SOCIETÀ

La corte suprema ferma il governo UK: no alla deportazione dei migranti in Rwanda

Ora per i conservatori britannici si mette davvero male: anche la Corte Suprema inglese ha bocciato il drastico piano proposto dai Tory per risolvere “una volta per tutte” il problema dell’immigrazione illegale: la deportazione in Rwanda di tutti i migranti che senza avere un permesso preventivo, quindi clandestinamente, a bordo di barchini o barconi, riescono a raggiungere le coste del Regno Unito. Un piano che aveva già ricevuto uno stop, nel giugno 2022, dalla Corte Europea per i diritti dell’Uomo (Cedu) e un successivo parere negativo della Corte d’Appello inglese, appena pochi mesi fa. Ma che tanto era piaciuto a diversi governi europei di destra (dall’Austria alla Danimarca, fino all’Italia, pur con differenti sfumature), al punto da diventare quasi uno “schema”, una bandiera da sventolare in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, a partire dalle elezioni per il Parlamento europeo, a giugno del prossimo anno. 

Invece, niente da fare: secondo i giudici della Corte Suprema (cinque, e il voto è stato unanime) la politica di espulsione promossa dal governo inglese è illegale in considerazione del “rischio che i richiedenti asilo possano essere rimpatriati nel loro paese d'origine”. Il che contravviene, peraltro, l’articolo 33 della Convenzione di Ginevra, che definisce il principio di non refoulement (non respingimento). Un articolo che recita così: “Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà potrebbero essere minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”. Durante la lettura della sentenza il presidente della Corte Suprema, Lord Reed, ha indicato come cruciali le prove fornite dall’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) che decretavano il fallimento di un simile accordo di deportazione dei rifugiati tra Israele e Ruanda, tra il 2014 e il 2017 (in quel caso, peraltro, si parlava di partenze volontarie, e non obbligatorie come pretendeva d’imporre il governo inglese). Il piano Ruanda era stato presentato nell’aprile del 2022 dall’allora primo ministro Boris Johnson: «Si tratta di un’azione necessaria per fermare i vili trafficanti di esseri umani che stanno abusando dei vulnerabili e trasformando la Manica in un cimitero d'acqua», aveva sostenuto. Caduto Johnson, dopo la breve e tutt’altro che brillante parentesi di Liz Truss, il piano era stato ripreso pari pari da Rishi Sunak, che ne aveva fatto un perno centrale della sua azione di governo.

Il primo ministro promette una “legge d’emergenza”

Sunak che a questo punto, con un partito spaccato alle spalle, con un appuntamento elettorale previsto per il prossimo anno, con i sondaggi impietosi a favore dei laburisti, e un’opinione pubblica nettamente schierata a favore del rispetto dei diritti umani, appare palesemente in difficoltà. A caldo, pochi minuti dopo la lettura della sentenza, il primo ministro britannico ha promesso di cambiare la legge sul contrasto all’immigrazione clandestina, garantendo di fare «tutto il necessario» per fermare le imbarcazioni che attraversano la Manica. «Se diventa chiaro che i nostri quadri giuridici nazionali o le convenzioni internazionali stanno ancora frustrando i nostri piani, sono pronto a cambiare le nostre leggi e rivedere quelle relazioni internazionali», ha aggiunto Sunak di fronte ai parlamentari, durante l’attesissimo Prime Minister’s Questions (PMQ). «Il popolo britannico si aspetta che facciamo tutto il necessario per fermare le barche. E questo è esattamente ciò che questo governo realizzerà». Promesse che non sono bastate a placare l’ira dei Tory più intransigenti, che chiedono l’immediato avvio delle procedure per il distacco del Regno Unito dalla Convenzione Europea per i diritti dell’Uomo. O come il vicepresidente del partito conservatore, Lee Anderson, secondo il quale «il governo dovrebbe semplicemente ignorare le leggi e mettere gli aerei in volo adesso e mandarli in Rwanda». Sunak dovrà difendersi anche da almeno 6 “lettere di sfiducia” nei suoi confronti che saranno presentate da altrettanti parlamentari della destra conservatrice. Il neo ministro dell’InternoJames Cleverly, appena subentrato a Suella Braverman, ha tentato di minimizzare la portata della sentenza della Corte Suprema: «È soltanto una battuta d'arresto temporanea», ha dichiarato. «Il trattato aggiornato con il Ruanda potrebbe arrivare a giorni in Parlamento e inasprirà le regole contro il rimpatrio dei richiedenti asilo». Ma all’ala più intransigente del partito non basta. Come spiega il parlamentare Simon Clarke: «La Corte Suprema ha lanciato un guanto di sfida: penso che dovremmo approvare una legislazione di emergenza per stabilire che la volontà del Parlamento si applicherà nonostante la CEDU e le convenzioni associate a cui fanno riferimento i giudici». Lo stesso ministro dell’Interno, Cleverly, ha invece escluso “strappi” negli accordi internazionali: «Non saranno avanzate nuove proposte per fabbricare una disputa inutile per guadagno politico», ha dichiarato. Mentre in serata il primo ministro ha ribadito che non si fermerà, che punta a introdurre una “legge d’emergenza” in grado di stabilire che “il Ruanda è un paese sicuro”. «Sono pronto a fare ciò che è necessario per far decollare i voli», ha detto Sunak, con davanti un leggio dove c’era scritto lo slogan “Stop the boats”, senza però specificare come. Successivamente ha precisato: «La mia pazienza si è esaurita, così come credo che la pazienza del Paese si sia esaurita. Ecco perché prenderemo tutte le misure necessarie per assicurarci di poter rimuovere eventuali ulteriori ostacoli all’esecuzione della nostra politica e alla partenza degli aerei, come previsto, nella primavera del prossimo anno». Ma il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati ha sostenuto che l’approvazione di una legge per ribaltare la sentenza della Corte Suprema «solleverebbe questioni profonde e importanti sul rispettivo ruolo dei tribunali e del Parlamento». Insomma, si profila un pericoloso scontro istituzionale.

