Kenneth Chang se ne dice convinto: mentre negli Stati Uniti la diffusione del SARS-CoV2 segue un andamento ancora esponenziale, in Italia la velocità con cui si propaga sta rallentando. Le misure progressive di almeno parziale lockdown (isolamento, distanza sociale, chiusura delle scuole e dei luoghi dove ci si affolla) stanno dando i loro frutti. I numeri di ieri sembrano dargli ragione. In Italia ci sono stati quasi mille nuovi contagi in meno, mentre con oltre tredicimila nuovi contagi in un solo giorno gli Stati Uniti sono ora il primo paese al mondo per numero di inedite infezioni.
La dimostrazione di questa differenza tra Italia e USA sta nei grafici che il giornalista scientifico propone su The New York Times. In uno c’è la diffusione del virus per numero di infettati nel tempo fino al 19 marzo: in apparenza le due curve, quella dell’Italia e degli Stati Uniti sembrano simili (anche se non lo sono). Nella seconda le due curve, in scala logaritmica, diventa facilmente visibile come la velocità di diffusione è ancora esponenziale negli Stati Uniti (con raddoppio dei contagi ogni due giorni) mentre la curva italiana mostra un netto rallentamento. Per rendersene conto basta dare uno sguardo a questo indirizzo.
È una notizia confortante, anche se la velocità con cui i contagi aumentano in Italia non è ancora abbastanza bassa. Anzi, continua a essere ancora alta, anche se in frenata. È come un aereo cha sta passando da 1.000 a 700 chilometri/orari, sta rallentando ma vola ancora via veloce. Tuttavia, è chiaro, ribadisce The New York Times, che le misure di contenimento in Italia iniziano a funzionare.
Ma funzionano abbastanza da portare rapidamente a un picco e poi a decrescere, come a Wuhan e nello Hubei in Cina? Molto dipende dal numero degli infetti asintomatici e dalla loro capacità di trasmettere il virus.
Ma quanti sono gli infetti asintomatici che non vengono intercettati dal sistema sanitario? Non lo sappiamo con certezza. Certamente molto di più de contagiati ufficiali. Un articolo su Nature firmato da Jane Qiu, della University of New South Wales, analizza una serie di dati sugli asintomatici non intercettati.
Un primo studio pubblicato il 13 marzo sull’International Journal of Infectious Diseases, riguarda 565 cittadini del Giappone evacuati all’inizio di febbraio da Wuhan: 13 erano stati contagiati dal coronavirus, ma 4 (il 31%) non presentava sintomi leggerissimi o nessun sintomo. È una percentuale credibile, questa? No, il gruppo era troppo speciale per poter trarre dalle statistiche che lo riguardano considerazioni generali.
La stessa cosa, a maggior ragione, vale per le analisi statistiche che riguardano i 3.711 passeggeri della Diamond Princess, la nave ormeggiata per molto tempo in un porto giapponese prima che fosse consentito ai passeggeri di scendere. In uno studio pubblicato il 12 marzo su Eurosurveillance si mostra come, su 700 persone contagiate, solo il 18% non presentasse sintomi della malattia. Ma questo gruppo, ancor più del primo, è troppo speciale per poter essere considerato rappresentativo.
Moltissimi, tra chi studia la pandemia in Italia e in tutto il mondo, sospettano – come conferma Jane Qiu –, che il numero di asintomatici contagiosi sia molto più alto di quanto verificato sulla Diamond Princess (18%) o nel gruppo di giapponesi evacuati a Wuhan (31%). Il motivo è che molte, troppe persone che sono risultate infette ai controlli non possono essere collegate né ad alcun caso noto di Covid-19 né ad alcun viaggiatore proveniente da qualche focolaio noto. È evidente – soprattutto in Italia – che il numero di asintomatici deve essere molto più alto. Molto più alto, ma quanto?
Alcuni esperti sostengono che il numero degli asintomatici può essere molto ma molto superiore a quella dei contagi rilevati. Ma c’è evidenza scientifica di questo?
In uno studio pubblicato come preprint il 6 marzo e condotto da analisti americani e cinesi su un campione di 26.000 contagiati rilevati con test di laboratorio a Wuhan il 28 febbraio scorso, si calcola che i contagiati presenti in quel momento in città e non ancora rilevati fossero almeno 37.400, per la maggior parte asintomatici. Il che significa che a Wuhan in quel momento il 59% di tutti i contagiati fosse asintomatico.
Lo stesso estensore dell’articolo su Nature corrobora l’ipotesi che questa percentuale sia credibile. Almeno il 60% dei contagiati non è sintomatico e, dunque, non è facilmente individuabile. Se questa percentuale è realistica, significa che sabato scorso quando i contagiati certificati da test di laboratorio risultavano in Italia 53.578, in realtà erano all’incirca 135.000.
Ma c’è di più: le analisi condotte da Andrea Crisanti, dell’università di Padova, a Vo’, con tamponi su tutta la popolazione, hanno dimostrato che, almeno in quel paese, gli asintomatici sono stati il 75% di tutti i positivi sintomatici. Se questo è vero, sabato in Italia potevano esserci anche 200.000 e più persone infette.
L’altra domanda è: quanto sono contagiosi, se lo sono, gli asintomatici? Non lo sappiamo, con precisione. Non con precisione scientifica, almeno. L’OMS sostiene che chi è asintomatico ha una capacità di trasmettere l’infezione minore rispetto a chi ha pochi sintomi, mentre sono più pericolosi i pauci-sintomatici, ovvero coloro che manifestano sintomi lievi. Andrea Crisanti sostiene, al contrario, che gli asintomatici sono altrettanto se non più pericolosi.
Sia come sia – sarà una più stringente indagine scientifica a rilevarlo – sembra che ciascuno degli asintomatici abbia una capacità infettante comunque superiore a uno. Il che significa che se circola e incontra gente fa aumentare, come in una reazione a catena, la velocità di contagio.
Non entriamo nella querelle più tamponi e a chi. In questa situazione la scelta migliore – anzi, l’unica efficace – è comunque quella dell’isolamento generale. Tutti in casa. Ad aspettare che la curva logaritmica di Kenneth Chang raggiunga rapidamente il plateau e poi inizi a scendere.
Intanto resta il mistero della letalità che in Italia e, in particolare, in Lombardia è molto più alta della media mondiale, calcolata in 3,2 decessi ogni cento contagiati accertati. Che scenderebbe all’1,3% se effettivamente gli asintomatici sono almeno il 60% dei contagiati. La letalità sarebbe ancora inferiore, se i contagiati asintomatici e i contagiati sintomatici non contabilizzati fossero molto più del 60% o addirittura del 75%.
Ripetiamo: molti studiosi, pur non avendo pubblicato nulla su giornali scientifici con peer review, ritengono che in realtà i contagiati siano molti, ma molti di più. Un’ulteriore e più pressante ragione per seguire le norme dell’Organizzazione Mondiale di Sanità fatte proprie dall’Italia e continuare a stare a casa.
Resta il fatto che, in numeri assoluti, i 5.476 decessi registrati fino a sabato 21 marzo in Italia sono un numero grande, grandissimo, inaccettabile.
Mentre alta, altissima è la generosità dei medici italiani. La Protezione Civile ha lanciato un appello per reclutare 300 medici disponibili ad andare in Lombardia per dare una mano. I dati trasmessi dal governo sono molto chiari: nella serata di sabato scorso hanno fatto domanda in 7.923: oltre ventisei volte quanto richiesto.
Sì, insieme ce la possiamo fare.