SCIENZA E RICERCA

La geopolitica delle terre rare e lo scontro commerciale con la Cina

Qualche settimana fa abbiamo cercato di capire come mai le schede grafiche necessarie per costruire i computer più potenti e le console per i videogiochi, come la nuova Playstation 5, siano oggi molto difficili da trovare. Un fattore determinante è sicuramente la grande domanda, forse più alta della aspettative di Sony e Microsoft. Ma hanno giocato un ruolo anche i lockdown che nei primi mesi del 2020 hanno bloccato o rallentato le catene produttive del Sud Est asiatico, area con la maggiore concentrazioni di aziende del settore. Alla base di queste catene c’è l’approvvigionamento di terre rare, elementi chimici fondamentali per far funzionare schede grafiche, smartphone e non solo. Servono per esempio per costruire gli speciali magneti utilizzati dagli impianti eolici. Nei prossimi mesi vedremo se la pandemia e i rallentamenti alla produzioni hanno avuto effetto sulla loro lavorazione. Nel frattempo, da anni attorno alle terre rare si aggrovigliano interessi economici e equilibri geopolitici di mezzo mondo.

Il primato cinese

Prima la cronaca. Il primo marzo 2021 un gruppo di aziende canadesi, statunitensi ed europee ha siglato un accordo programmatico per la costituzione di catene produttive di terre rare senza il coinvolgimento della Cina. Alla base c’è la preoccupazione del ruolo di dominio mondiale che Pechino ha da diversi anni sul settore. Secondo i dati dello US Geological Service, l’agenzia americana che si occupa di materie prime, nel 2020 la Cina è responsabile della produzione di poco meno di due terzi delle terre rare complessive.

“Solo un decennio fa, questo dato era ancora più alto oltre il 90%”, spiega Alberto Prina Cerai, analista e associate editor della rivista Pandora, “decretando una posizione di dominanza assoluta”. Altri attori, a cominciare dall’Australia e dal Canada, sono emersi negli ultimi anni, indebolendo in parte la posizione cinese, “ma dove Pechino è ancora fortissima è sul comparto industriale, proprio in termini di know how nella lavorazione delle terre rare”.

Le terre rare, infatti, sono un gruppo di una quindicina di elementi chimici con caratteristiche simili tra di loro e che sulla tavola periodica degli elementi occupano le caselle dei lantanidi. Ma è praticamente impossibile trovarli isolati in natura: vengono estratti tutti insieme dalle miniere e devono poi essere separati gli uni dagli altri con procedimenti chimici. Vengono poi trasformati ulteriormente e commercializzati sotto forma di ossidi.

Il ruolo della Cina si è consolidato dagli anni Novanta, parallelamente all'aumento di domanda dal settore dell'elettronica Alberto Prina Cerai, associated editore Rivista Pandora

Sui procedimenti industriali che intervengono dopo l’estrazione, la Cina è ancora la dominatrice assoluta. Anche a mettere in campo una maggiore capacità di estrazione, poi i singoli paesi produttori dipendono di fatto da Pechino per la lavorazione. Ecco perché lo stesso Prina Cerai ha scritto dell’accordo canadese-americano-europeo in un articolo su Formiche.net, sottolineandone l’importanza per provare a scuotere questo settore attraverso il tentativo di costituire una catena completa alternativa.

 

Il fattore verde

La storia delle terre rare ha radici profonde, ma fino agli anni Ottanta del secolo scorso l’attore principale della loro estrazione e lavorazione erano gli Stati Uniti. Il loro impiego era limitato ai processi di raffinazione dell’industria petrolifera, “che costituiscono ancora una parte della domanda”, dice Prina Cerai. Ma dagli anni Novanta c’è stato un progressivo aumento delle richieste che vengono dall’industria elettronica, soprattutto per la costruzione di alcuni tipi di magneti ed è qui che «è cominciato a emergere il ruolo della Cina». Nel giro di un ventennio è passata da nuova arrivata nel settore a principale attrice. “A questo riguardo”, prosegue Prina Cerai, “hanno avuto un ruolo le voci all’interno della società americana che chiedevano di rendere più pulita l’industria estrattiva”. Nel complesso, quella delle terre rare, è infatti un’industria ‘sporca’ in termini di impatti sull’ambiente.

Alla ventata verde sul settore si è quindi sommata, complice la spinta industriale cinese, la scoperta di alcuni dei giacimenti di terre rare più importanti al mondo proprio nelle province della Mongolia interna in territorio cinese. 

Un situazione analoga a quella degli Stati Uniti negli anni Ottanta e Novanta è quella che sta vivendo per certi versi la Cina oggi. Sono infatti i programmi verdi di Pechino a chiedere alla propria industria di essere più attenta che in passato ai temi ecologici. "Sono innumerevoli le inchieste e i reportage dalle zone estrattive di diverse parti del mondo", racconta Prina Cerai, “che mostrano condizioni ambientali e umane difficili”. Un’immagine dalla quale il governo cinese sta facendo diversi sforzi per smarcarsi e porsi come potenza economica più attenta all’ambiente e all’ecologia. 

Non solo per la nuova concorrenza, quindi, ma le analisi come quella mostrata qui sotto indicano che in futuro la produzione cinese di terre rare è destinata a calare nonostante una domanda che, al contrario, crescerà.

Terre rare e geopolitica

Nel frattempo la Cina non rinuncia a usare il proprio vantaggio per scopi anche geopolitici. L’esempio più clamoroso, forse quello che ha messo per la prima volta le terre rare sotto l’occhio di bue della stampa mondiale, è avvenuto una decina di anni fa. Cina e Giappone, e in parte anche Taiwan, litigano da oltre mezzo secolo sul controllo di un arcipelago di isole disabitate, le Senkaku, ma nel 2010 Pechino decise di utilizzare la leva delle terre rare. Per far valere la propria posizione decise di contingentare l’esportazione di terre rare verso il Giappone, mettendone in difficoltà l'importante comparto elettronico. Era un dimostrazione di forza economica, che però nel 2014 l’Organizzazione Mondiale per il Commercio (la World Trade Organization) ha condannato per l’uso politico di una posizione di dominanza sul mercato. L’anno successivo, la Cina si è vista costretta a togliere le limitazioni.

Gli effetti geopolitici attorno alle terre rare talvolta sfociano nella criminalità e in vere guerre armate. Come quella che si combatte in Congo, paese ricco di coltan, e che solo in casi di tragedie come l’uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, escono dalla zona d’ombra internazionale.

In altri casi, invece, hanno influenzato idee anche un po’ bislacche, come quella dell’ex presidente americano Donald Trump che nel 2019, quasi come una boutade, si disse interessato all’acquisto della Groenlandia.

Con lo scioglimento dei ghiacci dovuti al surriscaldamento globale, la Groenlandia si pone al centro di diversi interessi commerciali (per il passaggio delle navi sulle rotte artiche) e per lo sfruttamento delle sue risorse naturali. Tra queste, hanno una certa rilevanza i giacimenti di terre rare. “Secondo alcune stime”, snocciola Prina Cerai, “la Groenlandia potrebbe ospitare tra il 10 e il 12% delle riserva globali”. Nel 2019 viaggio di Trump a Copenhagen è stato cancellato, perché la prima ministra danese ha dichiarato che la proposta era fuori discussione. Ma, nello stile esagerato dell’ex presidente, mostra quanto interesse ci sarà sulla Groenlandia nei prossimi anni. Anche a causa delle terre rare.

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