SCIENZA E RICERCA

Vaccini Covid-19: aumenta la fiducia nella popolazione

La fiducia nei confronti dei vaccini contro Covid-19 sembra crescere in molte parti del mondo. I dati provengono da una ricerca condotta dall’Imperial College di Londra che rileva un aumento nel numero di persone disposte a farsi vaccinare. E, stando a uno studio condotto dall’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società, la stessa tendenza emerge anche in Italia.

L’indagine realizzata dall’Imperial College (Covid-19: global attitudes towards a Covid-19 vaccine) prende in esame l’atteggiamento nei confronti dei vaccini contro Covid-19 in 15 Paesi del mondo tra novembre 2020 e la metà di gennaio del 2021. I Paesi inclusi sono Australia, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Singapore, Corea del Sud, Spagna, Svezia e Regno Unito e il campione totale è di circa 13.500 persone. Secondo quanto riportato nel documento, a metà gennaio 2021, il 54% degli intervistati era pronto a farsi vaccinare contro Covid-19, se in quel momento avesse avuto a disposizione un vaccino. Una percentuale, questa, in aumento rispetto allo scorso novembre in 11 dei 15 Paesi presi in considerazione: le eccezioni sono l’Australia, il Giappone, la Corea del Sud e Singapore. Lo scorso novembre, infatti, solo il 41% degli intervistati sarebbe stato pronto a farsi vaccinare in quel momento.

Il rapporto rivela, poi, una minore preoccupazione per gli effetti collaterali del vaccino: a metà gennaio, è il 47% degli intervistati a riferire di essere preoccupato in relazione a questi aspetti. Rispetto a novembre del 2020 la percentuale è diminuita in 9 dei 15 Paesi considerati, rimane costante in 5 Stati e aumenta, invece, a Singapore. Secondo i risultati dello studio, rimane invece relativamente invariato rispetto ai mesi scorsi il timore di contrarre Covid-19: il 44% degli intervistati riferisce un certo livello di preoccupazione, mentre il 29% dichiara di esserne indifferente. Dall’indagine emerge, inoltre, che la maggior parte delle persone ha fiducia nei vaccini (il 25% molta, il 41% moderata). Solo il 12% dichiara di non averne affatto. In tutti i Paesi, tranne il Giappone, emerge questa fiducia, con l’Italia in testa, seguita dal Regno Unito.  

Secondo quanto dichiarato a Nature da Lavanya Vasudevan, che si occupa di salute globale presso la Duke University di Durham nel North Carolina, la tendenza rilevata è incoraggiante. È probabile che i progressi siano dovuti ai dati di elevata efficacia dei primi vaccini e del loro grado di sicurezza. Gli atteggiamenti delle persone, secondo la docente, potrebbero anche essere cambiati quando amici e parenti hanno condiviso esperienze positive. Ma Lavanya Vasudevan avverte che i risultati dell’indagine non possono essere estesi ad altre regioni del mondo, compresi i Paesi a basso e medio reddito, fino a quando non saranno disponibili più dati.  

A monitorare l’atteggiamento della popolazione nei confronti dei vaccini contro Covid-19 è anche la John Hopkins University che prende in esame 67 Paesi in tutto il mondo.

In Italia, i risultati ottenuti dall’Osservatorio Scienza Tecnologia e Società (Observa Science in Society) sono in linea con il trend rilevato a livello internazionale. Lo scorso autunno solo il 36,2% degli italiani era disposto a farsi vaccinare subito, appena possibile, e una percentuale quasi uguale (il 37,9%) lo avrebbe fatto, ma non immediatamente. Il 21,5%, invece, non aveva intenzione di farsi vaccinare. Ebbene, secondo l’indagine condotta tra il 20 e il 25 gennaio 2021 su un campione di circa un migliaio di persone, è salita la percentuale di chi si farebbe vaccinare immediatamente (58,7%) e sceso, invece, il numero di chi vorrebbe aspettare (23,9%) o non si farebbe vaccinare (14,3%). Lo studio di Observa ha indagato, inoltre, le ragioni alla base di queste scelte: tra chi è pronto alla vaccinazione immediata, prevale la fiducia negli scienziati (37,2%), la convinzione che i benefici superino i rischi (35,5%) e che i dati dimostrino la sicurezza dei vaccini (24,6%). Chi invece non è disposto a farsi vaccinare subito ritiene che non vi siano ancora abbastanza dati su sicurezza ed efficacia (53,2%), che i vaccini siano stati approvati troppo in fretta (33,7%) e, una parte, non si sente particolarmente a rischio di fronte a Covid-19 (11,3%). Tra chi, infine, non intende farsi vaccinare, la ragione che viene addotta più frequentemente è la celerità con cui i vaccini sono stati approvati (44,7%).  

