SOCIETÀ

Immigrazioni poche e permanenti: inutile far finta di allarmarsi

Dobbiamo forse considerare un pericolo per noi tutti il probabile aumento di migrazioni umane verso le coste italiane nei prossimi mesi del 2021? No. È vero: gli arrivi stanno crescendo e i viaggi sono purtroppo rischiosi per alcuni sapiens, non per gli italiani e per l’insieme della nostra società. Sia sul piano delle quantità che su quello della qualità non c’è alcun allarme da fronteggiare su questa sponda del Mediterraneo, si tratterebbe solo di agire con onore e disciplina.

La prima questione riguarda gli emigranti. Sono pochissimi, sia in relazione alle centinaia di milioni di abitanti dei paesi dai quali emigrano, sia rispetto alle condizioni di povertà, fame, sete, carenza di servizi idrici e sanitari, fragilità per i cambiamenti climatici antropici globali, precarietà dei diritti civili di alcuni paesi africani, e rispetto pure alle ridotte capacità e libertà di migrare di cui possono godere. Buona parte di quei pochissimi non giunge in Europa, c’è una significativa ampia migrazione interna ai rispettivi paesi e verso paesi limitrofi o, comunque, interna al continente d’origine. Larga parte della residua piccolissima quota di emigranti su percorsi più lunghi ha bisogno di anni e di sofferenze per continuare la migrazione, sottoponendosi a ricatti e angherie lungo il cammino verso nord nel deserto del Sahara, vista la totale assenza di un flusso regolamentato e sicuro del loro essere divenuti “immigrati” (una volta usciti per più mesi dal proprio paese). La minuscola quota che è arrivata e arriverà non è partita ieri per imbarcarsi col bel tempo e il mare calmo.

Non c’è paese al mondo che non abbia conosciuto memorie terribili di morti e discriminazioni nella propria formale “patria” per alcuni propri concittadini.

Essere immigrati oggi è la seconda questione, stranieri in Europa o italiani all’estero che dir si voglia. Trovarsi in un altro paese non per turismo si scontra con il fastidio e l’avversione ormai quasi in ogni Stato del pianeta. Coloro che vi si trovano sono deboli e sfruttabili, sia dal punto di vista delle regole amministrative pubbliche che dal punto di vista del mercato del lavoro privato. Inoltre, l’Unione Europea e singoli Stati europei, la stessa Italia, pagano per bloccare gli immigrati nei paesi africani dove sono immigrati, Libia o Niger o altri (un ulteriore esempio è costituito dalla stessa Turchia), come categoria non come persone, qualunque siano la motivazione e il contesto del loro essere emigrati da cittadini del proprio paese, collocandoli di fatto nel limbo della “non cittadinanza” istituzionale, sociale, civile e culturale, da nessuna parte, fuori da ogni radar.

I soli immigrati presi in teorica considerazione e attenzione sono quelli definibili Refugees dalla convenzione internazionale che regolamentò decenni fa il diritto d’asilo, la situazione drammatica cui furono esposti tanti sapiens da guerre e dittature nel corso dei millenni e dei secoli. Non c’è paese al mondo che non abbia conosciuto memorie terribili di morti e discriminazioni nella propria formale “patria” per alcuni propri concittadini. Esiste unanimità in Italia e in Europa su questa terza questione: chi fugge da persecuzioni e conflitti nel paese d’origine, quelli li potremmo pure accogliere, solo quelli ma saremmo tutti d’accordo. Il consenso è teorico, di facciata, o sfacciato che dir si voglia. Cosa abbiamo consentito di fare per riconoscere la condizione umana “rifugiata” dei migranti presenti ora in Africa, per sapere se alcuni di loro avrebbero diritto d’asilo, per verificare se altri di loro sono egualmente profughi (in fuga da qualcosa), se altri ancora vedono violati nel proprio paese diritti e libertà previsti dall’ordinamento giuridico dell’Unione europea o dalla Costituzione italiana? Quanti erano i meritevoli di asilo fra le centinaia di migliaia di morti o carcerati nel deserto e fra gli oltre ventimila morti (solo durante i recenti sette anni) nel Mediterraneo?

