SOCIETÀ

Una frase fuorviante dell’enciclica, almeno discutibile. Parliamone

Papa Francesco ha firmato e diffuso la sua terza enciclica “Fratelli tutti” in piena emergenza sanitaria e non ha evitato di confrontarsi con la novità della nuova malattia che ha colpito tutti gli Stati e tutte le comunità umane del mondo: “Proprio mentre stavo scrivendo questa lettera, ha fatto irruzione in maniera inattesa la pandemia del Covid-19, che ha messo in luce le nostre false sicurezze. Al di là delle varie risposte che hanno dato i diversi Paesi, è apparsa evidente l’incapacità di agire insieme. Malgrado si sia iper-connessi, si è verificata una frammentazione che ha reso più difficile risolvere i problemi che ci toccano tutti. Se qualcuno pensa che si trattasse solo di far funzionare meglio quello che già facevamo, o che l’unico messaggio sia che dobbiamo migliorare i sistemi e le regole già esistenti, sta negando la realtà”. Non si poteva dire meglio. Abbiamo già richiamato i valori dell’enciclica e sottolineato l’importanza del nuovo pronunciamento circolare del Papa, nel metodo e nel merito.

Nel testo c’è almeno un paragrafo meno convincente (talora positivamente ripreso anche dai social), che rischia di proporre un quadro inesatto della realtà, in specifico laddove si considera preferibile, addirittura “ideale”, “evitare le migrazioni non necessarie”. L’aggettivo “necessario” appare in questo caso impreciso e fuorviante, lo è probabilmente sempre quando si parla di migrazioni. Considero toccante e meritoria tutta l’attività di papa Francesco per promuovere l’accoglienza dei migranti, sollecitando con successo tante comunità religiose a compiere gesti concreti ed efficaci. Considero seria e coerente la trattazione complessiva del fenomeno migratorio nell’enciclica, nell’insieme dei pronunciamenti e delle iniziative del papa. Pure questa stessa frase è inserita in un contesto del tutto condivisibile, verrebbe da dire che si tratta di un piccolo errore “in buona fede”. Tuttavia, vale la pena sottolineare il passaggio, verificare meglio, approfondire, discutere, confrontarsi. Prendersi sul serio fino in fondo, con sincero rispetto.

Come noto, l’enciclica riporta in larga parte frasi già pronunciate o scritte negli anni precedenti, risulta una sorta di riassunto degli indirizzi papali in una prospettiva nuova di azione fraterna. Nell’insieme sono 287 paragrafi con all’interno 288 citazioni (qualche paragrafo una o più di una, qualche altro nessuna), citazioni fra virgolette cui segue un numero di nota, tutte le noto raggruppate poi in fondo al testo. La declinazione e la proporzione dei termini connessi al fenomeno migratorio appare corretta: si parla più delle persone che dell’atto, si distinguono emigrazioni da immigrazioni. Esclusivamente di “migrazioni” si parla nel primo capitolo “destruens” all’interno della parte significativamente intitolata “Senza dignità umana sulle frontiere”. Paragrafi da 37 a 41, ineccepibili. La questione ritorna in modo organico nei capitoli “construens” all’interno della parte intitolata (altrettanto significativamente) “Il limite delle frontiere”. Paragrafi da 129 a 132, indicazioni perlopiù condivisibili, “sacrosante”, al cui interno ci sono tuttavia le frasi da ponderare.

Leggiamo l’intero paragrafo per esteso, distinguo le virgolette perché il paragrafo già contiene altre citazioni. “«Quando il prossimo è una persona migrante si aggiungono sfide complesse» (nota 109, non è un testo papale, si cita la lettera pastorale dei vescovi del Messico e degli Stati Uniti, gennaio 2003). Certo, l’ideale sarebbe evitare le migrazioni non necessarie e a tale scopo la strada è creare nei Paesi di origine la possibilità concreta di vivere e di crescere con dignità, così che si possano trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale. Ma, finché non ci sono seri progressi in questa direzione (corsivi miei), è nostro dovere rispettare il diritto di ogni essere umano di trovare un luogo dove poter non solo soddisfare i suoi bisogni primari e quelli della sua famiglia, ma anche realizzarsi pienamente come persona. I nostri sforzi nei confronti delle persone migranti che arrivano si possono riassumere in quattro verbi: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. Infatti, «non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di fare insieme un cammino attraverso queste quattro azioni, per costruire città e Paesi che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperti alle differenze e sappiano valorizzarle nel segno della fratellanza umana». (nota 110, udienza generale del papa, 3 aprile 2019)”. Come si vede le frasi fuorvianti con il discutibile riferimento all’eventuale carattere di necessità delle migrazioni sono originali dell’enciclica, non sono state riprese da testi precedenti.

