SCIENZA E RICERCA

Cervelli rivitalizzati in laboratorio diverse ore dopo la morte

Il nostro cervello è estremamente sensibile alla mancanza di ossigeno. Un'interruzione del flusso sanguigno, anche solo di pochi minuti, può compromettere seriamente il funzionamento del sistema nervoso. Intervenire tempestivamente dopo un'incidente, un infarto o un ictus, è fondamentale per prevenire l'ipossia e l'anossia cerebrali, ovvero la carenza e la totale assenza di ossigeno nel cervello.

Un nuovo studio che si è guadagnato la copertina di Nature, condotto da un gruppo in gran parte rappresentato dalla Scuola di medicina dell'università di Yale, ha presentato dei risultati sorprendenti in merito a quello che le cellule neuronali possono ancora fare diverse ore dopo la morte dell'organismo.

La ricerca, guidata da Stephen Waxman e Nenad Sestan, cui ha partecipato anche Francesca Talpo, ora assegnista all'università di Pavia, è partita da 32 cervelli di mammiferi, maiali, le cui carni erano già state destinate alla macellazione, e da un sistema artificiale di perfusione, BrainEx, capace di simulare la circolazione sanguigna.

I cervelli, quattro ore dopo la morte degli animali, sono stati estratti dai corpi e attaccati a BrainEx, un sistema di pompe e filtri che ha fatto circolare nei cervelli una soluzione contenente una serie di sostanze, tra cui glucosio, ossigeno trasportato da emoglobina e vari agenti farmacologici, a una temperatura di 37 gradi.

In un periodo di perfusione di 6 ore, i ricercatori hanno riscontrato (rispetto al gruppo di cervelli di controllo) non solo un mantenimento della architettura cellulare e una riduzione della morte cellulare, ma anche evidenze in favore del ripristino di funzioni cellulari come l'attività sinaptica spontanea, risposte di dilatazione vascolare, risposte a stimoli farmacologici e metabolismo cerebrale attivo.

Diverse ore dopo la morte, questi cervelli sono stati rivitalizzati. Un risultato rivoluzionario, come hanno riportato alcuni esperti di bioetica, dell'università di Duke e di Stanford, sulle pagine di Nature, che rimette in discussione le nostre assunzioni riguardo a ciò che rende vivo un animale.

Come dovremmo comportarci, si erano chiesti alcuni di questi esperti in un commento su Nature pubblicato l'anno scorso, se i tessuti cerebrali studiati in laboratorio dovessero arrivare a esprimere piena funzionalità al punto da esibire le proprietà degli stati mentali soggettivi o esperienze coscienti? Una serie di barriere etiche sulla sperimentazione risulterebbero drammaticamente oltrepassate.

Nel caso dell'esperimento sui cervelli di maiale tuttavia questo scenario è rimasto ben lontano dalla soglia di sicurezza. I ricercatori infatti non hanno riscontrato attività cerebrale complessiva che possa essere associata ad attività percettiva o addirittura cosciente. Solitamente questo tipo di attività cerebrale è associata a due tipi di segnale: le onde alfa a bassa ampiezza (tra gli 8 e i 12 Hertz di frequenza) e le onde beta (tra i 13 e i 30 Hertz). Nei cervelli di maiale rivitalizzati l'elettroencefalogramma è rimasto piatto.

Nessuna forma di coscienza individuale è dunque stata resuscitata. Si è trattato solo di qualche scarica elettrica e della riattivazione di qualche funzione fisiologica e metabolica, il che non è affatto male per un cervello dato per morto. Ma forse sarebbe risultato bizzarro aspettarsi qualcosa di diverso da questo. Spesso si parla della coscienza nei termini di una facoltà di ordine superiore, e anche Nita Farahany, bioeticista dell'università di Duke, e i suoi colleghi nel loro commento su Nature usano precisamente questo termine.

Oggi risulta difficile sostenere che la coscienza sia esclusiva prerogativa del cervello o addirittura di una qualche sua area specifica. Secondo il neuroscienziato portoghese Antonio Damasio, l'esperienza cosciente è molto probabilmente il risultato emergente di un'interazione complessa tra mente e corpo, e senza il secondo non si può dare la prima. La coscienza deriverebbe da una comunicazione continua tra sistema nervoso e organismo: il primo traccia una serie di mappe del secondo e del mondo esterno, servendosi dei canali che l'evoluzione gli ha messo a disposizione: mappe visive, tattili, auditive, olfattive, di gusto, mnemoniche e soprattutto emotive. Sono i sentimenti, secondo Damasio, la musica di fondo della vita, che il corpo suona e il sistema nervoso ascolta. Sentimenti spontanei come la fame, la sete, la sensazione di freddo o di calore, il malessere, il dolore, sono le pulsioni fondamentali che alimentano la spinta all'autoconservazione dell'organismo e che dunque gli fanno percepire uno stato cosciente.

Un cervello in vasca può riprodurre tutte queste sensazioni e dunque esperire uno stato cosciente? Per ora pensiamo di no. Lo studio pubblicato su Nature rappresenta però un punto di partenza, un ottimo modello le cui variabili possono venire manipolate e studiate, per svelare quali condizioni debbano riscontrarsi per avvicinarsi a uno stato cosciente.

Ma sono almeno altre tre le importanti implicazioni di questo studio. La prima è di ordine etico, perché questo studio metterebbe in luce alcune “potenziali limitazioni nelle attuali regolamentazioni in tema di sperimentazione animale” riportano Farahany e colleghi. La seconda è di natura legale, e viene sollevata in un altro commento pubblicato su Nature: quanto tempo deve trascorrere dopo la morte di una persona per espiantare gli organi destinati al trapianto?

La terza infine è di ordine medico: BrainEx ci ha mostrato che alcune capacità cerebrali possono essere ripristinate anche alcune ore dopo la deprivazione da ossigeno. Per comprendere come questo risultato possa avere applicazioni negli interventi di pronto soccorso dei nostri medici occorre però attendere nuove e più approfondite ricerche.

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