SCIENZA E RICERCA

Fiducia nei vaccini anti Covid-19: elevata nei Paesi a reddito medio-basso

Se garantire un’equa distribuzione dei vaccini contro Covid-19 deve essere una priorità politica fondamentale, è altrettanto importante fare in modo che la popolazione abbia fiducia nei vaccini stessi e nelle istituzioni che li somministrano, essendo questi fattori determinanti per il successo di qualsiasi campagna di immunizzazione. Gli studi che indagano questi aspetti sono numerosi. Alcuni mesi fa Il Bo Live riferiva, per esempio, di un’indagine condotta dall’Imperial College (Covid-19: global attitudes towards a Covid-19 vaccine) che prendeva in esame l’atteggiamento nei confronti dei vaccini contro Covid-19 in 15 Paesi del mondo tra novembre 2020 e la metà di gennaio del 2021 (Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svezia e Regno Unito), per un campione totale di circa 13.500 persone. Ebbene a metà gennaio 2021, il 54% degli intervistati era pronto a farsi vaccinare contro Covid-19, se in quel momento avesse avuto a disposizione un vaccino. Una percentuale, questa, in aumento rispetto allo scorso novembre in 11 dei 15 Paesi presi in considerazione. Ora che i vaccini sono disponibili, però, altri elementi sono da considerare. Durante la campagna di vaccinazione di massa, l’attività di farmacovigilanza ha rilevato effetti collaterali rari per alcuni dei vaccini in uso, non riscontrati durante la fase di sperimentazione del farmaco, dato che il campione considerato, pur molto ampio, era ovviamente inferiore al numero di persone attualmente immunizzate a livello globale. Molto si è discusso, per esempio, sui rari casi di trombosi grave dopo la somministrazione del vaccino Vaxzevria, di cui alcuni Paesi a marzo hanno sospeso l’uso. Ebbene, proprio in concomitanza della sospensione, stando ai dati riferiti da uno studio di Eurofound, si è assistito a un aumento dell’esitazione vaccinale nell’Unione Europea. “Questi risultati riflettono un fallimento nel fornire una comunicazione persuasiva e chiara sull’efficacia e sulla sicurezza dei vaccini – ha dichiarato Daphne Ahrendt, senior research manager di Eurofound –. La fiducia nei vaccini è legata alla fiducia nelle istituzioni, e questo è un problema innanzitutto per i responsabili politici, ma anche tutti noi abbiamo una responsabilità collettiva, in tutta la società, per garantire la comunicazione e la pubblicazione di informazioni accurate e valide sulla sicurezza e l’importanza dei vaccini”. All’inizio di giugno inoltre, su The Lancet, anche alcuni scienziati inglesi esprimevano preoccupazione circa la possibilità che le politiche vaccinali relative ancora al vaccino Vaxzevria, diverse da Paese a Paese, potessero alimentare sfiducia nei confronti della vaccinazione.


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Si tratta di tematiche ampiamente dibattute e oggetto di studio, anche se, osserva un gruppo di ricercatori su Nature Medicine, pochi studi hanno indagato però l’atteggiamento della popolazione nei confronti della vaccinazione anti-Covid-19 nei Paesi a basso reddito, dove l’immunizzazione su larga scala è appena iniziata. Per questo gli autori del paper hanno preso in esame un campione di 15 indagini (per un totale di 44.260 individui) condotte tra giugno 2020 e gennaio 2021 in Paesi a basso reddito (Burkina Faso, Mozambico, Ruanda, Sierra Leone e Uganda), a reddito medio-basso (India, Nepal, Nigeria e Pakistan) e medio-alto (Colombia). I risultati sono stati poi confrontati con quelli di due Paesi all’avanguardia nella ricerca e sviluppo di vaccini, come la Russia (a reddito medio-alto) e gli Stati Uniti (a reddito alto).

In generale nei Paesi meno sviluppati la fiducia nei confronti dei vaccini contro il morbillo, la difterite, il tetano e la pertosse è generalmente elevata, facendo dunque supporre un atteggiamento positivo anche verso le vaccinazioni anti Covid-19. Confermando le supposizioni iniziali, lo studio riferisce livelli variabili ma elevati di accettazione del vaccino contro Covid-19 che raggiunge l’80,3% nei dieci Paesi considerati in Africa, Asia meridionale e America Latina. Più basso invece il tasso di accettazione delle vaccinazioni in Russia (30,4%) e negli Stati Uniti (64,6%).  