Fuorvianti perché? La distinzione fra una migrazione necessaria e una migrazione non necessaria è davvero complicata, in passato, nel presente e nel futuro anche remoto. Non si capisce se quel che risulta necessario sia l’emigrare o l’immigrare, in quel tempo o sempre, se sia necessario per ragioni esterne o personali, per sé o per altri. L’aggettivo non consente di considerare il carattere asimmetrico e diacronico del migrare. Soprattutto, l’aggettivo non è sinonimo di “forzata”, ci sono sempre state migrazioni necessarie non forzate. Le migrazioni “forzate” esistono, nella realtà e nel diritto, nelle dinamiche quotidiane e nella letteratura scientifica. Sono sia emigrazioni che immigrazioni forzate, imposte da forze “esterne”, costringono alla fuga uno o più individui in gruppo; persecuzioni e guerre, eventi estremi climatici o geomorfologici; “cacciate” dal proprio ecosistema umano di vita, la cui unica alternativa è la morte (o il carcere, se ci cacciano altri umani e se ci va bene). 

Il sapiens è un animale sociale, insediato nel proprio ambiente e nella propria evoluzione. In ogni periodo, in ogni luogo migrare è atto di relazione con lo spazio e con il tempo, per noi umani agito all’interno degli estremi dell’assoluta costrizione (che esiste) e della relativa libertà (che esiste piena talora solo individualmente), cioè non esterno a individui e generazioni della specie, ma elaborato dalla stessa specie, secondo una propria geografia e una propria storia. Esistono, dunque, le migrazioni assolutamente forzate, in genere poche in ogni epoca, e le migrazioni con qualche margine di libertà, interne alla dialettica e alle contraddizioni necessarie al vivere, al sopravvivere e al riprodursi. Ogni migrazione si situa in un intervallo fra libertà e costrizione, scelte e vincoli, poteri e doveri, opportunità e necessità. Nessuno può negare che siano esistite “forze” che hanno fatto cambiare residenza a individui e gruppi umani, che siano esistiti trasferimenti forzati. In quei casi il margine di libera scelta può anche essere collocato in altre libere (pessime) scelte umane. Oppure in contesti non umani, nella relazione di un individuo o di un gruppo con l’ecosistema. 

La categoria delle migrazioni forzate è essenziale. I motivi sono di forza maggiore, talvolta accompagnati da norme e pratiche di cacciata formale. Hanno il carattere proprio dell’obbligo, essere obbligati a emigrare. Il “non poter” più restare in un territorio e il “dover” immigrare in un altro può avere componenti anche soggettive, rese tuttavia irrilevanti quando vi sono eventi, atti, fatti legati a una coercizione come espulsioni-migrazioni, guerre-migrazioni, persecuzioni-migrazioni. Se si identifica “forzato” con “necessario” e si afferma che solo le migrazioni necessarie sono idealmente da accettare e le altre “non” necessarie possibilmente in futuro da evitare, si esprime una forte riduzione dell’umana libertà di movimento e di migrazione. Forzato indica un obbligo proveniente dall’esterno, il necessario può avere invece altre ragioni “interne”, affettive e familiari, sociali e ambientali, culturali e artistiche. 

