CULTURA

Quando l’arte grida: Munch e i suoi eredi

Munch oltre l’urlo, l’urlo oltre Munch. Si potrebbe riassumere così il senso della mostra MUNCH. La rivoluzione espressionista, appena inaugurata al Centro Culturale Candiani di Mestre e curata da Elisabetta Barisoni per la Fondazione Musei Civici di Venezia. Aperta fino al 1° marzo 2026, la rassegna non si limita a esporre opere, ma prova a dare corpo a un’idea: quella del disagio, della solitudine, dell’urlo – e a seguirne l’eco attraverso tutto il Novecento, fino al presente.

Non una “mostra-pacchetto” dunque, bensì il frutto di una riflessione che, come nelle precedenti esposizioni del Candiani, parte dalle collezioni Galleria Internazionale d’Arte Moderna Ca’ Pesaro, arricchite nel tempo grazie alle edizioni della Biennale di Venezia, per porle in dialogo con prestiti provenienti da importanti istituzioni internazionali. Un patrimonio vasto, che nel periodo post-pandemico ha ispirato una serie di mostre annuali mirate a trasformare il Candiani in un vero polo culturale autonomo della terraferma veneziana.

Dopo ChagallMatisse, è ora la volta di Edvard Munch. L’obiettivo è ambizioso: superare il cliché del “pittore tormentato e isolato” per restituire un artista complesso, in dialogo con la sua epoca e con le avanguardie che da lui traggono linfa. Stavolta il punto di partenza è un nucleo di quattro opere grafiche custodite a Ca’ Pesaro – La fanciulla e la morte, L’urna, Ceneri e Notte d’estate. La voce – che aprono il percorso e introducono i temi centrali dell’esposizione.

Quando si pensa a Munch, è quasi inevitabile evocare L’Urlo: quel volto dilaniato, quella vibrazione cromatica che sembra condensare lo spaesamento dell’uomo moderno. Eppure, come ricorda la curatrice Elisabetta Barisoni, “Munch non è il pittore di una sola opera”: è un autore dalla lunga e complessa evoluzione, che nella sua carriera ha attraversato stagioni diverse e ha esercitato un’influenza profonda sulla pittura europea di fine Ottocento e inizio Novecento.

L’Urlo, con la sua forza iconica, resta tuttavia un emblema del nostro tempo: una cifra esistenziale di quel disagio che nel secolo breve diventerà tragedia collettiva. Fin dalle prime sale si coglie la radicale trasformazione del soggetto moderno: l’individuo non è più il centro rassicurante dell’immagine, ma è costretto a misurarsi con la propria vulnerabilità, l’angoscia, l’isolamento.

Spiccano in questa prima sezione due tele: Paul Hermann e il medico Paul Contard del 1897, proveniente dal Belvedere di Vienna, e soprattutto I due anziani del 1910, arrivata da Stoccolma, che segnano un cambio di tono con i colori che si fanno più chiari e tenui, quasi matissiani. È il periodo in cui Munch, dopo un ricovero in una clinica, volge lo sguardo verso temi sociali e adotta una pittura più serena e distesa, con risultati sorprendenti per un artista da sempre associato all’inquietudine e al tormento interiore.

Filo conduttore del percorso è quello delle relazioni artistiche di Munch, con annessi debiti ed eredità. Pur provenendo dalla periferica Norvegia, il pittore non è affatto un solitario: agisce invece da protagonista del più vasto universo mitteleuropeo tra Simbolismo, Jugendstil e Secessioni. Un episodio emblematico è quello della mostra berlinese del 1892: le sue opere, accolte con scandalo dalla critica accademica, portano alla chiusura anticipata dell’esposizione dopo appena una settimana. Da quella rottura nasce la Secessione di Berlino, destinata a influenzare profondamente l’arte europea fino a riflettersi anche sull’ambiente artistico italiano.

La mostra, articolata in sette sezioni, parte dal dialogo tra Munch e il connazionale Aksel Waldemar Johannessen, che cerca a sua volta nel corpo e nella sofferenza la verità dell’esistenza. Entrambi anticipano quella tensione interiore che diventerà cifra distintiva dell’Espressionismo europeo. 

L’Urlo di Munch non è solo un’immagine del dolore individuale: è il presagio delle inquietudini e delle tragedie che segneranno il Novecento

Il percorso prosegue con le Secessioni, i grandi movimenti di rottura dell’area tedesca e mitteleuropea con opere in mostra di artisti come Max Liebermann e Max Klinger, in una Berlino cosmopolita e inquieta, protesa verso la modernità. Proprio in Germania l’eredità di Munch trova la sua piena fioritura nell’Espressionismo; nella grafica e nella pittura i membri del gruppo Die Brücke raccolgono la lezione del maestro norvegese: l’uso diretto e primitivo del segno, il volto deformato come specchio dell’anima, la tensione tra vita e morte. Dopo la Prima guerra mondiale Otto Dix e Max Beckmann trasformeranno quel grido individuale in un urlo collettivo, riflesso di una società distrutta e disillusa.

L’eco di Munch non si ferma però alla prima metà del Novecento. Il suo “urlo” attraversa le guerre, i totalitarismi, la violenza contemporanea. Nel dopoguerra riecheggia nei corpi straziati di Renato Guttuso, nei silenzi dei deportati di Zoran Mušič, nelle deformazioni drammatiche di Emilio Vedova ed Ennio Finzi, la cui Maternità del 1953 ripropone il tema di una solitudine disperata che prorompe in grido. E ancora, nelle performance di Marina Abramović, che durante le guerre balcaniche trasforma la sofferenza della propria terra in testimonianza universale, e nelle opere di Shirin Neshat, in cui il dolore e la resistenza delle donne iraniane diventano una nuova forma di urlo inciso nella carne e nella memoria.

Già che si è a Mestre, vale anche la pena proseguire fino al Laurentianum di piazza Ferretto, dove fino al 16 novembre 2025 è allestita la mostra Venezia incisa e dipinta da Giovanni Giuliani (1893–1965), a cura di Marco Dolfin e promossa dall’Associazione Culturale Paolo Rizzi con il Duomo di Mestre e il patrocinio del Comune di Venezia. L’esposizione riunisce quasi settanta opere, soprattutto incisioni, restituendo la figura di un artista raffinato e tra più originali dell’arte veneziana del Novecento. Nelle sue serie grafiche dedicate alla costruzione del ponte della Libertà e del polo petrolchimico di Marghera, Giuliani documenta la metamorfosi della città lagunare in epoca moderna: una Venezia industriale, attraversata da gru e geometrie di cemento, dove la tradizione si fonde con l’inquietudine del progresso. Le sue vedute, pur radicate nel linguaggio veneto, evocano architetture visionarie alla Piranesi, in cui la meraviglia si intreccia con la malinconia e l’alienazione. Un altro sguardo che racconta, a suo modo, la crisi e la speranza dell’uomo contemporaneo.


MUNCH. La rivoluzione espressionista

A cura di Elisabetta Barisoni

Centro Culturale Candiani
Piazzale Candiani, 7
30174 Venezia Mestre

Fino al 1° marzo 2026

INGRESSO LIBERO previa registrazione

muvemestre.visitmuve.it

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