SOCIETÀ

Per un atlante globale storico e geografico delle migrazioni umane

Da tempo avvertiamo l’esigenza di promuovere la costruzione di un atlante geografico e storico globale delle migrazioni umane, un’impresa scientifica e culturale quanto mai urgente da perseguire, forse più come cantiere apribile da tante differenti discipline e da molteplici istituzioni collegate fra loro a livello internazionale, in una prospettiva evoluzionistica, con una pluralità di strumenti analogici e digitali in rete (volumi, musei, mostre, itinerari, mappe e cartografie con periodizzazioni sincroniche e diacroniche di barriere e confini). Un progetto scientifico di atlante dovrebbe poter garantire una comune griglia critica e poi distinguere bene: gli ecosistemi di partenza, transito e arrivo, l’impatto ambientale ed economico in ciascuno e globale; i differenti punti di vista umani, il migrante e le altre specie che migrano con lui; l’emigrante e chi lascia, incontra e contamina; l’immigrato e chi lo riceve, aspetta e rimpiange; il singolo e il suo gruppo di partenza, di viaggio, di arrivo; i migranti forzati morti migrando e dove, quelli sopravvissuti e dove; i punti di vista sociali, l’incrocio di famiglie, popoli, lingue, confini, diritti e Stati; le migrazioni soprattutto fisiche senza escludere del tutto alcune di quelle virtuali. Ecco si dovrebbe proprio puntare a uno zibaldone delle migrazioni, un atlante che allude ad Atlantide, alla emersione-immersione di isole, terre e civiltà, agli eventi e ai miti presenti e perduti in più tempi, in più spazi e in più culture.

La questione essenziale da affrontare e risolvere con spirito critico è come si mette una migrazione su una mappa (anche tridimensionale), come si “rappresenta” un fenomeno multiplo nei versi, nelle durate e nelle relazioni reciproche: il punto di partenza e il transito e l’arrivo, le impronte, l’entità umana (e non solo) che migra evolvendo, la specificità degli ecosistemi che co-evolvono, sincronie e diacronie, simmetrie e asimmetrie, valore né univoco né unitario di alcuni termini e concetti nel lunghissimo periodo. Si potrebbe partire dai gruppi umani effettivamente esistiti e seguire i loro tragitti erranti e migratori, le biforcazioni, i rientri, i cicli, gli intrecci, fin quando possibile; poi i gruppi più ampi e meticci, i popoli, le civiltà e le aggregazioni statuali. Si potrebbe partire da luoghi determinati (continenti, mari, isole, fiumi, montagne, Stati, ecc.), fissare quel punto o ecosistema: verificare arrivi, confinamenti e stratificazioni umane; migrazioni di specie e immigrazioni di gruppi umani, nella nicchia e invasive, liberi e più o meno forzati; migrazioni genetiche linguistiche culturali sociali; altri cambiamenti di quell’ecosistema. Oppure si potrebbe partire da predefiniti periodi temporali (ere geologiche; più specie umane; solo Homo sapiens; rivoluzione agricola; epoche; secoli; anni; giorni), fissare quell’intervallo di tempo: verificare partenze e percorsi di singoli gruppi umani; migrazioni più o meno ampie (sempre in proporzione alla demografia), forzate e più o meno libere; migrazioni genetiche linguistiche culturali sociali; anche guerre e clima; diaspore ed esodi, alcune “impronte” (idriche ad esempio). E ancora andrebbero correlate altre migrazioni di particolari prodotti materiali e immateriali, manufatti e idee, co-migrazioni di specie biologiche e idee, genetiche linguistiche musicali culturali sociali commerciali letterarie; anche idee e miti, alimenti e cucine. Ora con l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia Covid-19 e dalle conseguenti limitazioni della mobilità fisica si è anche parlato di una fortissima accelerazione della “migrazione” dei flussi di dati di privati e aziende sulle piattaforme digitali.

L’attitudine migratoria umana è un fenomeno sociale totale. Pur mancando ancora un progetto scientifico globale sui fenomeni migratori, che tenga pure conto oggi di diversità geografiche e stratificazioni umane, di differenze e disuguaglianze sociali, qualcosa sulla storia del migrare si è scritto. E va considerato allora opportuno e utile abbozzare i fili di un vero e proprio atlante delle migrazioni umane come hanno appena tentato di fare la docente universitaria Giovanna Ceccatelli con le ricercatrici Stefania Tirini e Stefania Tusini. È uscito a metà 2020 il volume Atlante delle migrazioni. Dalle origini dell’uomo alle nuove pandemie, Edizioni Clichy Firenze, pagine 445 euro 18. L’avvio sottolinea la seguente constatazione: migrare, muoversi in lungo e in largo sul nostro pianeta, è un fenomeno primordiale, irreversibile e universale, che distingue l’uomo dagli altri esseri viventi. Questa distinzione antropologica meriterebbe una effettiva comparazione non antropocentrica, tuttavia la sostanza è condivisibile. 


