SCIENZA E RICERCA

Il grande letto vuoto del Po

Le temperature non lo danno ancora a pensare, ma guardando al livello delle acque raggiunto dal fiume Po negli ultimi mesi, sembrerebbe di essere nel pieno di un caldo e aridissimo agosto. Dopo un inverno perlopiù asciutto, il grande fiume che per 652 chilometri attraversa l’Italia settentrionale dal est a ovest, è sceso in media su livelli tipici del periodo estivo. Da ottobre a marzo le precipitazioni sono state circa la metà della media prevista e anche le deboli piogge che stanno interessando in questi giorni il nostro Paese sembrano non essere sufficienti a risanare una situazione arrivata ormai quasi al limite. Ma non è solo una questione di piogge.

“La siccità che sta interessando il bacino del Po – spiega Giulia Zuecco, ricercatrice presso il Dipartimento di territorio e sistemi agro-forestali dell’Univesrità di Padova - è causata sia dalla scarsità di precipitazioni piovose che nevose degli ultimi tre mesi. In Piemonte, ad esempio, le precipitazioni cumulate medie mensili sono state appena di 21, 10 e 36 mm nei mesi di dicembre, gennaio e febbraio (fonte: ARPA Piemonte). Confrontando queste misure con quelle medie in Piemonte registrate nel medesimo periodo tra il 1971 e il 2000, i mesi in questione hanno presentato rispettivamente un deficit pari al 62%, 84% e 37%. Dal punto di vista delle precipitazioni nevose, inoltre, questo inverno ha registrato pochi fenomeni significativi e concentrati in poche giornate (in particolare il 23 e 24 gennaio e dal 30 gennaio al 3 febbraio). L’equivalente idrico della neve è infatti, al momento, al di sotto della media degli ultimi vent’anni. Anomalie, queste, che hanno interessato anche altre regioni in cui scorre il fiume Po, quali Lombardia ed Emilia-Romagna. C’è da considerare poi, che la temperatura dell’aria nei mesi di gennaio e febbraio è risultata generalmente più elevata rispetto ai periodi di riferimento 1971-2000 in Piemonte e 1981-2010 in Lombardia (fonti: ARPA Piemonte e ARPA Lombardia) e ha determinato una fusione anticipata del manto nevoso accumulatosi negli scorsi mesi nelle zone montane. Pertanto, le riserve nivali alle altitudini minori potranno esaurirsi molto prima rispetto agli scorsi anni e la siccità nel bacino del fiume Po (ma anche in altri bacini del Nord Italia, quali quello dell’Adige e del Piave) potrebbe ulteriormente aggravarsi in assenza di precipitazioni significative durante i mesi primaverili”.

Ma a subire gli effetti di un clima che sempre più spesso alterna stagioni di forte siccità ad eventi estremi, non è solo il grande fiume.

“Oltre al Po – prosegue Zuecco - sono in sofferenza anche alcuni dei laghi principali (Maggiore, Como e Iseo) che presentano livelli idrometrici di molto inferiori alla media del periodo. La portata ridotta del fiume sta causando inoltre problemi nella zona del Delta del Po, dove si sta già verificando la risalita del cuneo salino. L’intrusione di acqua marina ha gravi ripercussioni sulla produzione agricola, con la difficoltà di sfruttamento della risorsa idrica a scopi irrigui e potabili, e ha conseguenze anche sulla fauna ittica del fiume e le attività turistiche nella zona. Se il periodo siccitoso dovesse durare a lungo, nel Polesine la situazione potrebbe diventare particolarmente critica e il cuneo salino potrebbe risalire per diversi chilometri (a maggio 2017 il cuneo salino arrivò a circa 12-15 km dalla linea di costa). Da quanto emerge dalle segnalazioni dell’ANBI (Associazione Nazionale Consorzi per la gestione e la tutela del territorio e delle acque irrigue), nell’eventualità che la scarsità delle precipitazioni dovesse proseguire, si potrebbero riproporre per il Po le condizioni della grande siccità del 2007 e di quella recente del 2017, un evento costato due miliardi di euro all’agricoltura (fonte: Coldiretti). Al momento i danni al settore agricolo sono piuttosto ridotti, visto che siamo ancora alla fine dell’inverno, tuttavia, l’anticipo delle coltivazioni e delle fioriture dovuto alle temperature miti e superiori alle medie stagionali, rende necessario lo sfruttamento delle già scarse riserve idriche per l’irrigazione e un’eventuale brusca diminuzione delle temperature potrebbe comportare gravi danni da gelate”.

Il fiume Po e l’Italia in generale non sono soli nell’affrontare le conseguenze di situazioni climatiche sempre più estreme e pericolose. Ad essere a rischio è l’intero pianeta sempre più coinvolto e compromesso da quel fenomeno definito come ‘cambiamento climatico globale’.

“Anche questo evento – conlude la ricercatrice - si colloca in modo coerente nell’ambito di riconosciute modifiche strutturali del clima, caratterizzate da un trend positivo nelle temperature, in particolare nei valori massimi, significativo dal punto di vista statistico. I giorni piovosi risultano in diminuzione, mentre aumenta la lunghezza massima dei periodi siccitosi (pur in costanza statistica dei valori medi di precipitazione annua). Le proiezioni dei modelli del Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) relative all’intero bacino padano, indicano un aumento della temperatura media annua per fine 2100 di circa 2,4 °C rispetto alla media storica 1986-2005. Questo è in linea con le proiezioni riportate nell’ultimo rapporto IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), secondo il quale, agli attuali ritmi, entro il 2030 l’aumento della temperatura media globale sarà superiore agli 1,5 °C, considerata la soglia di sicurezza per poter permettere, sia pure con costi ingenti, la gestione degli effetti del cambiamento climatico”.

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012