CULTURA

La dozzina dello Strega: Igiaba Scego e Andrea Tarabbia

In attesa di questa sera, quando verrà annunciata la cinquina finalista dei romanzi del Premio Strega , raccontiamo i due libri semifinalisti di cui non abbiamo ancora parlato: Cassandra a Mogadiscio di Igiaba Scego (Bompiani) e Il continente bianco di Andrea Tarabbia (Bollati Boringhieri), due romanzi affatto diversi, a riprova che il Premio riconosce anime differenti.

Cassandra a Mogadiscio si fa interprete, come molti altri libri nell'ultimo anno solare, dell'esigenza dei narratori italiani di pronunciare un "io" impudico, cioè di dire la propria storia. Scego racconta la sua e quella della sua famiglia a Soraya, la nipote, ricostruendo per lei una diaspora, dalla Somalia all'Italia, fatta di parole d'origine sovrascritte a un linguaggio ch'è il nostro - quello della terra d'arrivo. È quindi come una lunga lettera, la sua, che guarda dentro e guarda fuori, ma soprattutto che mostra l'ibridazione tra due mondi che si fa per il tramite di lei.

Igiaba è nata in Italia dai genitori esuli durante la dittatura di Siad Barre che in Somalia hanno lasciato gli altri figli: "Siamo una famiglia, - scrive - wahaan nahay qoys, e  come tutte le famiglie somale della diaspora siamo dispersi in cinque continenti. Spezzati dalla guerra che ci ha colpito, dagli infortuni, da un'antica dittatura, dalla morte e dall'amore. E ogni separazione ci distrugge. Ci disperde. Ci annienta".

Igiaba mette insieme nel tempo i brandelli, e intanto dell'Italia conosce le forme, naturalmente: ci è nata, e la notte in cui scoppia la guerra in Somalia è a una festa di Capodanno a fare il filo a un amico, ma conosce per contiguità il dolore di chi l'ha generata, del mondo da cui proviene. Alla nipote racconta quest'aporia, con dolcezza e con crudezza. Quella notte è il 31 dicembre 1990 e, come Scego scrive, invece "il 1990 in Italia fu un anno di abbondanza. Bastava accendere la televisione per accorgersene. Dessert coppa bianca, il piacere che ti manca. Nessuno può dire di no a Mon Chéri. Fantasciroppi: una bottiglia, cinque caraffe di fantasia. Kinder Sorpresa esaudisce tre desideri in una volta sola. Big Fruit, la caramella del secolo. Uao, l'unico biscotto che ti insegna l'inglese. Piedone il gelatone col cacao sul ditone. Riesling Martini, il fascino di un incontro perfetto. E poi Dover, il bicchiere di formaggio fresco da spalmare che riempiva il cuore. Billy, il succo d'arancia con quel gusto acido da grattarsi continuamente la gola. Urrà Saiwa, biscotto wafer ricoperto di cioccolato [...]". Com'è possibile, viene di chiedersi, che tutto questo coesista? E chi la frattura ce l'ha dentro, nella sua storia personale o della propria famiglia, come ricuce i lembi senza impazzire?

"Tu mi chiedi di raccontare - scrive a Soraya - Ma come faccio a raccontare Mogadiscio, se la guerra ha distrutto tutto quello che conoscevo?"

Lo chiama Jirro, il trauma postbellico, usando una parola somala che significa "malattia", e dare il nome alle cose, agli avvenimenti e alle emozioni sembra è qui un processo di salvazione. Lo sa bene la letteratura, anche quando non è ascoltata.

"Nessuno sapeva ancora che tutto stava per precipitare, anche se Cassandra, perché c'è sempre una Cassandra in ogni luogo, aveva avvertito il popolo somalo della tragedia incombente. [...] Ma nessuno voleva credere a Cassandra. Quello che diceva era troppo spaventoso, troppo definitivo. "Mogadiscio non morirà mai, donna. Vivrà per sempre" le rispondeva il popolo. Illudendosi".

Leggiamo Igiaba Scego, e ascoltiamo, finalmente.


De Il continente bianco, che di contro è un romanzo che inventa sull'invenzione, abbiamo invece già raccontato lo scorso autunno quando è uscito, qui. Riportiamo l'intervista all'autore.

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