SOCIETÀ

La nuova corsa all'oro nell'oceano artico

Visto dallo spazio, l'Artico appare sempre meno bianco e sempre più blu. Il nuovo mare sta emergendo come un'Atlantide d'acqua. Alcune previsioni dicono che lo scioglimento dei ghiacci è destinato a completarsi nel giro di pochi anni, altre sono più ottimiste, e spostano più avanti l'ora in cui la spirale della morte dell'Artico arriverà a chiudersi. Tutti gli scienziati però concordano su una cosa: la causa è l'innalzamento delle temperature globali, che all'estremo nord, per un complesso intrecciarsi di ragioni climatiche, si fa sentire più che in altre parti del pianeta. Lo scioglimento dei ghiacci artici accentuerà ulteriormente il riscaldamento globale, perché verranno meno i servizi ecosistemici di refrigeramento dell'aria e di riflessione della radiazione solare, e perché inizierà a sciogliersi il permafrost, liberando altri gas serra tra cui il metano. E se si scioglieranno anche i ghiacci terrestri della Groenlandia il livello dei mari si innalzerà ancora più velocemente di quanto non stia già facendo.

Ma se i drammatici effetti ecologici sono ormai entrati a far parte della coscienza collettiva (nonostante gli ostinati negazionisti), molto meno note sono le conseguenze sull'evoluzione del settore energetico e dell'economia globale.

Si è tenuta a Padova, il 27 maggio in Aula Nievo, una giornata dedicata al futuro dell'Artico (The Arctic: new political and legal perspectives), organizzata da Alessandra Pietrobon, professoressa di diritto internazionale al dipartimento di scienze politiche dell'università di Padova. Con la partecipazione di importanti ospiti internazionali, sono state esaminate le prospettive geopolitiche, legali, economiche ed energetiche della trasformazione climatica in atto all'estremo nord del pianeta, dove lo sconvolgimento ecologico di matrice antropica sta paradossalmente offrendo nuova linfa proprio a quell'attività umana, mai paga, che sta alla base di quello stesso sconvolgimento. Cause e effetti si rincorrono, in un circolo vizioso e ossessivo, che racconta l'ingordigia con cui l'uomo ha scelto di abitare il suo pianeta.

Oggi stiamo assistendo ai preparativi per una nuova corsa all'oro. Mano a mano che i ghiacci si sciolgono, le riserve petrolifere, di gas naturale, di minerali preziosi e di materie prime, tra cui quelle essenziali per le nuove tecnologie digitali, diventano via via sempre più accessibili. E i Paesi che si affacciano sull'oceano artico stanno già allungando le loro mani sull'estremo nord.

Lo US Geological Survey nel 2008 ha stimato che circa 3600 miliardi di tonnellate di combustibili fossili si trovano ancora sottoterra. Circa un quinto di queste risorse, tra petrolio e gas naturale, si troverebbe all'interno del circolo polare Artico. Secondo Marco Mian, giornalista d'inchiesta, autore di Artico, la battaglia per il grande nord (Neri Pozza, 2017), il valore complessivo delle risorse naturali, delle materie prime (tra cui uranio) e dei minerali preziosi (diamanti, platino, oro, zaffiri, zinco) sepolti in Artico, sarebbe pari all'intero volume dell'economia statunitense, la più grande al mondo. “Fino a pochi anni fa l'Artico era la luna, un luogo desolato, ora è al centro dei giochi del XXI secolo” ha spiegato Mian. “È un posto fragile e al contempo simbolo della nostra arroganza, al centro della globalizzazione”.

Ma non solo, il ritiro dei ghiacci permette di sfruttare nuove rotte commerciali, più brevi e veloci, per collegare l’Estremo Oriente, l'Europa, la Russia e il Nord America, dalla Groenlandia all’Alaska, dal Mare di Barents allo Stretto di Bering. La connessione sarà anche digitale, perché si potranno posare i cavi per le nuove infrastrutture di telecomunicazione (fibra ottica). Inoltre, nuove specie marine giungeranno a popolare le acque lasciate libere dai ghiacci, dando vita a nuovi bacini di pesca.