Mettiamo un attimo in relazione le relative quantità numeriche, è interessante

Negli ultimi giorni si sono susseguiti titoli preoccupati ed enfatici su due diverse allarmanti antiche “non emergenze”, manifestatesi di nuovo nella primavera 2021: il declino demografico degli italiani e l’invasione imminente di immigrati via mare. Sono entrambi fenomeni strutturali, inevitabili nel breve e medio periodo, in entrambi i casi non c’è pericolo concreto di vita, salute e lavoro per nessun italiano vivente. Abbiamo spesso già affrontato con cura la trattazione di entrambi i fenomeni. Mettiamo un attimo in relazione le relative quantità numeriche, è interessante. La popolazione residente in Italia è diminuita nel solo 2020 di quasi 400 mila individui, una tendenza in atto almeno da circa un decennio, restiamo oltre 59 milioni (59.000.000) di sapiens italiani. Gli immigrati arrivati sulle coste italiane nel 2020 sono stati circa 34 mila (34.154), sempre meno di 100 mila ormai da qualche anno (quasi 200 mila nel 2016), connessi casomai a un numero maggiore di emigranti all’estero dall’Italia, pure a prescindere dalla pandemia. L’allarme collegabile alla dimensione quantitativa va riferito al carattere strutturale e permanente di alcuni fenomeni: nei prossimi decenni continueranno a diminuire i nati e i relativamente più giovani fra la popolazione italiana; nei prossimi decenni continueranno a crescere donne e uomini e bambini e bambine in fuga da ecosistemi africani.

A un relativo minimo aumento del numero di sbarchi corrisponde, ovviamente, un numero molto maggiore di partenze (diacroniche) dal paese d’origine, non necessariamente in aumento. Si sbarca dopo e prima può accadere di tutto e di peggio; alcuni sono stati perseguitati e, eventualmente, fermati già in patria; molti risultano sfruttati durante il viaggio (che avevano pagato a qualcuno); altri hanno subito un blocco navale che li ha riportati in uno stato di detenzione altrettanto illegale; altri ancora purtroppo sono naufragati, determinando una vera e propria “strage degli innocenti”, per la quale istituzioni pubbliche di vari Stati portano una grave corresponsabilità. Le nazionalità d’origine degli sbarcati immediatamente identificati in Italia nel 2020 sono: Tunisia (13%), Bangladesh (!!) (10%), Costa d’Avorio (!) (10%), Guinea (6%), Sudan Egitto Eritrea (circa 5% ciascuno), Mali (4%). Più che verso i paesi d’origine, gli stati europei hanno lavorato sui paesi di transito e la strategia esclusiva è risultata pagare tanto i relativi governanti affinché si tenessero lì gli immigrati (non certo per dare loro una prospettiva di vita sociale e lavorativa). Solo una minoranza sfugge e finisce inevitabilmente per consegnarsi a caro prezzo (finanziario, sanitario ed esistenziale) ai trafficanti illegali, spesso criminali organizzati. Qualcuno sopravvive e s’imbarca.

Per approfondire:

La domanda del pericoloso viaggio verso l’Europa è stata, è e sarà davvero alta e l’offerta di incerto transito risulta soprattutto condizionata dalla situazione in Nord Africa, delle istituzioni e degli armatori criminali (ma talora legati a milizie ufficiali, come in Libia), dalle imbarcazioni disponibili, dalle rotte praticabili o preferibili (non sempre verso l’Italia, anzi), dalla meteorologia e dal mare. Sembra che i nostri servizi di intelligence abbiano segnalato al Governo in carica che attualmente in Libia vi sarebbero almeno 900 mila migranti, immigrati da altri paesi africani. Sono uomini donne bambini bambine rispetto ai quali gli europei non possono chiudere gli occhi, lasciandoli detenuti in quel paese vita natural durante. Certo, non possono diventare tutti immigrati in un solo paese europeo e, forse, nemmeno solo in Europa.