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Tutti noi sapiens oggi conviventi sul pianeta abbiamo come antenati, originari e condivisi, un uomo e una donna di colore. Pregiudizi, luoghi comuni, stereotipi possono essere corretti, ridimensionati, o addirittura sconfessati da numeri, documenti e dati oggettivi. L’autrice dichiara dunque che per fare un atlante delle migrazioni umane bisogna partire dalla paleontologia e dalla genetica, passando attraverso la storia e la geopolitica, per arrivare a ricostruire le cause e gli effetti, generali e contingenti, della situazione attuale, a livello internazionale ma soprattutto riguardo alla realtà in continuo mutamento del nostro paese. Le migrazioni, con la loro millenaria evoluzione e la loro planetaria geografia, possono aiutarci a ripensare il passato e a immaginare un diverso futuro. L’Africa è il più probabile luogo d’origine degli ominidi e della specie umana, l’intera popolazione “sapiente” cresciuta e giunta fino a oggi è discesa da un piccolo gruppo iniziale di africani neri. Migrazioni, accoppiamenti, discendenze familiari e continue forme di spostamento, rimescolamento e meticciato hanno prodotto infinite variazioni collettive e individuali. Senza la curiosità dei viaggiatori, il coraggio degli esuli e le speranze dei migranti il mondo sarebbe ancora un mosaico di culture chiuse, limitate e autoreferenziali. Quello della preservazione identitaria rischia di diventare l’ultimo baluardo dell’ignoranza etnocentrica e del sospetto securitario, che fingono di non vedere come niente nel mondo globalizzato e nella nostra vita quotidiana sia ormai specificamente appartenente a una singola cultura “etnica” o nazionale. Fra i diritti degli esseri umani, nostri e dei migranti, c’è o dovrebbe esserci pure quello di scegliere e modificare la propria identità, anzi di “inventarla” e trasformarla nel tempo, con un paziente e creativo lavoro di bricolage.

L’esperta sensibile sociologa Giovanna Ceccatelli, professore ordinario dell’Università di Firenze, ha svolto anche corsi sulla cooperazione e sulla mediazione dei conflitti, poi su razzismo, omofobia e altre forme di esclusione. Sulla base dell’esperienza di ricerca e didattica acquisite, a fine 2012 ha promosso e fondato con altri studiosi a Firenze una casa editrice indipendente, Edizioni Clichy, per la quale esce ora questo suo interessante corposo testo multidisciplinare che affresca con competenza e acume le tracce multidirezionali del fenomeno migratorio. Il bel volume non vuole essere un compendio scientifico, piuttosto soltanto un racconto divulgativo e ben orientato, una lettura della realtà che viviamo basata su delle idee, culturalmente e scientificamente strutturate, e su dei valori, cioè su una visione etica della realtà presente e della storia. Sul piano evoluzionistico correttamente si usa spesso il concetto di meticciato, nel caso della musicultura umana, della cucina e dello stesso umorismo, dell’antica Roma o del movimentato Medioevo e di un po’ tutte le città italiane, delle mescolanze nei diseguali rapporti di potere come nella schiavitù, della recente attenzione di papa Francesco. Frequenti e altrettanti significativi i riferimenti ai cognomi e ai toponimi meticci. Precisi e approfonditi sono i riferimenti ai due Global Compact recentemente attivati dall’Onu e in vigore ovunque, ben evidenziando il nesso fra diritto di restare e la libertà di migrare.

Ognuno dei cinque capitoli, pur senza grafici o tabelle, esamina una prospettiva mantenendo comunque continui riferimenti agli aspetti quantitativi e qualitativi dell’attualità e a una giustificata spietata critica agli approcci mediatici al fenomeno contemporaneo. Il primo (più breve) capitolo ricostruisce gli albori di Homo sapiens sulla terra e sottolinea come migrazioni e mescolanze siano state caratteri specifici e permanenti, dei quali vi sono impronte in ognuno di noi viventi oggi ovunque. Il secondo si concentra sugli ultimi millenni e poi sulla svolta delle scoperte e delle colonizzazioni, in particolare quelle europee del Nuovo Mondo, le Americhe e non solo. Il terzo capitolo è il più lungo e articolato: “la situazione attuale; cause ed effetti dei nuovi movimenti migratori”. Si parte ovviamente dai processi di decolonizzazione e dei migranti “di ritorno” per affrontare le dinamiche recenti dei disastri sociali e ambientali, in particolare le urgenze dei cambiamenti climatici antropici globali e i limiti degli aiuti allo sviluppo. Il quarto capitolo (“il ritorno dei muri e delle frontiere, norme di protezione e di difesa”, con il supporto della ricercatrice Stefania Tusini) ha un approccio più giuridico, dalla Dichiarazione Universale del 1948 alle claudicanti norme comunitarie; il quinto (“l’Italia del presente e quella di un possibile futuro”) più sociologico, sempre corredato di dati e riferimenti ineccepibili, dalla mitologia politico-culturale (l’invasione che non c’è, la sicurezza che non c’è) ai tanti imprevisti valori delle migrazioni. Un glossario degli acronimi e delle fonti con sitografia (con il supporto della ricercatrice Stefania Tirini), una bibliografia essenziale e una curiosa inedita filmografia completano il testo.

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