Le potenze economiche che si affacciano sul mare artico, Russia, Canada, Norvegia, Danimarca, Stati Uniti, la stessa Unione Europea, ma anche e soprattutto la Cina, hanno già iniziato a disporre le proprie pedine, anche militari, perché gli interessi in gioco sono molti e di strategica importanza. La Russia avrebbe già dislocato numerose testate nucleari nella regione e il rischio maggiore è che l'Artico diventi al contempo teatro e oggetto di conflitti. Abbiamo chiesto ad Aslan Abashidze, professore di diritto internazionale alla Peoples'Friendship University of Russia, chi è maggiormente interessato a mettere le mani sulle risorse artiche e se esiste un modo per regolamentare questa competizione sfrenata.

Aslan Abashidze, professore di diritto internazionale alla Peoples'Friendship University of Russia

La temperatura globale è già aumentata di più di 1 grado dall'era pre-industirale e sebbene l'allarme climatico imponga di ridurre le emissioni di anidride carbonica in atmosfera (oggi arrivate al loro massimo a circa 415 ppm), la nostra economia e il nostro benessere si fondano ancora in modo prevalente sull'approvvigionamento energetico da combustibili fossili. L'Europa punta a ridurre a zero entro il 2050 le emissioni di CO2, il che significa rinunciare agli investimenti in piattaforme di estrazione, e rinunciare alla ricchezza e ai profitti che quelle risorse porterebbero. L'Europa sta facendo meglio degli altri Paesi, negli ultimi 20 anni ha ridotto le sue emissioni, eppure è ancora troppo distante da fare quello che sarebbe necessario per raggiungere gli obiettivi preposti. “L'Unione Europea dovrebbe andare avanti da sola, senza gli altri Paesi? Questa è una decisione politica” ha detto Arturo Lorenzoni, in veste di professore di economia dell'energia all'università di Padova.Io credo che l'Europa dovrebbe assumere la leadership tecnologica mondiale per poter raggiungere i suoi obiettivi”. Ha la possibilità per farlo, ma serve la volontà politica, e ancor prima forse quella culturale. Eppure, “molte concessioni per le estrazioni continuano a venir assegnate alle compagnie”, aggiunge Lorenzoni. “La produzione di petrolio e gas nell'Artico è aumentata negli ultimi anni. Canada, Russia, Usa, ma ora anche la Cina, sono fortemente interessati. Persino la Norvegia che pure ha un forte impegno ambientale, sta aumentando la sua presenza in Artico per l'estrazione di petrolio e gas. In Norvegia i punti di estrazione si stanno progressivamente muovendo verso Nord. Dal punto di vista ambientale questo è un problema, per un'area già molto fragile”.

Che l'Europa sia leader nel contrasto al cambiamento climatico lo ribadisce anche Marie-Anne Coninsx, ambasciatrice EU per l'Artico. “Il 25% dei fondi europei devono essere dedicati a combattere il cambiamento climatico” ha sostenuto Coninsx. L'Europa è leader nella ricerca sul cambiamento climatico, e tra le linee finanziate ci sono anche i programmi di ricerca spaziali: grazie alle immagini della Terra che i satelliti europei riescono a fornire, si possono studiare territori inesporati, come quelli artici, e sviluppare strategie di intervento. Del contributo apportato dallo spazio ha parlato Sergio Marchisio, professore di diritto internazionale a La Sapienza di Roma.

Ma in Artico vivono anche 4 milioni di persone, ci sono città, e centri universitari, come l'Arctic Center della University of Lapland, diretto da Timo Koivurova. Il sindaco di Kirkenes, in Norvegia, ha dichiarato che vorrebbe fare della sua città la Singapore del nord. 1,3 miliardi di euro sono stati spesi dall'Europa per sostenere lo sviluppo di queste realtà ai confini del mondo. Ma oltre ai progetti tecnologici e futuristici, in Artico vivono popolazioni umane da migliaia di anni, i cui diritti, schiacciati dalla nuova corsa all'oro, vengono spesso dimenticati come ci ha spiegato Timo Koivurova.

Timo Koivurova, direttore dell'Arctic Center, University of Lapland

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