SCIENZA E RICERCA

Geni antichi e moderni raccontano la storia degli ebrei aschenaziti

Durante il XIV secolo, nella città tedesca di Erfurt, oggi capitale della regione della Turingia, abitava una delle maggiori comunità aschenazite d’Europa. Gli aschenaziti rappresentano il principale gruppo etnoreligioso di fede ebraica che si costituì nell’area della Renania a partire dal X secolo e che nei secoli successivi si diffuse nell’Europa centrale e orientale.

Un gruppo di ricercatori dell’università di Harvard e dell’università ebraica di Gerusalemme ha collaborato con la comunità ebrea di Erfurt per svolgere il più ampio studio genetico mai condotto finora su una popolazione aschenazita medievale: sono stati sequenziati i genomi di 33 individui vissuti tra il 1200 e il 1400 sepolti in un cimitero ebraico tardomedievale scoperto a Erfurt nel 2013. L’analisi genetica ha mostrato che all’epoca nella città convivevano due gruppi di aschenaziti – provenienti, rispettivamente, dall’Europa occidentale e da quella orientale dall’unione delle quali sembrano discendere i moderni aschenaziti.

I risultati di questo lavoro di ricerca, la cui prima firmataria è Shamam Waldman, dell’università ebraica di Gerusalemme, sono particolarmente preziosi perché permettono di iniziare a ricostruire le più remote dinamiche demografiche della popolazione aschenazita, ancora in parte sconosciute.

Alcuni precedenti studi di genetica avevano già cercato di formulare delle ipotesi riguardo l’origine e la provenienza dei primi aschenaziti tramite l’analisi del dna degli aschenaziti moderni. Da queste indagini è emerso che la popolazione aschenazita di tutto il mondo risulta oggi essere geneticamente omogenea. Esistono infatti delle varianti genetiche, alcune delle quali purtroppo associate alla predisposizione a specifiche patologie, che ricorrono con una frequenza molto più alta in questo gruppo di popolazione rispetto alla popolazione globale. La scarsa diversità genetica che caratterizza gli aschenaziti contemporanei suggerisce che essi discendano tutti da uno stesso gruppo ristretto di circa cento individui.

Questa scoperta implica che nella lunga e complessa storia degli aschenaziti si formò a un certo punto un collo di bottiglia che ridusse drasticamente la loro diversità genetica. Un collo di bottiglia è un fenomeno per cui, in seguito a un evento solitamente catastrofico (come un’epidemia, una strage o un disastro ambientale), il numero dei membri di una popolazione diminuisce notevolmente nel giro di poco tempo. In questi casi, i pochi sopravvissuti sono quelli da cui discenderanno le future generazioni della popolazione in questione. Se alle dinamiche genetiche si accompagnano alcune tradizioni culturali per cui gli individui di queste comunità continuano a praticare l’endogamia per molte generazioni, questi continueranno a conservare la maggior parte del patrimonio genetico del nucleo di sopravvissuti al collo di bottiglia. Questo è ciò che è accaduto con gli aschenaziti, il cui isolamento genetico dura da secoli e ha plasmato il loro dna, che oggi riflette una discendenza intermedia da popolazioni dell’est Europa e dell’Europa occidentale.

L’analisi dei genomi di individui contemporanei non poteva però fornire dati precisi per ipotizzare come e quando fosse avvenuto questo collo di bottiglia così antico. Al contrario, il materiale genetico di individui vissuti molti secoli fa, in un’epoca molto più vicina all’evento in questione, poteva nascondere preziose informazioni a riguardo. Eppure, non era facile né scontato ottenere l’approvazione della comunità ebraica locale, il cui credo impone di rispettare i morti e di non disturbare il loro riposo.

I ricercatori che hanno condotto lo studio hanno quindi dovuto cimentarsi con un problema di etica religiosa che non poteva, naturalmente, essere ignorato. La questione è stata risolta con un accordo con il rabbino di Erfurt che ha concesso agli studiosi di trarre il DNA da analizzare da denti già staccati ritrovati nelle sepolture già scoperte. Come osserva Andrew Carry, che ha raccontato questa storia su Science, l’accordo in questione potrebbe costituire un precedente per svolgere, in futuro, altri studi sul DNA antico di popolazioni ebraiche senza violare la sensibilità religiosa dei locali e, soprattutto, agendo nel loro interesse.

Le ipotesi tratte dagli studi condotti in precedenza suggerivano che il collo di bottiglia e la conseguente crisi demografica risalissero proprio al XIV secolo, periodo caratterizzato dall’epidemia di peste nera. Eppure, dall’esame dei resti umani ritrovati nel cimitero di Erfurt – sui quali sono state effettuate anche analisi al radiocarbonio e isotopiche per stabilire il periodo e la collocazione geografica in cui vissero gli individui in questione – sembra che il collo di bottiglia sia avvenuto in epoche ancora più remote. I ricercatori hanno scoperto non solo che gli aschenaziti contemporanei discendono da quelli che abitavano a Erfurt e nelle regioni circostanti nel XIV secolo, ma anche che questi ultimi erano già geneticamente omogenei allora. Questo significa, come viene spiegato nello studio, che il collo di bottiglia in questione debba essersi verificato diversi secoli prima.

Ma questi non sono gli unici risultati degni di nota dello studio di Waldman e coautori, i quali hanno anche constatato che il patrimonio genetico degli individui seppelliti a Erfurt fosse sì piuttosto omogeneo, ma non tanto quanto quello dei moderni aschenaziti. Le analisi genetiche hanno permesso di distinguere tra le persone seppellite nel cimitero di Erfurt due discendenze genetiche: una associabile all’area occidentale dell’Europa e un’altra all’Europa centrorientale. L’esistenza di due gruppi di diversa cultura, lingua e provenienza all’interno della comunità aschenazita di Erfurt è stata confermata anche dal controllo dei registri fiscali e immobiliari dell’epoca, dove compaiono i nomi e i cognomi dei residenti aschenaziti medievali.

L’ipotesi dei ricercatori è che questi due gruppi discendessero, rispettivamente, da un primo nucleo di aschenaziti arrivati in Renania nell’800 e dai membri di un altro gruppo di aschenaziti giunti a Erfurt (la quale si trovava in una posizione centrale tra le comunità ebraiche europee dall’est e dell’ovest) da Boemia, Moravia e Slesia nel XIV secolo.

I risultati permettono infine di intuire quanto fosse profondo il senso di appartenenza di questa comunità, che se già nel Medioevo era omogenea da generazioni (e così è rimasta, osservando i genomi moderni) significa che i matrimoni misti tra gli ebrei e i cristiani, che pure abitavano a Erfurt e nelle altre città medievali circostanti, fossero molto rari, nonostante queste due popolazioni vivessero a stretto contatto.

Come precisato dagli stessi autori, quella proposta nello studio non rappresenta certo una ricostruzione precisa e definitiva delle dinamiche demografiche degli aschenaziti antichi; gli sforzi per riportare alla luce queste remotissime vicende potranno continuare solo grazie alla collaborazione tra scienza e comunità locale nel rispetto degli interessi di quest’ultima e della sensibilità religiosa dei suoi membri.

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