SOCIETÀ

Continuano a morire, dovevano essere salvati

Continuano a morire per mare e per terra. Il 14 febbraio 2023, secondo quanto riferito dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni presente in Libia (OIM, collegata all’Onu), 73 erano i morti, fra cadaveri recuperati (undici nella stessa spiaggia di partenza, dieci uomini e una donna) e persone disperse (sessantadue al momento dell’allarme), sul gommone che aveva a “bordo” circa 80 persone (sette sopravvissuti portati in ospedale in brutte condizioni), partito da Qasr Al Kayer nel Mediterraneo centrale. Tra il 28 e il 29 gennaio 2023 la Guardia costiera della Tunisia aveva tratto in salvo nella notte 24 migranti subsahariani a bordo di un'imbarcazione colata a picco nel tratto di mare davanti alle coste di Louata, nel governatorato di Sfax, 13 altri migranti risultavano ancora dispersi. Il 6 gennaio 2023 un naufragio al largo di Lampedusa aveva provocato tre ulteriori vittime, tra i corpi recuperati un bambino di un anno (la Procura della Repubblica di Agrigento aveva subito aperto un'inchiesta con ipotesi di reato a carico di ignoti, di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e morte quale conseguenza di altro reato). 

Al 23 gennaio almeno 25 erano stati in tutto morti e dispersi nel Mediterraneo centrale, per un totale di 20.247 dal 2014 (progetto Missing Migrants dell’OIM), ormai abbiamo già superato ampiamente i centotrenta quest’anno, una costante mortifera. Secondo le stime di OIM 1.377 persone sono tragicamente morte o scomparse solo nel Mediterraneo centrale solo durante il 2022. In un contesto che conferma "il venir meno di assetti di soccorso europei" e "gli ostacoli posti alle Ong". Qualche anno fa ha riassunto dati e rotte degli ultimi decenni il giornalista Emilio Drudi (in Fuga per la vita, Simple Tempi Moderni, Macerata 2017), che periodicamente aggiorna la situazione, ricostruendo i percorsi dei migranti in fuga da dittature, conflitti ambientali ed etnici, guerre e dittature, disastri ambientali, mostrando il dramma dei profughi di oggi, i percorsi, le aspettative e le storie, accanto alle contraddizioni del nostro sistema di accoglienza.

Più traversate, più sbarchi, più morti, non essendoci vie regolari di accesso

I profughi complessivamente morti nel corso del 2022 sarebbero stati ancora una volta tantissimi, più di dieci al giorno nel tentativo di arrivare in Europa, 3.724 sapiens scomparsi in viaggio, perduti alla propria vita e ai propri cari, quasi il 3% in più delle 3.619 vittime del 2021. Morti di cui hanno responsabilità anche istituzioni pubbliche che potrebbero o dovrebbero salvare e assistere mentre, invece, restano inerti e silenti di fronte all’annientamento di vite, pensando così di essere più “popolari”, di garantirsi consenso e potere. Delle 3.619 vittime del 2022, 3.403 sarebbero state “inghiottite” dal mare e 321 invece lungo le vie di terra africane, del Medio Oriente o della rotta balcanica. 

Il 17 febbraio scorso diciotto persone, fra cui un bambino, sono state trovate morte all’interno di un camion che trasportava legname nelle vicinanze di Lokorsko, un villaggio a 20 km a nordest della capitale bulgara Sofia, “clandestini” secondo il sito del ministero dell’Interno della Bulgaria, migranti sul suolo bulgaro provenienti dall’Afghanistan, nonostante il muro di 234 km costruito al confine con la Turchia. 14 sono stati trovati ancora all’interno del camion, otto in gravi condizioni, portati d’urgenza all’ospedale nella capitale. Altre dieci persone sono state trovate nascoste fra degli arbusti nelle vicinanze, mentre gli autisti sono fuggiti. Casi analoghi sono purtroppo già avvenuti in passato, talora nemmeno “censiti” (come anche in mare).

Continuano a morire. Le rotte via mare più pericolose sarebbero quelle spagnole, in Atlantico verso le Canarie o verso il Mediterraneo occidentale, con 1.607 vittime, una ogni 17,9 migranti arrivati, in aumento rispetto a una ogni 27 nel 2021. In forte crescita anche il tasso registrato nel Mediterraneo orientale: una vittima ogni 23,4 arrivi per un totale di 391 morti rispetto a quello di una ogni 72,3 precedente, con un totale di 104 vittime. Quanto al “nostro” Mediterraneo centrale, il dato assoluto delle vittime è tra i più alti mai registrati. Una tragedia che deriva anche dai muri (di mare e di terra) eretti dall’Ue per tenere fuori i profughi a qualsiasi costo. Ne sarebbero state vittime anche i circa duecento mila bloccati e respinti dalle polizie degli Stati che si sono accordati con l’Ue per svolgere la “sorveglianza” dei confini dell’Unione: Turchia, Egitto, Sudan, Libia, Niger, Tunisia, Algeria, Marocco, paesi a cui abbiamo dato denaro, armi, copertura istituzionale, per respingere, perseguitare, torturare, a volte uccidere donne, bambini, uomini in fuga dalle dittature e dai cambiamenti climatici.

