Venezia 82: Violenza, plagio, ideologie: l’università campo di battaglia in After the Hunt

Dopo la visione di After the hunt di Luca Guadagnino all’uscita del cinema si sentono voci entusiaste e altre decisamente deluse. Un giornalista si è voltato e ha sbottato: «Sì vabbè, ma cosa dice questo film? Cosa voleva esprimere? Cosa mi sta a significare?». Il tutto con forte accento romano, che rende bene l’imbarazzo di una pellicola di cui risulta difficile afferrare il messaggio.
Non ha del tutto torto, eppure nelle ore successive, il film continua a girarti nella testa per i temi affrontati, anche se non in modo chiaro e lineare. E quando un film non vuole sapere di lasciarti in pace vuol dire che qualcosa è arrivato, anche se fatichi a mettere a fuoco.
Guadagnino di nuovo a Venezia
After the Hunt è un nuovo tassello della traiettoria italoamericana di Luca Guadagnino, autore italiano che negli ultimi anni si è imposto come presenza fissa e attesa nei festival internazionali. Dopo Call me by your name, Suspiria, Bones and all e Challengers, il regista torna fuori concorso a Venezia con un progetto nato da una sceneggiatura originale di Nora Garrett, qui al suo debutto.
Una storia universitaria e universale
Al centro della storia c’è Alma, professoressa di filosofia a Yale, interpretata da una Julia Roberts che rinuncia alla sua immagine rassicurante da commedia per incarnare un personaggio contraddittorio, a tratti respingente: una donna che ha fatto di tutto per conquistarsi il suo posto in un mondo accademico da sempre dominato da logiche di potere maschile, e che ora intravede la possibilità di una cattedra. Ma tutti i sacrifici hanno un prezzo: dolori lancinanti allo stomaco, attacchi di nausea, dipendenza dagli oppiacei, un corpo che cede mentre la mente è chiamata a reggere battaglie morali impossibili.
Intorno a lei si muovono i suoi due pupilli: Hank (Andrew Garfield), collega professore, e Maggie (Ayo Edebiri), dottoranda inizialmente presentata come brillante, adottata da una famiglia facoltosa, che Alma considera quasi un’amica. Saranno loro a trascinarla in una spirale discendente: Maggie le confida di essere stata molestata da Hank dopo una festa, mentre lui accusa la ragazza di plagio nella tesi di dottorato e sostiene che ha inventato l’episodio prima che lui facesse scoppiare la bomba.
“Sorella io ti credo”
Alma sceglie di credere a Maggie, ma non con l’enfasi che la studentessa pretenderebbe: da lì in avanti la vicenda si incrocia con le dinamiche del campus, e si fa strada un’idea impopolare: anche una dottoranda afroamericana può mentire su una violenza, mettendo nei guai quello che, al contrario di lei, si è fatto largo nel mondo accademico mentre faceva tre lavori per mantenersi (non tutti i bianchi carismatici etero-cis sono privilegiati al 100%).
Stessa storia, modalità diverse
Forse a chi bazzica il Festival da un po’ il film ha fatto riecheggiare un’altra pellicola vista al Lido, Les choses humaines di Yvan Attal: anche lì la vicenda si muove in un contesto privilegiato, anche lì lo spettatore non assiste mai direttamente all’evento incriminato, ma il meccanismo è diverso e Attal costruisce il dubbio come un invito: non sapremo mai la verità oggettiva, ma ci viene dato abbastanza per elaborare una nostra posizione.
Guadagnino invece fa il contrario: After the Hunt sembra fatto apposta per impedire che si formi un giudizio netto e ogni volta che pensi di aver trovato l’appiglio, un dettaglio ribalta la prospettiva. La scena con Hank è esemplare: Alma lo affronta, lui dice di aver flirtato con molte, ma di aver infranto davvero le regole solo con lei. C’è un pugno contro il muro, lei si avvicina, un bacio incerto, poi lui tenta di andare oltre. Alma dice “no”, lo spinge, e lui se ne va. È un episodio che basta a far pensare che abbia fatto la stessa cosa con Maggie? O resta nell’area grigia del desiderio non corrisposto, della maldestra insistenza? La risposta non arriva, e non arriverà mai.