La ragione che viene addotta più comunemente da chi è favorevole ai vaccini è la possibilità di proteggere se stessi dall’infezione da Sars-CoV-2 e in secondo luogo la propria famiglia. La protezione della comunità di appartenenza non occupa invece una posizione di rilievo tra le ragioni dichiarate per vaccinarsi. Al contrario chi si dimostra riluttante nei confronti dei vaccini esprime preoccupazione in primo luogo per i possibili effetti collaterali.

Gli autori precisano che le indagini sono state condotte in larga parte quando stavano emergendo i dati sugli studi di fase 2 e 3 dei primi vaccini disponibili in commercio, prima dunque dell’autorizzazione all’uso in emergenza di qualsiasi prodotto. La preoccupazione per gli effetti avversi, dunque, potrebbe riflettere le scarse informazioni ancora disponibili sulla sicurezza dei vaccini al momento della raccolta dei dati e la rapidità con cui i vaccini sono stati sviluppati. Inoltre, sottolineano i ricercatori, l’intensa copertura mediatica degli eventi avversi, come è avvenuto per i rari casi gravi di trombosi dopo la somministrazione del vaccino di Astrazeneca (in un periodo tuttavia successivo a quello considerato), potrebbero influire negativamente sui livelli di esitazione vaccinale.  


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“Sebbene la distribuzione globale del vaccino sia stata finora fortemente sbilanciata verso i Paesi ad alto reddito, gli elevati livelli di accettazione del vaccino che abbiamo individuato suggeriscono che dare priorità alla distribuzione nei Paesi a basso reddito può essere un modo efficace per raggiungere l'immunità su scala globale e prevenire l'emergere di nuove varianti”. Secondo gli scienziati inoltre, sulla base dei risultati ottenuti, coinvolgere gli operatori sanitari - che vengono in larga parte indicati come la fonte più affidabile - per fornire informazioni sul vaccino, facendo leva su una comunicazione che insista sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini potrebbe essere utile per rispondere alla scarsa fiducia della popolazione rimanente. 

Sulla stessa linea un sondaggio, condotto tra agosto e dicembre del 2020 su più di 15.000 adulti, dai 18 anni in su in 15 Paesi africani (Burkina Faso, Costa d'Avorio, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Gabon, Kenya, Malawi, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Sud Africa, Sudan, Tunisia e Uganda), ha dimostrato che il 79% del campione considerato sarebbe stato pronto a farsi vaccinare, qualora il vaccino fosse ritenuto sicuro ed efficace. Dunque anche in questo caso una percentuale elevata. 

Shingai Machingaidze e Charles Shey Wiysonge della University of Cape Town, commentando su Nature Medicine i due studi citati,  sottolineano che le ragioni dell’accettazione o esitazione vaccinale nei confronti del vaccino contro Covid-19 rimangono complesse e, tenendo conto dell’emergere di nuove varianti e dell’arrivo sul mercato di ulteriori vaccini, sarà fondamentale saper comunicare mantenendo il giusto equilibrio tra dati acquisiti e aspetti ancora in fase di studio. Sarà importante, dunque, saper comunicare anche l’incertezza. Ricercatori e case farmaceutiche, sottolineano gli autori, devono essere disponibili a fornire i dati ottenuti nel corso delle ricerche e le riviste mediche dovranno sempre garantire la solidità del processo di revisione tra pari delle pubblicazioni che riguardano la sicurezza e l’efficacia dei vaccini o dei risultati delle ricerche correlate. Ancora, i governi dovrebbero essere trasparenti in merito alle strategie di risposta alla pandemia da Covid-19 e alle politiche vaccinali.   

“La segnalazione di eventi avversi dopo l'immunizzazione è una componente chiave del monitoraggio dei programmi di vaccinazione - affermano Machingaidze e Wiysonge - e, sebbene sia importante che questi eventi siano documentati e riportati, un'intensa copertura mediatica può anche scoraggiare le persone dal farsi vaccinare. I media dovrebbero quindi riferire in modo responsabile e trasparente, fornendo informazioni chiare e imparziali al loro pubblico. Infine, le persone che usano internet e i social media (compresi gli scienziati e i clinici) dovrebbero farlo in modo responsabile per evitare di diffondere falsità o di usare un linguaggio che potrebbe essere male interpretato e dunque aumentare l'esitazione vaccinale”. 

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