Foto di Massimo Pistore
Il cinema sta cambiando e, come di fronte a ogni cambiamento, ci sono solo due possibili reazioni: mettere in atto qualsiasi stratagemma possibile per contrastarlo o rallentarlo, oppure decidere di accettarlo e farne parte.
Non serve guardare troppo indietro nel tempo per trovare qualche esempio di cambiamento che ha provocato una rivoluzione. Prendendone solo uno, ma significativo, potremmo ricordare cosa è successo quando è nata la televisione. L’avvento del tubo catodico ha provocato un enorme cambiamento nella radiofonia: sebbene il televisore ne abbia preso il posto in casa, la radio non è morta. Si è invece evoluta, specializzata, integrata. Certo, qualche emittente ha chiuso, ma altre hanno saputo ritagliarsi altri mercati, qualche nicchia, o si sono specializzate. E così televisione e radio vissero entrambe felici e contente, rendendosi conto che potevano coesistere e, anzi, aiutarsi a vicenda. E, incredibile ma vero, continuano a farlo anche dopo l’avvento di internet, del podcasting, dello streaming e dell’on demand.
Nonostante la storia ci parli molto chiaramente a riguardo, il cercare di bloccare il cambiamento, opponendosi o mettendo degli intralci, rimane ancora una via molto percorsa. Ma il cinema aveva bisogno di un cambiamento, che lo riportasse vicino alle esigenze della società che, senza ombra di dubbio, è cambiata profondamente negli ultimi 30 anni. Mentre le sale cinematografiche si sono gradualmente svuotate, sono scesi nuovi giocatori in campo: giovani, innovativi e agguerriti. Si tratta di realtà come Netflix che, nel corso del tempo, sono passate dalla semplice distribuzione di contenuti via internet, a produrne di originali. Nel 2013, infatti, è arrivata House of cards, la prima serie televisiva originale, che ha ottenuto un successo mondiale.
Alberto Barbera fotografato da Massimo Pistore
Finché si è trattato di telefilm, i produttori cinematografici tradizionali hanno potuto dormire sonni tranquilli, ma già tre anni fa alla Mostra del cinema di Venezia è stato presentato Beasts of No Nation, casa di produzione: Netflix. Al tempo nessuno ha detto nulla. La situazione è cambiata dallo scorso anno, quando il festival di Cannes ha chiuso le sue porte ai nuovi player globali (anche ad Amazon).
Qualcuno però, si è reso conto che il cinema sta attraversando un momento storico, un momento di transizione. Questo qualcuno è Alberto Barbera, il direttore artistico della Mostra del cinema di Venezia, che accogliendo in concorso film prodotti da Netflix e Amazon, ha anche dichiarato di vedere “il futuro del cinema tra le sale e la nuova realtà streaming”.
E così la “N rossa” è comparsa all’inizio di ben cinque film al Lido, partendo proprio dal vincitore dell’edizione numero 75: ROMA di Alfonso Cuaron. Poi ci sono stati i fratelli Coen, e anche 22 July di Greengrass. Uscendo dalla competizione di massimo livello troviamo Sulla mia pelle di Alessio Cremonini, vincitore morale della categoria Orizzonti e premiato in sala dai sette minuti di applausi. Altri due i titoli fuori concorso prodotti da Netflix, tra cui il documentario sulle ultime settimane di vita del regista Orson Welles They’ll love me when I’m dead, e il film incompiuto dello stesso Welles The other side of the wind. Anche Amazon è stato presente in concorso con il chiacchieratissimo Suspiria di Luca Guadagnino, remake-tributo del film omonimo del maestro Dario Argento.
Il successo e la quantità di questi film, con l’aggiunta della vittoria proprio di uno di loro, ha sollevato le proteste dell’Anac (Associazione nazionale autori cinematografici), della Fice (Federazione italiana cinema d’essai) e dell’Acec (Associazione cattolica esercenti cinema) perché, secondo il loro parere, la Biennale si è resa “veicolo di marketing della piattaforma Netflix”, e ancora che “sta mettendo in difficoltà il sistema delle sale” e non trovano giusto che il Leone d’oro sia visto solo dagli abbonati alla piattaforma.
Ma i film arriveranno anche nei cinema, o almeno in alcune sale “selezionate”. Questo accadrà sicuramente per i film di grande richiamo e per quelli che ambiscono all’Oscar, dato che il regolamento del concorso prevede che i film siano proiettati nelle sale degli Stati Uniti per almeno sette giorni consecutivi nell’anno in corso.
Ed è proprio qui che si inizia a intravedere un’altra faccia della medaglia: Netflix, come Amazon, ha bisogno di attirare grandi nomi e di ottenere grandi risultati perché le sue produzioni originali, finora, non hanno ancora raggiunto la diffusione e la notorietà delle sue serie tv epocali (Stranger things su tutte). Di certo il Leone d’oro è un primo risultato, ma l’obiettivo è, appunto, l’Oscar. Infatti la sensazione è quella che il pubblico ancora non abbia collegato Netflix con la produzione originale di lungometraggi, quindi uno dei bisogni più impellenti della “N scarlatta” è proprio distribuire i film in sala, affidandosi ai budget giganti tipici della distribuzione “ordinaria”. Quindi ecco il colpo di scena: l’innovatore ha bisogno della tradizione.
“ Il Leone d’oro è un primo risultato, ma l’obiettivo è l’Oscar
Insomma il quadro è più intrecciato del previsto: da una parte c’è l’innovazione che avanza a passi lunghi e ben distesi, dall’altra la tradizione che si chiude a riccio e chiede embarghi per proteggere il sistema delle sale. Secondo gli analisti di Hollywood reporter Netflix, Amazon e quelli che arriveranno, cambieranno il concetto di film in cinque anni. Questo cambiamento è già in atto in un sistema che ora più che mai ha bisogno di tempo per assestarsi, e (soprattutto) del coraggio di integrarsi.