Una vittima respingente e una incosciente
Allo stesso modo, Maggie, la studentessa, è lontana dalla figura della vittima ideale. È schizzinosa, privilegiata, sgradevole e insistente, capace di usare i giornali come palcoscenico per denunciare prima Hank, poi la stessa Alma che pure l’aveva sostenuta. E la sua accusa si intreccia con il sospetto del plagio: se la sua tesi è copiata, il movente per mentire diventa evidente.
Ma è soprattutto Alma a incarnare la contraddizione. Dopo aver attraversato il film con dolori fisici e morali, in ospedale confessa al marito che la storia che ha raccontato per tutta la vita, di essere stata violentata dal migliore amico del padre, non era la verità. In realtà, a quindici anni, si era innamorata di quell’uomo e lo aveva sedotto, ma quando lui l’aveva lasciata per una coetanea, per vendetta Alma ha raccontato di essere stata violentata e la sua accusa ha travolto l’uomo, fino al suicidio.
Il ribaltamento è totale: Alma non è più soltanto una donna che porta addosso le cicatrici del patriarcato, ma anche una figura che ha usato quelle stesse logiche contro un altro. Subito dopo, però, arriva la risposta del marito, il personaggio forse più umano e struggente dell’intera vicenda: per lui ha raccontato una cosa vera, perché un uomo di quell’età a una quindicenne dovrebbe sempre dire no, qualunque cosa faccia lei.
Ed è qui che After the Hunt si distanzia da Les choses humaines. Là il dubbio serviva a costringere lo spettatore a schierarsi; qui la contraddizione è talmente radicale da impedire qualsiasi presa di posizione, riconoscendo che il terreno morale su cui camminiamo è irrimediabilmente fragile.

AFTER THE HUNT - Ayo Edebiri, Julia Roberts and Luca Guadagnino
La decadenza del compromesso
Un altro livello su cui After the Hunt lavora con forza è quello politico-culturale: il film suggerisce che non esiste più spazio per il compromesso. Schierarsi solo parzialmente diventa un atto sospetto, una debolezza che finisce per ritorcersi contro.
Quando Alma si schiera con lei a Maggie non basta, tanto piu che le suggerisce di non denunciare il fatto alla polizia oltre che all’universita, che ha già locenziato Hank. Maggie pretende l’all-in, la fedeltà cieca, l’adesione senza condizioni, è come se il film dicesse che oggi non si può più restare in mezzo: o sei dalla parte giusta, che però cambia a seconda delle epoche, oppure vieni spinto nell’altro campo.
Un conflitto senza soluzione
Alla fine il collega all’uscita forse aveva ragione: il film vuole affrontare troppi temi (c’è anche il conflitto generazionale e quello sociale), e lo fa a volte in modo un po’ superficiale, quasi ad accennarli e basta. Eppure, nel contempo, è un film che non si lascia archiviare, che costringe lo spettatore a interrogarsi sulle proprie categorie morali senza dargli nessun appiglio:
Un film che non ti lascia in pace
La tensione non è psicologica ma etica: le dinamiche accademiche diventano una lente che amplifica i conflitti del presente: le differenze di classe, i ribaltamenti di genere, la difficoltà di credere a qualcuno senza cedere a ideologie totalizzanti.
Guadagnino ha costruito un prodotto che riflette un’epoca senza bussola, in cui la prevaricazione e il politicamente corretto finiscono per assomigliarsi nella loro intransigenza, dove non esiste più spazio per i compromessi e dove anche il “ti credo” diventa terreno minato.
È un film imperfetto, a tratti pesante, a tratti irritante, volutamente respingente. Ma è anche un film che non ti lascia in pace, che continua a tornare nei pensieri molto dopo i titoli di coda. Ripensando a quel collega, verrebbe da rispondergli che After the Hunt non voleva significare quasi nulla, ma solo restituirci l’immagine di una condizione che viviamo tutti: muoverci in un mondo in cui credere, giudicare e schierarsi non è più la stessa cosa.