SCIENZA E RICERCA

Le epidemie del terzo millennio: più intense, più frequenti

Per gli adulti del futuro, nati nei primi decenni del nuovo millennio, la condizione di eccezionalità che il mondo vive da due anni a questa parte – la pandemia da COVID-19 – potrebbe diventare una relativa normalità. Infatti, secondo uno studio pubblicato su PNAS, ad oggi la probabilità di incorrere, nel corso della propria vita, in una epidemia o una pandemia simile a quella in corso è pari al 38%.

Il lavoro, realizzato da un gruppo internazionale di ricercatori guidato dal professor Marco Marani, docente di Costruzioni Idrauliche e Idrologia all’università di Padova, colma un vuoto negli studi epidemiologici: gli studiosi, infatti, hanno costruito un’estesa banca dati relativa alle epidemie e pandemie che si sono susseguite nel mondo dal 1600 al 1945, calcolando la loro intensità – cioè i tassi di mortalità annuali rispetto al totale della popolazione mondiale – e la distribuzione di probabilità della loro occorrenza.

«Dai dati che abbiamo raccolto emerge un quadro molto interessante», spiega a Il Bo Live il professor Marani. «Nonostante il mutare delle condizioni storiche – la medicina ha fatto, nei secoli, grandi progressi, e in generale le condizioni igieniche sono notevolmente migliorate – e nonostante, in generale, il tasso con cui si presentano nuove epidemie sia molto variabile nel tempo, abbiamo notato che la distribuzione della probabilità che, una volta presentatasi, un’epidemia abbia una certa intensità è piuttosto costante nel tempo, cioè ha una distribuzione di probabilità che potremmo definire universale».

L'intervista a Marco Marani. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Elisa Speronello

Per mettere a confronto le molte epidemie prese in considerazione, i ricercatori si sono concentrati sull’intensità delle epidemie stesse: in questo modo, hanno potuto valutare l’effettivo impatto di ogni evento sulla società, incrociando dati come il numero totale di vittime, il tasso annuo di mortalità e la popolazione mondiale dell’epoca. La valutazione dell’intensità di un’epidemia è utile anche pro futuro: «Questa distribuzione, per così dire, universale dell’intensità delle epidemie nel tempo può essere affiancata al tasso di comparsa di nuove epidemie: ai fini della prevenzione e della preparazione, infatti, è importante sapere non soltanto qual è il tasso di probabilità che l’epidemia assuma una certa intensità, ma anche quante epidemie potrebbero verificarsi in un dato periodo di tempo», prosegue Marani.

Analizzando i dati disponibili, i ricercatori hanno mostrato come il tasso di occorrenza delle epidemie, calato costantemente nel corso dell’ultimo secolo grazie ai progressi medici in tema di salute pubblica, ha da alcuni decenni ripreso a crescere. Come evidenziato da un importante studio di alcuni anni fa, nei decenni che vanno dal 1940 al 2000 l’occorrenza di nuove malattie di origine zoonotica ha subìto un aumento significativo, pari a una moltiplicazione di tre volte rispetto ai decenni precedenti.

«Ciò è chiaramente dovuto alle attività antropiche che hanno un forte impatto ambientale: la deforestazione e la disgregazione degli ecosistemi, ad esempio, aumentano la possibilità che gli esseri umani vengano in contatto con animali selvatici che sono un serbatoio naturale di agenti patogeni potenzialmente pericolosi per l’uomo, e che potrebbero compiere il famigerato salto di specie», aggiunge il professore.

«Sfruttando il dato relativo al numero di nuove malattie comparse nel periodo 2000-2020, e proiettando queste stime nel futuro, abbiamo calcolato che la probabilità che, nel corso di una vita umana, si sia testimoni di un’epidemia come quella attuale si attesta poco sotto il 40%. Se ipotizziamo che l’occorrenza di nuove malattie continui ad aumentare – che, ad esempio, triplichi nuovamente – tra quarant’anni la probabilità di vivere un’altra pandemia di intensità pari o superiore a quella attuale potrebbe raddoppiare, raggiungendo quasi l’80%».

Una simile proiezione deve far riflettere: da una parte, infatti, bisogna chiedersi per quale motivo la pandemia da COVID-19 ci abbia colti completamente impreparati, dal momento che non si tratta di un evento così raro e improbabile nella storia umana. Dall’altra parte, però, lo studio evidenzia come vi sia una diretta correlazione tra le epidemie umane e le attività che hanno portato all’attuale crisi climatica e ambientale. Salute umana e salute del pianeta non possono essere scisse, e la politica, nell’organizzazione di iniziative locali così come nella preparazione di piani di cooperazione internazionale, non può più permettersi di ignorare questa evidenza.

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