SCIENZA E RICERCA

I dinosauri erano già in declino prima dell’impatto del meteorite?

Sessantasei milioni di anni fa un meteorite, ormai celebre, metteva fine alla lunga storia evolutiva dei dinosauri. Quell’estinzione, che segna la fine del Cretaceo e l’inizio del Paleogene, un nuovo periodo geologico, è forse tra le più studiate dai paleontologi. Eppure, ancora oggi tra gli scienziati non c’è accordo su quali siano state le cause – prossime e remote – che hanno determinato la massiccia scomparsa dei dinosauri, un vastissimo e molto diversificato gruppo di specie che aveva dominato il pianeta per tutta l’Era mesozoica.

Ma il meteorite fu un fulmine a ciel sereno, come sostengono alcuni, oppure i dinosauri erano già avviati verso il declino, come ritengono altri? Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications, condotto da un gruppo internazionale composto da ricercatori del CNRS (il Centro Nazionale delle Ricerche francese), dell’università di Bristol e dell’università di Alberta (Canada), propende per la seconda ipotesi: attraverso la meticolosa costruzione di un amplissimo database, composto da più di 1.600 reperti fossili appartenenti a 247 diverse specie di dinosauri, gli autori sostengono, dati alla mano, che è probabile che i dinosauri fossero in declino già dieci milioni di anni prima dell’impatto con il meteorite, cioè circa 76 milioni di anni fa.

Le cause di questo lento declino sono molte e diverse, ma soprattutto sono endogene, cioè interne al sistema Terra: un ruolo di primo piano – affermano i ricercatori nello studio – va certamente riconosciuto ai grandi cambiamenti climatici che in quel periodo sconvolsero il pianeta; non bisogna poi dimenticare anche le grandi trasformazioni in atto a quel tempo nel mondo biologico, tra cui la diversificazione dei mammiferi, la grande radiazione adattativa delle angiosperme (le piante da fiore) e la diversificazione degli insetti, probabilmente collegata proprio alla comparsa delle angiosperme.

L’intervista completa a Massimo Bernardi. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Elisa Speronello

Massimo Bernardi, paleobiologo, Conservatore per la Paleontologia e Responsabile dell’Area Ricerca e Collezioni al MUSE – Museo delle Scienze di Trento, non coinvolto nella ricerca, spiega che «questo studio si confronta con i grandi sconvolgimenti avvenuti nel Cretaceo, l’ultimo periodo dell’era mesozoica, e pone particolare attenzione agli ultimi quaranta milioni di anni della storia evolutiva dei dinosauri, cioè ad un periodo compreso tra 100 e 66 milioni di anni fa. La parte finale del Cretaceo è nota come un periodo di grandi cambiamenti, riguardanti soprattutto gli ecosistemi terrestri, come la grande diversificazione delle angiosperme, la diversificazione dei mammiferi e degli insetti, ma verificatisi, seppur in minor misura, anche negli ecosistemi marini. In quel periodo, inoltre, si andava completando la frammentazione dei continenti: a quell’epoca, infatti, le terre emerse avevano assunto una disposizione già molto simile a quella che vediamo oggi. Infine, molto importante per il destino dei dinosauri furono, con ogni probabilità, i rapidi cambiamenti climatici, con un raffreddamento globale stimato in 7-8° negli ultimi milioni di anni del Mesozoico. Gli autori dello studio si chiedono in che modo tutte queste trasformazioni abbiano influito sulla storia evolutiva dei dinosauri non aviani, interrotta poi dall’impatto con la superficie terrestre del meteorite di Chicxulub».

Attraverso l’analisi dei reperti fossili e la costruzione di modelli matematici, i ricercatori hanno trovato evidenza del fatto che i dinosauri fossero in declino ben prima dell’estinzione coincidente con il limite K/Pg (Cretaceo-Paleogene): a partire dalla fine del Campaniano, circa 76 milioni di anni fa, si nota infatti «un netto aumento delle estinzioni e una parallela diminuzione della capacità di sostituire le specie estinte con nuove forme». «I nostri risultati – proseguono i ricercatori – rivelano inoltre come i cambiamenti ambientali di vasta scala verificatisi in quel periodo resero probabilmente i dinosauri particolarmente soggetti al rischio di estinzione a causa dell’azione combinata di diversi fattori: il raffreddamento globale del clima, il crollo della diversità tra i dinosauri erbivori, i fenomeni di estinzione legati all’età delle specie».