La morte dei migranti sarebbe evitabile nella maggior parte dei casi, la partenza inevitabile quasi sempre

Continuano a partire. Nella settimana italiana del Carnevale, con il migliorare delle condizioni meteo sono aumentate le partenze dei migranti sia dalla Libia che dalla Tunisia. A Lampedusa continuano a sbarcare da tante successive imbarcazioni centinaia di migranti, ogni giorno, l’hotspot è stracolmo, nonostante alcune immediate ricollocazioni, ma ora vi sono meno operatori Rai (servizio pubblico) a documentare la situazione, e anche le agenzie di stampa lesinano notizie, mentre d’altra parte le navi Ong impegnate in area dei soccorsi nel Mediterraneo centrale vengono dirottate verso i lontani porti del Nord Italia, alti Adriatico e Tirreno.

Alle 8 del 16 febbraio 2023 erano 7.741 i sapiens migranti sbarcati sulle coste italiane da inizio anno. Nello stesso periodo, nel 2022 furono 4.263 mentre nel 2021 2.486. Nel 2023 oltre mille risultano di nazionalità ivoriana (13%), sulla base di quanto dichiarato al momento dello sbarco; gli altri provengono da Pakistan (967, il 13%), Guinea (912, il 12%), Egitto (430, il 6%), Tunisia (416, il 5%), Siria (338, il 4%), Afghanistan (336, il 4%), Bangladesh (253, il 3%), Eritrea (236, il 3%), Camerun (225, il 3%) a cui si aggiungono 2.596 persone (34%) provenienti da altri Stati o per le quali risultava ancora in corso la procedura di identificazione.

E, nel frattempo, Lampedusa non è stata certo aiutata a reggere l’impatto, lasciata di nuovo sola e bistrattata: in pochi giorni sono arrivati migliaia di altri migranti, ormai oltre diecimila via mare in Italia da inizio 2023, numeri in crescita (non è questo il problema) e numeri non allarmanti (visto quanti siamo in Italia e in Sicilia), ma esorbitanti se circoscritti a un piccolo spazio detentivo nascosto in una piccola isola.

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La capienza formale era e resta di quattrocento disagevoli posti (come limite massimo istituzionale), in questi giorni gli “ospiti rinchiusi” hanno quasi sempre superato i duemila (come realtà quotidiana di vita), giunti perlopiù dalla Tunisia dove crescono povertà e disoccupazione (i veri e propri cittadini tunisini che partono sono però ancora una minoranza degli arrivi). L’hotspot di Lampedusa è stato più volte redarguito dalle istituzioni europee, anche di recente, per le gravi violazioni che sono sistematicamente attuate nel centro in una condizione di sostanziali invivibilità e invisibilità. La soluzione finora adottata è stata di silenziare le informazioni.

All’alba di lunedì 20 febbraio erano 2.168 i migranti ospiti dell’hotspot di Lampedusa al collasso, i giornali siciliani continuano a parlarne. A centinaia, da giorni, continuano a dormire, con materassini di fortuna e coperte termiche, nel piazzale antistante della struttura. Nonostante la raffica di trasferimenti effettuati dalla Prefettura di Agrigento, che è arrivata a spostare anche 1.041 persone in una sola giornata, la struttura resta insopportabilmente piena. Novanta dei migranti ospiti sono stati il 20 mattina trasferiti al porto e imbarcati su una motovedetta della guardia di finanza con rotta verso Pozzallo. Altri 183 risultano quasi imbarcati sul traghetto di linea per Porto Empedocle. Ma la situazione resta drammatica. C’era pure un cadavere su uno dei barchini soccorsi al largo di Lampedusa domenica 19. È sempre e ancora così: se non si accoglie regolarmente, se non si assiste chi è in difficoltà in mare, non tutti riescono ad arrivare vivi.

