all’epoca Teresa percepiva una pensione di 500 euro e solo in seguito anche un’indennità di accompagnamento di altri 500 euro. Marco iniziò a recarsi dalla madre ogni fine settimana: partiva il venerdì e rientrava la domenica, usufruendo di permessi lavorativi o giorni di ferie.
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Per circa sette mesi la famiglia si organizzò in questo modo, ma la situazione stava diventando insostenibile. Perciò Marco e la moglie cominciarono a valutare di trasferire la donna in Veneto, dove abitavano. Con tutti i timori che derivavano dall’impatto che un simile cambiamento avrebbe potuto avere su Teresa. Presa la decisione, si trattava di capire quale fosse la sistemazione migliore. Accoglierla in famiglia si dimostrava impraticabile, considerate le dimensioni esigue della casa in cui vivevano. Presero in considerazione dunque il ricovero in una struttura per anziani e, in alternativa, l’affitto di una casa con una badante che potesse seguirla. Alla fine, optarono per la seconda soluzione. Temevano infatti che, affidandola a una casa di cura per anziani, avrebbero potuto vederla molto poco a causa delle restrizioni allora in vigore per evitare i contagi da Covid-19 e ritenevano altresì che la mancanza di volti e ambienti noti avrebbe potuto influire negativamente sul decorso della patologia.
Alla fine, riuscirono a trovare un appartamento a cinque minuti di auto da casa loro. Al primo piano, una signora si rese disponibile ad aiutare la famiglia nella gestione della paziente, per qualche ora a settimana.
Ormai da più di un anno, Teresa abita in Veneto e ha ancora un certo grado di autonomia. Esce in giardino, gioca col cane della vicina e chiacchiera molto, anche se frequentemente le frasi mancano di filo logico. Ama stare in compagnia, ma con le persone che fanno parte della sua quotidianità. Si è abituata gradualmente al nuovo ambiente e ricorda poco della sua casa di Genova. Anna le prepara ogni giorno il pranzo e la cena e ogni giorno lei e il marito vanno a farle visita.
Ora la famiglia ha raggiunto un certo equilibrio, ma i momenti difficili non sono mancati. “È come una morte lenta – osserva Marco –. Mia madre è ancora qui con noi, ma ormai non possiamo più condividere una fetta importante della vita che abbiamo in comune, perché lei non la ricorda. In parte è come dover affrontare un lutto”.