Ninfee, 1916-1919 circa, olio su tela (part.) © Musée Marmottan Monet, Paris
Se l’impressionismo è una delle grandi svolte dell’arte occidentale dai tempi di Giotto, Claude Monet (Parigi 1840 – Giverny 1926) ne è stato il patriarca e profeta. E oggi, proprio a due passi dalla Cappella degli Scrovegni e a 150 anni dalla tenuta a battesimo del movimento francese, sul pittore parigino (che in realtà crebbe a Le Havre, Normandia) è aperta al Centro Culturale Altinate/San Gaetano un’importante monografica.
Così, mentre fino al 12 maggio a Palazzo Zabarella la mostra Da Monet a Matisse evidenzia i momenti chiave del passaggio alla nuova sensibilità contemporanea, al San Gaetano l’attenzione viene focalizzata su uno dei fondatori (se non “il” fondatore) dell’impressionismo. Uomo la cui vita e l’immagine riflette la stessa intensità e luminosità dei suoi dipinti, ancora oggi Monet emana un'aura di creatività e di passione per l'arte. La sua ricerca incessante della perfezione lo ha portato a trasformare i paesaggi più comuni in opere d'arte senza tempo, catturando l'effimero e il transitorio con pennellate audaci e luminose, trasformando la nostra percezione del mondo attraverso la sua straordinaria sensibilità e la maestria tecnica.
“Londra. Il Parlamento. Riflessi sul Tamigi”, 1905; "Il treno nella neve. La locomotiva ", 1875 © Musée Marmottan Monet, Paris
MONET. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi, aperta fino al 14 luglio, nasce dalla collaborazione tra il museo francese, Arthemisia e il Comune di Padova; sessanta le opere esposte, tra capolavori di Monet e quelli dei suoi maestri e dei compagni di strada come Boudin, Delacroix, Jongkind, Renoir e Rodin. La rassegna – concepita da Sylvie Carlier, curatrice generale, direttrice delle collezioni e conservatrice capo del patrimonio del Musée Marmottan Monet, e dalle co-curatrici Marianne Mathieu, storica dell’arte, e Aurélie Gavoille, conservatrice del Musée Marmottan Monet – fa luce sulle tappe fondamentali della ricerca del pittore: dagli esordi sulla costa normanna, passando per i soggiorni in Olanda, in Norvegia e a Londra, fino alla sua opera-testamento: le ninfee dipinte fino alla sua scomparsa nella tenuta di Giverny, testimonianza preziosa del suo mondo interiore e della sua piena maturità artistica.
Le opere presentate a Padova comprendono capolavori come il Ritratto di Michel Monet con berretto a pompon (1880), Il treno nella neve. La locomotiva (1875) e Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi (1905), oltre a opere di grandi dimensioni come le eteree Ninfee (1917-1920) e gli evanescenti Glicini (1919-1920). Si tratta in maggioranza di quadri che l’artista conservava gelosamente nel suo atelier e nella casa di famiglia, e danno per questo la possibilità di conoscere un Monet più intimo, anche se sempre aperto al mondo.
"Vétheuil nella nebbia", 1879; "Campo di tulipani in Olanda", 1886, © Musée Marmottan Monet, Paris
Sei le sezioni in cui si articola il percorso espositivo a partire dagli esordi in Normandia, dove il giovane Monet è apprezzato come caricaturista e autore di ritratti satirici prima che Eugène Boudin, il “pittore dei cieli”, gli faccia conoscere e amare la natura. Al ritorno dal servizio militare – dove lo ha spedito il padre droghiere, nella speranza che metta la testa a posto – va a imparare il mestiere presso lo studio di Charles Gleyre, trovando compagni di strada come Bazille, Renoir e Sisley. Gli stilemi della pittura accademica gli vanno però stretti: i soggetti mitologici, storici e religiosi non lo appassionano, così come i lunghi studi preparatori prima di prendere in mano la tavolozza.
La seconda sezione, dedicata alla pittura en plein air, affronta una delle grandi passioni degli artisti di fine Ottocento, resa praticabile anche da innovazioni tecnologiche come l'avvento della ferrovia e l'invenzione dei colori in tubetti, mentre la terza sezione è dedicata alla luce, tema particolarmente caro agli impressionisti e in particolare a Monet, che dedica tutta la vita a catturare le variazioni luminose e le impressioni cromatiche dei luoghi e delle cose che ama.
"Glicini", 1919-1920 © Musée Marmottan Monet, Paris
Le ultime tre sezioni ripercorrono la seconda parte della vita dell’artista, gli oltre quarant’anni che vanno dal trasferimento nel 1883 nella grande casa con giardino a Giverny, con la seconda moglie Alice e i figli di entrambi, fino alla morte nel 1926. Qui Monet si dedica definitivamente allo studio della natura, dipingendo ogni aspetto del suo splendido giardino: la figura umana scompare progressivamente mentre la sua opera si concentra soprattutto sui fiori: gli iris, l'hemerocallis, l'agapanthus e soprattutto le celebri ninfee.
Nemmeno i progressivi problemi alla vista riescono a fermare Claude Monet, che come Beethoven continua testardamente a dedicarsi all’arte fino all’ultimo, superando i limiti fisici e anzi usandoli per affinare la propria sensibilità: la sua tavolozza si riduce e cede al dominio dei marroni, dei rossi e dei gialli, mentre le pennellate sempre più rapide e abbozzate sembrano anticipare le opere degli espressionisti americani come Pollock, De Kooning e Rothko. Cicli come quelli sui fiori, sul ponte giapponese e sui salici piangenti testimoniano la sua capacità introspettiva, i dolori personali (nel 1911 perde anche Alice, nel 1914 il primo figlio Jean) ma anche l’inarrestabile passione per la vita che lo accompagna fino alla fine, e che ancora oggi lo rende uno degli artisti più amati.