SCIENZA E RICERCA

Clima, al via la COP25 di Madrid: la politica alla prova delle decisioni vere

Ci risiamo. I governi del mondo (196 Paesi, 197 se decidiamo di considerare l’Unione Europea nella sua interezza) si riuniscono oggi (e fino al 13 dicembre) alla COP25 di Madrid. 

Si tratta della riunione, sotto l’egida delle Nazioni Unite, che dovrebbe (il condizionale è obbligatorio) dare una serie di risposte, sotto forma di azioni vincolanti, alle evidenze scientifiche rispetto al cambiamento climatico: il nostro pianeta sta soffrendo e ci troviamo di fronte a una situazione di quasi non ritorno, se non si metteranno in atto politiche reali e fattive per contrastare gli effetti del cambiamento climatico. 

Il contesto e lo scenario

La COP25 dell’UN Climate change conference si tiene a Madrid, ma sarà presieduta ufficialmente dal Cile: la sede è stata spostata all’ultimo per via dell’instabilità nel Paese sudamericano che non permetteva di garantire una sicurezza adeguata da parte delle autorità cilene. 

La conferenza si apre in una situazione politica di grande incertezza: non ci sarà il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Al suo posto presenzierà Nacy Pelosi, la speaker democratica della Camera congressuale americana. Non si tratta di una questione di poco conto: gli USA hanno formalizzato la loro uscita dagli accordi di Parigi, mettendo, in questo modo, in salita i già difficili colloqui che si dovranno affrontare durante la COP25. 

Le difficoltà sono molteplici e tutte collegate alle evidenza scientifiche della comunità internazionale che dicono solo ed esclusivamente una cosa: o si agisce con modi e tempi certi per ridurre il più possibile le emissioni di gas climalteranti nell’atmosfera o le conseguenze climatiche saranno inevitabili e disastrose. L’ultimo rapporto, pubblicato pochi giorni fa dalle Nazioni Unite dice proprio questo: è necessario fissare dei paletti ancora più stringenti, chiedendo ai Paesi di ridurre le emissioni di CO2 di una quota pari a 7,5 punti percentuali all’anno da qui al 2030.


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In questo contesto è chiaro che il disimpegno degli Stati Uniti, unito alle incognite di alcuni altri Paesi poco “amici” del clima renderà i colloqui davvero difficoltosi. Il Brasile di Javier Bolsonaro è apertamente contrario alle politiche green; altri Paesi emergenti come l’India faticano a trovare soluzioni che non danneggino la crescente domanda industriale in produzione di energia; la Cina, nonostante si stia imponendo come leader mondiale nell’industria delle rinnovabili, rimane il secondo stato inquinante al mondo. In mezzo c’è l’Unione Europea che proprio pochi giorni fa ha ratificato una risoluzione in cui dichiara l’emergenza climatica e ambientale. 


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La COP25

Compito della conferenza internazionale è di tradurre in azioni reali e concrete i tanti nodi, ancora irrisolti o non completati, derivanti dal famoso accordo sul clima di Parigi (dicembre 2015). La precedente riunione a Katowice, Polonia, nel 2018 (COP24), non era stata risolutiva e aveva lasciato uno strascico di polemiche non indifferenti, facendo cadere nel vuoto gli appelli internazionali degli scienziati. La COP25 dovrà anche scavallare il 2020, l’anno in cui i Paesi aderenti hanno dichiarato di voler raggiungere e migliorare i piani per le azioni climatiche e porre le basi per quelle future. Le discussioni verteranno sui temi più disparati: dal piano finanziario alla trasparenza, passando attraverso questioni cruciali come la tutela delle foreste, la tecnologia, l’agricoltura, ancora la tutela della popolazioni indigene e così via. 

La parola d’ordine, rimarcata anche dal segretario generale dell’ONU, è: urgenza. Un'urgenza tale che la COP prevista per ridiscutere gli accordi di Parigi sarebbe dovuta essere quella di Glasgow, nel 2020, ma la data è stata anticipata proprio per la velocità con cui i cambiamenti climatici stanno manifestando i sintomi sulla Terra.

 

I mercati del carbonio

Uno dei temi da affrontare sarà quello di definire come le compensazioni da parte di chi inquina di più, comprando di fatto crediti dada progetti o imprese virtuose siano in grado di svolgere un ruolo chiave e positivo all’interno degli sforzi globali. A livello squisitamente tecnico si dovrebbero riaggiornare le regole contenute nell’articolo 6 dell’Accordo di Parigi. Regole in scadenza nel 2020 e definite all’interno del Protocollo di Kyoto. Si tratta di principi riguardanti l’emission trading scheme e i clean devolopment mechanism. Non definire i nuovi principi rischierebbe di creare un pericoloso vuoto normativo che potrebbe generare anche instabilità economica. Questi accordi servirebbero, in particolare, per i Paesi più industrializzati, quelli in cui le azioni di decarbonizzazione costano di più e che potrebbero trovare, di conseguenza, meccanismi validi per compensare o alleviare i costi in tal senso. 

Il clima e gli accordi per i finanziamenti virtuosi 

Tra le tematiche da trattare si tornerà a parlare delle azioni economiche a sostegno del clima. Si tratta del Green Climate Fund, fondo sulla carta istituito nel 2010 a Cancun e che prevederebbe la movimentazione di 100 miliardi di dollari l’anno entro il 2020. La cifra servirebbe per aiutare i paesi meno sviluppati nella transizione alla decarbonizzazione. La cifra è soggetto a un balletto: i 100 miliardi non sarebbero stati ancora raggiunti. Le ultime stime dell’OCSE parlano di poco più di 71 miliardi. Anche in questo caso la parola d’ordine rimane urgenza: alla COP26 si dovrà discutere dello step successivo, a partire dal 2025. E quella cifra sarà destinata, per forza di cose, a crescere. 

Le compensazioni per i disastri climatici

È nelle cronache mondiali di tutti i giorni, purtroppo: le conseguenze del riscaldamento globale si fanno già sentire con l’aumentata ripetitività di fenomeni climatici e meteorologici intensi. Alla Cop25 i Paesi più vulnerabili e finanziariamente meno attrezzati chiederanno una modifica di accesso ai risarcimenti da questi danni. Il meccanismo di compensazione è già previsto e si trova all’interno del WIM (Warsaw International Mechanism for loss and damage), ma le regole devono essere riviste, cercando i fondi necessari e migliorando i modi a cui si accede al fondo

C’è, insomma, molta politica da discutere. L’importante è che la discussione porti ad azioni concrete e non si traduca, invece, nell’ennesimo rinvio. Procrastinare non è più un’opzione valida. Lo dice la scienza, lo chiedono le nuove generazioni che, nuovamente, manifesteranno – con a capo Greta Thunberg – affinché i decisori facciano i decisori, realmente.

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