SOCIETÀ

Io sono Una, il fumetto contro la violenza sulle donne

È un urlo per conto di tutte le donne del mondo quello che esce prepotente dalle oltre 200 pagine di Io sono Una (titolo originale Becoming/Unbecoming), prima graphic novel autobiografica della scrittrice e artista inglese Una, pubblicata in Italia dalla casa editrice indipendente Add. Un urlo che è impossibile non sentire, attraverso il quale la protagonista di questa storia racconta al mondo le ferite che le sono state inflitte quando era ancora una bambina, trasformando la sua personale vicenda in una storia e riflessione collettiva.

Quella di Una è una storia di violenza come se ne sentono tante, troppe. È la storia di una dodicenne abusata che si trova a sbattere ripetutamente contro la prepotenza degli uomini e l’indifferenza della società. Sono gli anni tra il 1975 e il 1981 a fare da sfondo alla vicenda. Nel distretto metropolitano di Leeds, nella contea inglese del West Yorkshire, la polizia è alla ricerca di un assassino, ‘lo squartatore dello Yorkshire’, che dopo anni di indagini, al momento dell’arresto (nel 1981), ha alle spalle l’omicidio di 13 donne e il ferimento grave di altre nove (che prima aveva stuprato). Nella testa di Una (e nella realtà) in quegli anni la contea intera, la polizia, i media, la sua stessa famiglia, sono esclusivamente concentrati sulla storia degli omicidi, e non sulla sua che, vittima di abusi, perdeva il suo essere bambina senza volerlo e soprattutto senza capirlo. “La regola era che le ragazze dovevano tenere i ragazzi sotto controllo: non sembravo essere capace. Dai ragazzi, invece, non ci si aspettava che si controllassero. Le ragazze dovevano essere sexy, ma non troppo, e anche se la velocità alla quale crescevano non dipendeva affatto da loro, dovevano stare attente a non spaventare la gente con il loro seno e le loro cosce”. L’attenzione dello squartatore era rivolta prevalentemente verso donne dalle vite difficili, e questo aveva avviato, in una società ancora profondamente maschilista, un assurdo processo nei confronti delle vittime reali e di quelle ‘potenziali’. A loro si chiedeva di non vestire in maniera provocante, di non mettersi troppo in mostra, di non uscire la sera, di non uscire sole.

E anche in Una inizia a instillarsi quella strana e subdola sensazione di essere colpevole di qualcosa che però sa di non aver commesso, di essere il fattore scatenante di qualcosa che riesce a spiegare. “In qualunque modo guardassi la cosa, sembrava fossi sia la causa che l’effetto del problema. Un problema che non poteva essere nominato”.

Inizialmente la soluzione di Una fu il silenzio, l’unica che riuscì a trovare anche quando le fecero frequentare negli anni psicologi, psichiatri, terapeuti ed educatori. L’estrema difficoltà nel parlare di quello che è accaduto viene definita ‘violenza secondaria’ e sono ancora una volta le vittime di abusi sessuali a subirla. E l’essere inascoltati impedisce l’elaborazione del trauma e per questo le ferite sembrano non chiudersi mai. “Un giorno, nell’estate del 1981 lascia la scuola (…) e scappai. Avevo sedici anni. Poco dopo trovai un posto dove nessuno mi conosceva e nessuno avrebbe saputo. Diventai una creatura diversa. (…) Mi lasciai alle spalle il mio nome, l’ultima cosa che fosse veramente mia”. In un altro luogo, circondata da altre persone e con un altro nome Una ricomincia la sua vita. Si sposa e costruisce la sua nuova famiglia come una sopravvissuta. “Che spreco di tempo prezioso è stato sopravvivere! Ore, giorni, anni..decenni! Tutto quel tempo a combattere. Quanta energia preziosa consumata a limitare il danno per poter vivere la mia vita”. La storia di Una, un duro vissuto di violenza e solitudine, si chiude con un messaggio di necessaria speranza per chi ce la fa: “I sopravvissuti sono prove viventi e parlanti che agli effetti della violenza sessuale si può sopravvivere. Non sono solo sopportabili, ma in qualche modo lasciano nel sopravvissuto una traccia di forza sovrumana”. Si chiude invece con un doveroso ricordo a chi non ce l’ha fatta, quelle 13 donne che persero la vita a causa di un uomo violento, lo squartatore, questo libro forte, di grande attualità e umanità: “Per loro non ci sono monumenti. Esistono soltanto nella memoria di coloro che le amavano..o come foto segnaletiche sfocate nei libri e nei siti di gente affascinata dall’uomo che le ha uccise. Uno dei tanti”.

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