Gli studiosi si riferiscono, in questo caso, a uno dei temi più discussi dai biologi evoluzionisti: la possibilità che anche le specie, come gli individui, siano destinate all’invecchiamento e alla “morte” dopo un certo periodo di tempo. «La questione conquistò l’attenzione di biologi evoluzionisti ed ecologi soprattutto a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, quando l’ecologo statunitense Leigh Van Valen si dedicò al problema e, come risultato delle proprie ricerche, formulò la legge dell’estinzione costante», spiega Massimo Bernardi. «Van Valen voleva dimostrare che anche le specie, come gli individui, non possono sopravvivere in eterno. I suoi studi, tuttavia, non fornirono alcuna prova a favore di questa ipotesi, e lo portarono invece a sostenere una teoria opposta, che formalizzò poi nella legge di estinzione costante, secondo cui, in media, è sempre ugualmente probabile che una specie possa andare incontro all’estinzione, a prescindere dalla sua età evolutiva».

Gli autori dello studio di Nature Communications, tuttavia, sottolineano come i dati da loro raccolti sembrino raccontare, almeno per gli ultimi milioni di anni di vita dei dinosauri, una storia parzialmente diversa: «Dallo studio emerge che le specie di dinosauri più “vecchie” sembrano avere una maggiore probabilità di sopravvivere all’estinzione del proprio gruppo», commenta Bernardi. «L’ipotesi formulata dai ricercatori si concentra sulla difficoltà di esprimere diversità evolutiva da parte dei nuovi taxa sviluppatisi verso la fine della storia evolutiva dei dinosauri. In altri termini, sembra che i gruppi più antichi abbiano dimostrato una maggiore capacità di adattarsi a condizioni difficili rispetto alle specie più giovani, le quali, non avendo più grandi spazi ecologici e fisiologici da esplorare, mostravano una fitness inferiore, cioè, per così dire, meno “strumenti” a disposizione per resistere a condizioni difficili. Si tratta, per ora, soltanto di un’ipotesi: andrà verificata, certo, ma è molto interessante».

Il lavoro condotto dai ricercatori non chiude la diatriba, ma accende una nuova luce su un tema ancora oggi molto dibattuto: sulle cause dell’estinzione dei dinosauri non aviani gli scienziati hanno posizioni contrastanti, e i nuovi dati supportano alternativamente l’una o l’altra ipotesi – che il meteorite abbia causato un’estinzione improvvisa o che sia stato solo il colpo finale di un’estinzione già annunciata. «Questa incertezza non deve essere considerata un sintomo di debolezza delle diverse teorie: ognuna di esse è supportata da prove molto valide, e la differenza sta essenzialmente nei metodi adottati per interpretare i dati a disposizione e nel modo di gestire i bias che inevitabilmente influiscono sull’oggettività delle ricerche. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la scienza procede per tentativi e che si confronta costantemente con l’errore, il quale costituisce una fonte preziosa per l’acquisizione di nuove conoscenze».

«Per quanto riguarda l’estinzione K/Pg, negli ultimi decenni le nostre conoscenze sono significativamente aumentate. C’è oggi, ad esempio, un generale accordo nella comunità scientifica sulla causa prossima dell’estinzione: l’ipotesi del meteorite è suffragata da prove molto più attendibili rispetto all’ipotesi opposta, che imputava l’estinzione alle grandi eruzioni vulcaniche dei Trappi del Deccan, avvenute nell’India meridionale più o meno contemporaneamente all’estinzione».

«Per quanto riguarda i cambiamenti climatici in atto già alcuni milioni di anni prima dell’evento – conclude Bernardi –, è difficile negare che possano aver, se non altro, facilitato l’estinzione: il meteorite è arrivato in un mondo già destabilizzato, la cui comunità biotica stava attraversando una fase di grandi sconvolgimenti. È a partire da questo scenario che bisogna valutare le diverse ipotesi che provano a spiegare cosa accadde negli ultimi milioni di anni in cui i grandi dinosauri hanno dominato la Terra».

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