SOCIETÀ

Brexit in stallo tra Irlanda del Nord e voto di sfiducia a Theresa May

Aggiornamento: Theresa May ha superato il voto di sfiducia in Parlamento e potrà continuare il suo cammino di trattativa per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea.

Theresa May potrebbe ricevere questa sera il voto di sfiducia dal parlamento inglese: 48 rappresentanti dei Tory, il partito conservatore, hanno raccolto le firme necessarie (il 15% dei deputati) per avviare la verifica di fiducia al governo, spinti dalle scelte del primo ministro inglese di non costruire una Brexit dura come auspicavano dopo il referendum leave or remain del 23 giugno 2016. La sopravvivenza della May al voto di fiducia è cruciale: un esito negativo da parte del parlamento potrebbe mettere in discussione tutto il lavoro fatto fin ora e portare l’intero paese e non solo in un futuro di incertezze. “Una caduta del governo conservatore nel Regno Unito  - commenta Antonio Varsori, docente di storia delle relazioni internazionali all’università di Padova - aprirebbe a degli scenari assolutamente imprevedibili”.

La May si è detta pronta a fronteggiare questa emergenza interna con tutte le sue forze. In caso di sfiducia, oltre a un cambio di governo, è stata ipotizzata anche la possibilità di indire un nuovo referendum sul restare o lasciare l’Unione europea, per capire se la volontà del popolo inglese sia mutata dopo i recenti avvenimenti: “Se si votasse adesso, forse vincerebbe il remain. Anche i sondaggi precedenti (in riferimento al primo referendum, ndr) sostenevano che vincesse il remain - commenta il prof. Varsori -, poi ha vinto il leave. Dei sondaggi quasi nessuno si fida più, soprattutto se gli scarti sono minimi. Certo, potrebbe vincere il remain, è possibile, però nessuno scommette sulla vittoria di una delle due parti. Questa è una situazione in cui si sono messi in gioco tutti, dalla Gran Bretagna all’Unione europea, agli stessi leader”.

L’atteggiamento dell’Unione europea nei confronti della nazione uscente si è “ammorbidito” nel corso delle trattative: “All'inizio del processo Brexit - spiega Antonio Varsori -, la posizione dell'Ue era stata particolarmente dura: il timore era di creare un precedente. Accettata la scelta, l’Unione ha aspettato le conseguenze negative, l’incertezza politica interna, i problemi economici per dimostrare che uscire da questa organizzazione sia profondamente negativo, un esempio da non seguire. La vera questione è che l'economia inglese è talmente connessa con il resto del continente europeo che, soprattutto in una fase di incertezza economica come questa, ci si chiede quali siano le conseguenze nell'Unione nel caso in cui ci fossero problemi economici in Gran Bretagna. Il fatto è che non lo sa nessuno, nemmeno gli inglesi”.

Un pas de deux senza fine tra Unione europea e Regno Unito: uno dei più recenti problemi che sono stati posti sul tavolo delle trattative è il confine tra Ulster (Irlanda del Nord) e la repubblica d’Irlanda, fin ora entrambe parte dell’Unione europea. Questa comunanza ha creato una situazione economica in Irlanda del Nord particolarmente buona, grazie anche ai fondi europei: molte aziende, tuttavia, sono preoccupate per la loro sopravvivenza che dipende proprio dal futuro di questo confine.

Fino a oggi, non sono state avanzate proposte soddisfacenti a evitare un hard border con controlli su beni e persone: è stata presentata una possibile risposta, il backstop, in cui l’Irlanda del Nord rimarrebbe dentro i confini dogali e i mercati dell’Unione europea ma questa separazione non è ben vista dai conservatori inglesi. “Il fatto che non siano riusciti a trovare una soluzione condivisa da tutti dimostra come la questione del confine non sia semplice, - spiega Antonio Varsori - c’è una contraddizione di fondo molto forte. Da un lato abbiamo le esigenze economiche che premono per un confine relativamente aperto; dall’altro ci sono i rappresentanti dell'opinione unionista dell’Ulster che temono che, attraverso lo strumento economico, si arrivi in futuro a una possibile unificazione politica con la Repubblica d’Irlanda”. 

È uno dei nodi della Brexit più difficili da sciogliere: la storia ci dimostra come questo territorio sia stato sempre al centro di dualismi, ora tra Unione europea e Regno Unito e in passato tra nazionalisti e unionisti. “La questione ha delle radici secolari - racconta Varsori - che risalgono all'occupazione dell'Irlanda da parte degli Inglesi: questa dominazione è sempre stata sentita particolarmente dura e repressiva da parte degli irlandesi. C’è stata una sorta di sovrapposizione tra religione e ostilità nei confronti degli inglesi, quindi tra cattolici e protestanti”.

Il distacco dell’Ulster dall’Irlanda è stato causato dalla maggioranza di protestanti di origine britannica che si sono insediati nella regione nord orientale dell’isola, leali alla corona inglese. Questa presenza implicava perciò una minoranza, rappresentata dai cattolici irlandesi che hanno sempre avuto come obiettivo l’unificazione dell’Irlanda: “Questo ha condotto - continua il professore - a una situazione di conflittualità molto forte in cui gli elementi di carattere religioso si fondevano con elementi di carattere economico sociale perché molto spesso i cattolici erano in parte discriminati e rappresentavano i settori più poveri della popolazione dell'Irlanda del Nord. Il conflitto ha avuto caratteri diversi, dalla lotta per l’indipendenza al contrasto religioso e poi economico-sociale, con fenomeni di tipo terroristico, soprattutto da parte dell’Ira (Irish Republican Army). La repressione da parte inglese era forte e dura”.

Il dialogo per la pace tra i due fronti, iniziato intorno agli anni Novanta, si è concluso nel 1998 con la firma dell’Accordo del Venerdì Santo, durante il governo di Tony Blair: “Diciamo che il processo di pacificazione ha avuto pieno successo, infatti non vi sono stati successivamente fenomeni terroristici. Una situazione tranquilla e pacifica, facilitata dal fatto che entrambi i paesi fossero membri dell'Unione europea; vi è stata anche una crescita economica dell'Ulster per cui gli aspetti di carattere economico e sociale sono venuti parzialmente meno, anche grazie ai fondi europei. Il confine aveva poco senso, esisteva sì ma non aveva più quel significato così forte che aveva in precedenza”.

Un significato che si sta cercando di dare ora durante il processo di Brexit: “I legami che sono stati creati sono legami molto stretti e hanno soprattutto delle conseguenze economiche fortissime sulla popolazione. Il Regno Unito non è un paese minore, è una delle grandi economie dell'Unione europea, e Londra è la grande piazza economica e finanziaria d’Europa e del mondo. È questo ciò che rende la Brexit complicata: si tratta di un paese importante sotto diversi punti di vista e il vero problema sono le connessioni di carattere economico con l'Unione europea”.

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