SOCIETÀ

Conto alla rovescia per salvare Ahmadreza Djalali

La notizia ha iniziato a correre sul web nelle ultime ore: dopo quattro anni di detenzione il medico e ricercatore irano-svedese Ahmadreza Djalali sta per essere trasferito nella prigione di Raja’i Shahr a Karaj perché venga eseguita la sentenza capitale a cui è stato condannato dalle autorità di Teheran. A dare la notizia è stata Vida Mehrannia, moglie Djalali, dopo che per la prima volta dopo oltre un mese ha avuto la possibilità di parlargli al telefono per appena due minuti.“Abbiamo notizie che sono chiaramente tragiche e che ci hanno mosso profondamente”, conferma a Il Bo Live Claudia Padovani, docente presso l’università di Padova di governance della comunicazione e nel coordinamento nazionale della rete Scholars at Risk (SAR), da anni in prima linea per la liberazione del medico e ricercatore. “Si tratta di una storia ormai lunga – continua Padovani –, parliamo di un ricercatore che è incarcerato per anni a seguito di un processo non regolare, come rilevato da un rapporto delle Nazioni Unite, e per il quale si sono mobilitate sia la comunità accademica che le organizzazioni internazionali dei diritti umani”.

Intervista di Daniele Mont D'Arpizio; montaggio di Elisa Speronello

Djalali era conosciuto e stimato a livello internazionale come medico e ricercatore, esperto di medicina dei disastri e assistenza umanitaria, quando nel 2016 venne arrestato mentre si trovava in Iran per partecipare ad alcuni seminari ai quali era stato invitato nelle università di Teheran e Shiraz. Nel corso della sua carriera aveva lavorato con diverse università, tra cui il Karolinska Institutet di Stoccolma, dove aveva completato il suo dottorato, la Vrije Universiteit di Bruxelles e l’Università del Piemonte Orientale, dove aveva contribuito alla creazione del Centro di ricerca in emergenza e disastro (Crimedim). Sempre in Italia aveva partecipato a un progetto che valutava il livello della preparazione degli ospedali sulle situazioni in emergenza. Durante la detenzione e il processo Djalali non ha potuto difendersi liberamente, è stato torturato psicologicamente e fisicamente ed è stato privato delle cure mediche necessarie. Dall’arresto risulta aver perso 24 kg e ora pesa 51 kg.

Scholars at Risk (SAR) è un network di oltre 500 università distribuite in 40 Paesi (tra cui l’Italia) che sostiene e incentiva il valore della libertà accademica. Nel gennaio 2018, SAR ha promosso la campagna #SaveAhmad attraverso i social media per esercitare pressioni sulle istituzioni pubbliche per sostenere il rilascio di Djalali. L’Università di Padova, in collaborazione quella di Trento, coordina le attività della sezione italiana di SAR e questa estate ha promosso un evento on line, nell’ambito del primo Seminario di Advocacy sulla libertà accademica, con studenti e studentesse per promuovere una petizione sul caso e in favore di Niloufar Bayani, altra studiosa detenuta in Iran.

Come SAR Italia al momento abbiamo presentato un’altra lettera all’ambasciatore iraniano in Italia e inoltre abbiamo coinvolto la Conferenza Italiana dei Rettori, che proprio in queste sta preparando un documento – continua Claudia Padovani –. Ricordiamo che l’Italia è coinvolta direttamente perché Djalali ha fatto ricerca e ha risieduto nel nostro Paese. La nostra richiesta è di aderire tra gli altri all’appello di SAR International, seguire i nostri social e dare la maggior diffusione possibile alla vicenda attraverso gli hashtag indicati. Credo che in questo momento sia responsabilità di ognuno far sentire la propria voce di fronte a una violazione così terribile dei diritti umani e della libertà accademica”.

Comunicato stampa di SAR international, con link all’appello da firmare

Twitter: @ScholarsatRisk

#SaveAhmadreza #FreeDjalali #AhmadrezaDjalali

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