I detrattori di Rishi Sunak hanno gioco facile in queste ore, anche riprendendo i toni e i contenuti della clamorosa (il quotidiano The Guardian l’ha definita “brutale”) lettera d’addio firmata (e immediatamente pubblicata dai media inglesi) dell’ormai ex ministro dell’Interno, Suella Braverman. Che aveva attaccato frontalmente il primo ministro, che l’aveva appena licenziata, prima rimproverandogli di non aver provveduto a elaborare un “piano B” in caso di sentenza negativa da parte della Corte, e poi scrivendo: «Qualcuno deve essere onesto: il vostro piano non sta funzionando, abbiamo subito sconfitte elettorali record, i vostri reset sono falliti e stiamo esaurendo il tempo. È necessario cambiare rotta con urgenza». Il leader laburista, Keir Starmer, ha usato la mano pesante, definendo «uno spettacolo ridicolo e patetico» il piano fallito di deportare i richiedenti asilo in Ruanda. «Il primo ministro dovrebbe scusarsi con il paese per aver sperperato 140 milioni di sterline (circa 120 milioni di euro, denaro già versato al governo del Ruanda) per il fallimento del progetto e per aver sprecato inutilmente tutto il tempo che ha trascorso in carica», quasi parlandone già al passato. Una delle ultime rilevazioni, pubblicata pochi giorni fa su Politico, stimava i Conservatori fermi al 26% delle preferenze, rispetto al 45% dei Laburisti. Una forbice che, dopo la sentenza della Corte Suprema, potrebbe ulteriormente allargarsi.

Spietati anche i commenti degli opinionisti. Particolarmente duro Sean O’Grady (Independent): «Il piano di deportare i rifugiati in Ruanda è sempre stato stravagante, disumano, imperfetto. E ora sappiamo che è anche illegale. È finita. Il sogno di Rishi Sunak di vedere un aereo carico di richiedenti asilo terrorizzati decollare per Kigali non si avvererà mai. Giustizia è stata fatta. E non ha senso parlare di “piano B”: in verità, il piano per il Ruanda non avrebbe mai dovuto essere il “piano A” perché avrebbe riguardato non più di  qualche migliaio di profughi, una frazione del numero di quelli che arrivavano su piccole imbarcazioni. Pertanto, non sarebbe mai stato un grande deterrente. Era un errore evitabile. Il governo non ha fatto i compiti a casa su quanto sia sicuro e affidabile il sistema di asilo ruandese, o se lo ha fatto ha scelto di ignorarlo e andare avanti a prescindere: un tipico approccio alla Boris Johnson. Ha fatto sembrare sciocco il governo britannico e l’intero paese». Secondo Tom Harris (The Telegraph) «…la Corte Suprema ha condannato Sunak alla miseria».

Una possibile soluzione per i conservatori

Un esile spiraglio per i propositi dei Conservatori lo individua Rajeev Syal, giornalista del Guardian: «Il presidente della Corte Suprema, Lord Reed, ha chiarito che la decisione si basa sulle prove disponibili, che dimostrano che i diritti dei richiedenti asilo sarebbero a rischio in Ruanda. Quindi se la situazione dovesse cambiare in Ruanda, potrebbe essere rivista. La sentenza ha in sostanza confermato che è legale inviare i richiedenti asilo in un paese terzo per l’esame delle loro domande. Quindi il primo ministro potrebbe cercare di trovare altri paesi disposti ad accettare i richiedenti asilo». Invece David Allen (Financial Times) spende un elogio per i giudici: «La Corte Suprema del Regno Unito - scrive Allen - ha stabilito che la politica di espulsione del Ruanda è illegale, ma lo ha fatto abilmente senza dipendere dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo o dalla legge sui diritti umani. Al contrario, la decisione si basa su ampi principi di diritto internazionale che non sono osteggiati dal governo. La corte è stata persuasa da prove sostanziali e dettagliate (fornite dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) che non c’era alcuna base solida per essere fiduciosi che il governo del Ruanda avrebbe rispettato i suoi obblighi internazionali. Non è bastato che il governo ruandese affermasse che lo avrebbe fatto, di fronte a materiale compendioso che dimostrava che non era così». Laconico il commento del reverendo Justin Welby, arcivescovo di Canterbury: «Spero che il governo rifletta e riconsideri il suo approccio alla sua politica di asilo». Mentre l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha dichiarato di aver “accolto con favore” la sentenza della Corte Suprema: «È da tempo che esprimiamo profonda preoccupazione per l’esternalizzazione degli obblighi di asilo e i gravi rischi che questa pratica pone per i rifugiati».

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