SCIENZA E RICERCA

Il dialogo tra scienza e società europea

«Dobbiamo imparare l’arte di ascoltare».

«Non c’è alcun tabù e nessuna idea è cattiva».

«Vi assicuro che le vostre opinioni saranno prese in considerazione».

Oggi la rivista americana Science riporta le parole di Kurt Vandenberghe, un alto funzionario del Direttorato Generale per la Ricerca e l’Innovazione dell’Unione Europea. L’intenzione della nuova Commissione che si insedierà a breve sembra chiara: si vuole coinvolgere l’opinione pubblica europea nel delineare il programma Horizon Europe che, a partire dal 2021 e con una dotazione di 94 miliardi per sette anni, dovrà sviluppare il programma di ricerca e di innovazione tecnologica in cinque grandi aree: cancro, clima, città, suolo e oceani.

Il tentativo è, dunque, di dare corpo al principio della cittadinanza scientifica: tutti hanno il diritto e il dovere di compartecipare alle scelte (anche) nella definizione della politica scientifica dell’Unione. Non c’è che dire: lo spirito è quello giusto. E bene fa il Direttorato Generale per la Ricerca e l’Innovazione a tentare di dargli corpo e sangue.

Lo spirito è quello giusto e bene fa il Direttorato Generale per la Ricerca e l’Innovazione a tentare di dargli corpo e sangue

E il commento di Science, secondo cui la Commissione cerca di togliersi di dosso quel vestito burocratico che la contraddistingue, almeno nell’opinion pubblica, nulla toglie, anzi aggiunge un elemento positivo ulteriore all’iniziativa. L’istituzione Unione Europea cerca il dialogo con i cittadini.

Resta da discutere un particolare che fa la differenza: in cosa deve consistere la compartecipazione?

Non basta ed è del tutto fuorviante raccogliere i desiderata dei cittadini. Una raccolta non regolata avrebbe due caratteri o inutili o addirittura pericolosi. Sarebbe caotica, poco significativa e tutta indirizzate verso le scienze applicate e lo sviluppo tecnologico. La scienza di base, alla frontiera della conoscenza, per forza di cose sarebbe trascurata. I cittadini comuni sono lontani da quella frontiere, non la conoscono e, dunque, non possono prenderla in considerazione.

Occorre, dunque, che la compartecipazione alle scelte da parte dei cittadini sia informata e, nel medesimo tempo, non invada il campo di libertà dei ricercatori. Dunque il consenso informato deve riguardare le linee generali e non entrare nel merito delle questioni scientifiche. Non possono essere i cittadini non esperti a decidere se la meccanica quantistica è una teoria completa, come sosteneva Niels Bohr, o invece incompleta, come sosteneva Albert Einstein. Queste questioni vanno risolte all’interno del “collegio invisibile” dei fisici quantistici.

Ma anche nei problemi di scienza applicata occorre saper entrare nelle questioni. Detta in maniera rozza, non possiamo essere noi cittadini non esperti a stabilire se la Xylella è causa o non dell’essiccamento degli ulivi in Puglia (e altrove).

Gli ambiti in cui esercitare la compartecipazione dei cittadini non esperti vanno, dunque, ben selezionati. E, soprattutto, la compartecipazione deve essere ben organizzata, se non vogliamo che si trasformi in un boomerang. E per evitare questo pericolo non può che essere, lo ripetiamo, una compartecipazione informata.

Occorre che la compartecipazione alle scelte da parte dei cittadini sia informata e non invada il campo di libertà dei ricercatori

Come far compartecipare cittadini informati non è questione semplice da risolvere. Sui grandissimi temi, come il clima o i vaccini o il cancro, deve coinvolgere tutti. E dunque l’Unione Europea deve impegnarsi in una vasta e articolata campagna di informazione, che comprenda tutti i possibili canali di comunicazione bidirezionale. E dopo un congruo tempo decidere insieme non quali specifici programmi di ricerca attuare, ma come affrontare i nodi tra scienza e società che i vari temi comportano.

Per esempio: quale priorità individuare per la prevenzione e l’adattamento ai cambiamenti climatici; quali sono i bisogni di chi si ammala di cancro e come prevenire il cancro; come raggiungere un consenso diffuso alla vaccinazione.

Più difficile, se possibile, è il dialogo da stabilire sui temi bioetici. Temi che riguardano anche la ricerca, oltre che l’applicazione tecnologica. A puro titolo di esempio: consentire o no la creazione di chimere uomo/altro animale per lo studio della biologia fondamentale e se sì, fino a che stadio di sviluppo della chimera occorre fermarsi? In questo caso o in casi come questi noi cittadini non esperti possiamo (dobbiamo) dire la nostra. A patto che la nostra, lo ripetiamo, sia una partecipazione informata alle scelte.

Ultimo, ma non ultimo, è la compartecipazione alla politica della ricerca dell’Unione. È giusto che siano i cittadini (informati) a decidere, in stretto dialogo con gli esperti, quante risorse allocare alla ricerca comune (davvero bastano 94 miliardi in sette anni o per tenere il passo con gli USA e la Cina occorrerebbe uno sforzo maggiore?) e, tutto sommato, in che direzioni. Avere le cinque aree pre-definite (cancro, clima, città, suolo, oceani) non è un esempio di dialogo ex ante. Sono aree senza dubbio di grande interesse, ma sarebbe stato meglio inaugurare la stagione della partecipazione attiva scegliendo, dopo debito approfondimento, in maniera partecipata, appunto, dove puntare le fiches europee.

Ma non è giusto attendersi, d’altra parte, che tutte le iniziative partano da Bruxelles. È giusto (è auspicabile) che ce ne siano anche dal basso. E Il Bo Live non mancherà di farsi parte attiva in questo rilancio del dialogo tra scienza e società europea.

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