Non credo si tratti di un refuso o di una svista nell’enciclica. La campagna martellante contro ogni immigrazione induce talora a un atteggiamento difensivo, come se ci si dovesse vergognare delle migrazioni non necessarie, come se lo “scopo”, la “direzione” da intraprendere fossero restare sempre nella propria comunità. Ovviamente, le intenzioni sono sane e il progredire del ragionamento è convincente. Esiste un diritto di restare laddove si è nati e cresciuti, l’intera comunità umana dovrebbe mettere ciascuno nelle condizioni di “realizzarsi pienamente come persona” nel proprio ecosistema, “di vivere e di crescere con dignità, … trovare lì le condizioni per il proprio sviluppo integrale” e, finché questo non avviene, occorre “accogliere, proteggere, promuovere e integrare”, come giustamente propone l’enciclica. La garanzia planetaria del diritto di restare e la garanzia del rifugio per i migranti forzati lasciano un ampio spazio che l’enciclica rischia di dimenticare, per il passato, per il presente e per la prospettiva: il diffuso eterno fenomeno di migrazioni un pochino libere e capaci, quelle che si sono sempre verificate nella storia e nella geografia dell’umanità e che hanno resto ogni ecosistema un ecosistema umano meticcio, ogni individuo non autoctono, frutto di geni, culture, lingue, caratteri intrecciati e mescolati; quelle di cui parla un Global Compact dell’Onu, per altro molto sostenuto dal Vaticano. Del resto, proprio papa Francesco ha rilanciato il tema del meticciato e ha fatto bene. E di meticciato anche l’enciclica opportunamente parla (paragrafo 148).

Papa Francesco è giunto alla sua terza enciclica, sempre attingendo alla dottrina sociale della Chiesa e alla “radicalità” del Vangelo. Il 3 ottobre 2020 ad Assisi, presso la tomba di San Francesco, proprio il giorno della vigilia della festa del Poverello, nell’ottavo anno del suo Pontificato, il papa, Jorge Mario Bergoglio (Buenos Aires, 17 dicembre 1936), ha firmato la bella Lettera Enciclica “Fratelli tutti”, poi pubblicata in varie forme digitali e cartacee, ancora una volta un testo utile da tenere in ogni biblioteca, qualunque sia il credo di chi le organizza o frequenta: Francesco, Fratelli tutti. Sulla fratellanza e l’amicizia sociale, Introduzione di Antonio Spadaro (gesuita, direttore di La Civiltà Cattolica), Marsilio Venezia, 2020, pag. 255 euro 8,90 (questo testo cartaceo riporta le note in piccolo sulla stessa pagina, anche quelle cui si è fatto riferimento sopra). Il cammino fraterno è ricostruito e invocato già dal titolo attraverso la citazione diretta delle Ammonizioni di San Francesco (circa nel 1221, codice 338), un dato di fatto e non solo un nobile sentimento, riferito a tutti gli esseri viventi (compresi sole, mare, vento) e non solo agli umani (in particolare agli abbandonati, ai malati, agli scarti, agli ultimi). L’enciclica esamina i drammi strutturali del nostro tempo in un denso sintetico capitolo “destruens”: forme e strumenti di certa prevalente politica, la diffusa iniqua cultura dello scarto e le crescenti distanze sociali, la frequente assenza del rispetto dei diritti, la mancata accoglienza rispetto alle migrazioni, i rischi nei sistemi comunicativi di notizie e valori. 

Prima di indicare alcune linee d’azione “construens”, Francesco dedica un capitolo alla parabola del buon samaritano, un modello sociale e civile di inclusione. Seguono i corposi capitoli dedicati proprio al pensare e al generare un pianeta aperto: avere un cuore aperto al mondo intero, praticare la migliore politica, curare il dialogo e l’amicizia sociale, individuare i percorsi di un nuovo incontro, con le religioni al servizio (plurale) della fraternità nel mondo. I primi obiettivi sono riempire il cuore di lucida gentilezza, sollevare uno spirito di riconciliazione multilaterale, contrastare chiusura e intolleranza fra e negli Stati (con duri giudizi sui populismi). Ne avremmo gran bisogno. Il testo ricapitola, anche se non in maniera sistematica, il pensiero di papa Francesco lungo tutti questi otto anni, appare davvero come un compendio che cementa e solidifica i pronunciamenti su una crisi globale che è insieme ambientale, economica, sociale, spirituale e psicologica. Merita di essere letto e discusso, anche quando forse contiene frasi meno convincenti come quelle qui esaminate.

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