“Entrambi questi studi osservano due periodi abbastanza simili – spiega Teresa Gavaruzzi, ricercatrice del dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione dell’università di Padova, autrice con il suo gruppo di un’indagine sull’esitazione vaccinale durante il lockdown –: l’indagine di Observa si colloca tra la fine di ottobre e la fine di gennaio, quella dell’Imperial College mette a confronto novembre e gennaio, quindi due periodi nel corso dei quali sono accaduti dei cambiamenti notevoli. Come sappiamo, in questo arco temporale sono stati approvati i primi vaccini contro Covid-19, con tempi diversi nelle varie nazioni”. E questo, osserva la docente, ha avuto delle conseguenze nell’atteggiamento dei cittadini. “Prima l’intenzione e l’interesse a vaccinarsi erano solo ipotetici, dato che si parlava di studi su vaccini in corso di cui non si conoscevano le caratteristiche. Poi invece si è passati dall’ipotetico al reale, anche se come sappiamo in realtà la possibilità di vaccinarsi non è ancora offerta a tutti, ma le opzioni possibili si sono concretizzate”.

Guarda l'intervista completa a Teresa Gavaruzzi. Servizio di Monica Panetto, montaggio di Elisa Speronello

Siamo ormai nella fase 4, quella in cui il vaccino viene somministrato a un numero molto elevato di persone, tra cui personale medico e sanitario, il più competente nel giudicare se accettare o meno questo presidio medico. Secondo Gavaruzzi questo ha contribuito a dare fiducia alla popolazione, soprattutto in virtù del fatto che gli effetti collaterali osservati sono molto esigui. E questo rassicura. “Molte volte l’aspetto più critico è quello dell’efficacia del vaccino, e soprattutto degli effetti collaterali, perché sono questi che spaventano”. In realtà il fatto che ormai via sia un numero elevato di persone che si sono sottoposte alla vaccinazione consente di raccogliere moltissimi dati. “Per esempio, si è iniziato a sperimentare il vaccino anche sui bambini negli Stati Uniti e questo potrebbe portare alla somministrazione nei più piccoli. Le donne in gravidanza non erano state contemplate nei primi studi, ma ora ci sono dati che si stanno accumulando e questo migliorerà le conoscenze anche su gruppi più specifici”.

Lo studio di Observa, in particolare, mette in evidenza anche le carenze nell’ambito della comunicazione tra cittadini e scienziati nel nostro Paese. Se all’inizio di aprile 2020 il 47,8% dei cittadini riteneva che da parte degli esperti italiani venissero veicolati pareri troppo diversi (con la confusione che questo ha contribuito a creare), la percentuale ha toccato punte del 61,9% alla fine di ottobre, per attestarsi al 59,5% alla fine di gennaio 2021. Non stupisce, dunque, che sempre meno cittadini ritengano gli interventi pubblici degli esperti italiani chiari ed efficaci: la percentuale è scesa infatti dal 33,3% dello scorso aprile al 18,9% di gennaio 2021. “Molte volte – osserva Gavaruzzi – l’esposizione mediatica e il dibattito fomentato dai vari format televisivi o da testate giornalistiche contribuiscono a creare un problema di comunicazione. E anche la crisi di governo non ha aiutato. Sicuramente sarebbe preferibile una voce autorevole, unica e tecnica, non politica. Il problema è la commistione tra aspetti politici e sanitari”.

Teresa Gavaruzzi ha recentemente contribuito alla stesura del volume The Covid-19 Vaccine Communication Book, una guida pratica per migliorare la comunicazione relativa ai vaccini e combattere la disinformazione, rivolta a medici, politici, giornalisti, insegnanti, ricercatori, genitori, studenti. Proprio per combattere la disinformazione, una direzione che oggi si tende a seguire, spiega la ricercatrice, è quella della cosiddetta “pre-inoculazione”, si anticipano al cittadino possibili fake news in circolazione, spiegando – dati alla mano – le ragioni della loro infondatezza: “Questo aiuta le persone a riconoscere le false notizie ed ad esserne maggiormente protette”.

Su questi tematiche intervengono su Scienza in rete anche Francesco Marino e Nicola Zamperini, esperti di comunicazione digitale, che propongono a istituzioni, professionisti della salute, scienziati e media dieci punti su cui ragionare per una comunicazione efficace del vaccino contro Covid-19, con particolare riferimento alla comunicazione su Internet. Al web, infatti, in molti si rivolgono per cercare informazioni e notizie o per scambiare opinioni. Marino e Zamperini invitano dunque ad “ascoltare la rete”, a monitorare le interazioni sui social, le ricerche su Google, perché questo può contribuire a studiare messaggi efficaci. Suggeriscono di produrre più contenuti possibili, spiegando cosa sia un vaccino e perché sia importante farlo, e di “invadere” il web con tutti gli strumenti a disposizione, con un linguaggio comprensibile a tutti e un dialogo continuo che accolga eventuali dubbi degli utenti. Sottolineano l’importanza di prestare attenzione agli algoritmi che ordinano i contenuti sulla base delle supposte preferenze dell’utente e ai cosiddetti “data void”, buchi di informazione nello spazio digitale all’interno dei quali riescono a inserirsi i produttori di fake news. I due autori evidenziano poi la necessità di ragionare, quando si è online, in termini di “micro-comunità”, di nicchie che hanno caratteristiche, interessi e bisogni diversi di cui serve tener conto nella comunicazione. E tutto ciò attraverso strumenti idonei, attraverso una sorta di “cassetta degli attrezzi digitale” che permetta di veicolare un messaggio univoco, declinandolo in modo diverso a secondo del pubblico di riferimento.

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