Si affronti di petto la questione nelle sedi internazionali: alcuni potrebbero ottenere lo status di Refugees; altri il ricongiungimento familiare; altri ancora rientrare in permessi annuali di lavoro; alcuni altri magari pure rimpatriati, se non c’è pericolo per loro. Prevenire i naufragi e gli sbarchi significa affrontare numeri e fenomeni per quello che sono, determinando proprio una “politica sull’immigrazione equilibrata, efficace e umana” (il Presidente Draghi il 12 maggio 2021 alla Camera dei Deputati), in coerenza con i Global Compact dell’Onu che nessuno in Italia cita più, pur essendo in vigore, e con la Costituzione italiana che chiede a tutti onore e disciplina, oltre a prevedere una legge sul diritto d’asilo mai approvata.

Il dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione del Ministero dell’Interno cura un Cruscotto statistico nazionale giornaliero, rendendo disponibile sul sito un insieme di numeri aggregati sul fenomeno migratorio, ogni giorno i dati vengono aggiornati, le tendenze sono molto chiare. Dal primo gennaio alle 8 del 12 maggio 2021 si è verificato lo sbarco in Italia solo di 13.008 migranti (dei quali minori 1.566!), più che nello stesso periodo del 2019 e del 2020, meno che in anni precedenti. La cifra assoluta è comunque modesta (modestissima!) e dipende relativamente poco sia dalla domanda (sempre enorme) che dai ministri che si sono succeduti da noi. Occorre tener presente che chi arriva non diventa “immigrato” in Italia: al 31 dicembre 2020 c’erano 79.938 migranti “in accoglienza” sul territorio italiano, individui “sospesi” negli hot-spot (21), nei centri di accoglienza (la maggior parte: 54.343), nei centri SOPROIMI (ex Sprar, ben 25.574), distribuiti in tutte le regioni italiane.

Per approfondire:

Il sistema di accoglienza non è stato reso ben funzionante, diffuso, efficiente da Governi e Parlamento in questa legislatura, anzi qualità e quantità sono peggiorate, nonostante una certa disponibilità di servizi offerti da comuni e organizzazione non governative. Probabilmente si è pensato che il far sapere che in Italia si stava male sarebbe stato un disincentivo, ma il calcolo risulta sia cinico che errato. Ecco allora che, al primo aumento degli arrivi (comunque molti meno che cinque o dieci anni fa), siamo già al collasso degli hotspot. L’unica realtà che ha qualche ragione di protestare è la comunità dell’isola di Lampedusa, lasciata troppo frequentemente isolata sull’isola. Altrettanto unica è la scusa parziale che può essere accampata: siamo ancora in piena pandemia e il Ministero dell’Interno ha dovuto effettivamente approntare negli ultimi dodici mesi servizi straordinari per gestire l’emergenza sanitaria rispetto agli arrivi via mare. Indiscutibile! Tuttavia, la causa principale è ancora una volta l’assenza di canali regolari, sicuri, scadenzati per un’immigrazione libera di persone perbene (non solo di chi deve chiedere asilo).

Finché mancano corridoi umanitari per i profughi e percorsi ordinari per eventuali migranti occorre valorizzare quel che possono fare navi pubbliche e private per evitare morti e dispersi in mare, garantire porti aperti e centri di accoglienza efficienti (solidaristicamente in tutt’Italia) per gestire espatri legali e relativi flussi. L’accordo per una redistribuzione a livello europeo va chiesto non solo per i potenziali Refugees, bensì per ogni sbarcato o salvato dal mare, per un immigrato che rispetti le leggi nazionali e le norme comunitarie, che accetti lingua e culture che trova, che mostri desiderio di occupazione con i diritti di ogni altro lavoratore e lavoratrice. Servono canali d’ingresso legale in Europa, servono innanzitutto all’economia e alla demografia europee. È in questo contesto che potrebbero avere senso accordi bilaterali con i paesi mediterranei e africani, legati alla cooperazione al reciproco sviluppo sostenibile (anche relativamente alle questioni della pesca su cui sono sorte nuove tensioni, pericolose per i nostri equipaggi), in particolare oggi urgentemente con la Tunisia in drammatica crisi economica e sociale. Invece in Italia, la regolarizzazione di braccianti, colf e badanti è stata impostata nel 2020 con procedure lente e ristrette, non ha dato finora buoni risultati, andrebbe rilanciata insieme alla definizione di un congruo numero di stranieri “ammissibili” sul territorio nazionale (non esistono più limiti, ma la pandemia ha rallentato tutto) e all’approvazione della nuova legge sulla cittadinanza.

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