La migrazione è un fenomeno fisico sociale politico, la cui intima sostanza non è molto cambiata nei millenni

Eppure non sarebbe male ricordare che noi sapiens abbiamo migrato per mare e per terra fin da quando siamo apparsi sulla scena della Terra, come ha di nuovo spiegato saggiamente recentemente un grande scienziato sociale: Massimo Livi Bacci, Per terre e per mari. Quindici migrazioni dall’antichità ai nostri giorni, Il Mulino Bologna 2022. La migrazione è un fenomeno fisico sociale politico, la cui intima sostanza non è molto cambiata nei millenni; un fenomeno difficilmente classificabile, per la varietà delle motivazioni, delle selezioni e delle modalità con cui avviene; per l’intermittenza del suo fluire nel tempo; per la molteplicità delle circostanze che lo accompagnano; per convenienze e conseguenze che determina. Duemila anni fa Seneca (esiliato in Corsica dall’imperatore Claudio) aveva già capito tantissimo (certo più dei decisori politici attuali): per lui il mondo conosciuto era già da tempo un crogiolo di etnie, culture e lingue, conseguenza della stratificazione storica delle migrazioni; un mondo di migranti mossi dalla natura umana e per mille spinte concrete lungo vie spesso impervie e ignote, assicurando a tutti (anche a chi non migra) il rinnovo e il ricambio delle società. 

L’autore esamina quindici episodi di migrazione, storicamente e geograficamente determinati, diversissimi per luoghi e tempi, moventi o modi o effetti, raggruppati a seconda del grado di libertà individuale che ha informato la scelta di migrare (termini oculati e scelta colta). Per spostare intere etnie da un capo all’altro dell’impero bastava un cenno dell’Inca in Perù, o una decisione del Politburo in Unione Sovietica, ma per insediare il continente nordamericano occorsero milioni di decisioni individuali. Le migrazioni poste in atto dall’attività militare di Roma furono di soli uomini, le filles du roi furono solo donne, i tedeschi reclutati da Caterina la Grande solo famiglie, i Goti e i Longobardi e altre etnie barbariche interi popoli. I Greci ápoikoi nel Mediterraneo erano poche migliaia, la migrazione transoceanica riguardò decine di milioni di persone. I migranti stagionali in Europa coprivano distanze ridotte, gli haitiani vittime di disastri hanno viaggiato su e giù per un intero continente. 

Lo stimato demografo ha realizzato un bel testo, intelligente nella concezione, multidisciplinare nel contenuto, godibile nello stile. Non un’impossibile storia di tutte le migrazioni umane, non un improbabile campione globale sistematico, piuttosto occasioni di riflessione comparata sul fenomeno antico e ubiquo della nostra capacità di migrare (sempre e ovunque), “qualità istintuale connaturata agli esseri viventi” (come opportunamente sostiene l’autore, forse poteva aiutare qualche riferimento alla biologia evolutiva), “fattore di ricambio e rinnovo delle collettività” capace di influenzare le decisioni di governo (e qui forse poteva aiutare la definizione del fenomeno come diacronico e asimmetrico). Le prime storie riguardano proprio l’antichità euromediterranea: le colonie di città greche almeno dall’VIII al VI secolo a.C.; l’estensione del mondo romano soprattutto tramite selezione di veterani (delle tante guerre) guidati dallo Stato centralizzato; la pressione dei popoli germanici sulle frontiere dell’impero a partire dal III secolo. 

Seguono nel testo altre storie di migrazioni forzate politiche, in tutto o in larga parte: volutamente non la già trattata deportazione degli schiavi, bensì i tre casi dell’impero Inca nel XV e XVI secolo, dell’impero ottomano al tramonto (da poco più di un secolo fa), dell’Urss negli anni della seconda guerra mondiale. Poi quelle a seguito di “misfatti della natura”, in tutto o in larga parte: le siccità (in particolare la Grande Seca del 1877-1879 nel nord-est brasiliano e il Dust Bowl in almeno tre stati americani negli anni Trenta del Novecento), i disastri geomorfologici e climatici (come ad Haiti il terremoto del 2010 e l’uragano del 2016), le carestie alimentari conseguenti a “malattie” negli ecosistemi (come la distruzione della patata in Irlanda tra il 1845 e il 1850, causa peronospora).

Fra le migrazioni più libere la distinzione essenziale è fra quelle organizzate (le giovani donne inviate dalla Francia al Québec dal 1663 al 1673; i tre secoli del Drang nach Osten, la germanizzazione dell’est europeo; la colonizzazione della valle del Volga operata da Caterina la Grande tra il 1674 e il 1767) e quelle più individualmente libere, a ondate da contesti impoveriti o verso nuovi mercati del lavoro, sia internazionali che nazionali. Qualche mappa, un colorato inserto iconografico, buon apparato di note, indici dei luoghi e dei nomi. Sulla base di quel che abbiamo vissuto, quanto accade oggi potrebbe finalmente comportare meno guai e morti, invece non è così.

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