CULTURA

Alle origini dell’età contemporanea, tra progresso e angoscia

Pubblichiamo la prefazione de L’alba della contemporaneità. La formazione del mondo moderno, 1860-1914, il volume uscito recentemente della Padova University Press che raccoglie le lezioni tenute a Padova nel 2017 dallo storico britannico Donald Sassoon, seguite a suo tempo da Il Bo Live e Radiobue.

Eric J. Hobsbawm manifestò sempre disappunto, in pubblico e in privato, per l’enfasi con cui giornalisti e recensori italiani ama­vano baloccarsi con la definizione del “secolo breve” (mero sottoti­tolo dell’edizione originale inglese e sbandierato titolo dell’edizio­ne italiana), ignorando il valore interpretativo del cuore del libro, ovvero L’età degli estremi, o con un po’ di libertà, L’età estrema. Non è un caso che l’edizione americana sia invece apparsa con il più sobrio e neutrale titolo The Age of Extremes. A History of the World, 1914-1991 (New York, 1994).

In Italia l’entusiasmo ammiccante per il “secolo breve” non ha più dato tregua, sedimentandosi nel comune sentire storiografico come una consolidata periodizzazione “certificata”, sulla base del­le agghiaccianti novità di un periodo storico che vede incrociarsi e sovrapporsi due guerre mondiali, la creazione di inediti regimi totalitari e la devastazione di una depressione mondiale che si protende su tutti gli anni trenta. Ma la seconda metà del Novecento ha anche conosciuto una stagione tra le più durature e “pacifiche” di crescita economica, di sostanziale declino delle guerre e della violenza, di espansione dei diritti di donne e uomini, di costruzio­ne di sistemi di welfare, di rapidissimo quanto dilagante sviluppo tecnologico e scientifico (al netto naturalmente di persistenti, dolo­rosi conflitti e disuguaglianze, e soprattutto del crescente disordine internazionale consegnatoci dall’odierno confuso multipolarismo e da un diffuso rifiuto della ricerca di soluzioni globali a problemi globali, in nome ancora una volta del più ambivalente e sanguina­rio arnese ereditato dalle grandi Rivoluzioni settecentesche, l’idea di Nazione).

Come conciliare questi due “estremi”? Donald Sassoon ci sug­gerisce, in queste tre brillanti e suggestive lezioni, di guardare agli esordi, alla fenomenale vitalità trasformatrice dei decenni che pre­cedono la Grande guerra, in cui semplicemente si gettano tutte le basi del mondo attuale, e da grande storico della società e della cultura ripercorre tre momenti (o per meglio dire, processi) cruciali del nostro presente: i destini e i tormenti del capitalismo, del socia­lismo, della cultura di massa, svelandone gli incroci e collegando queste grandi “invenzioni” ottocentesche agli scenari attuali.

In fondo, queste tre lezioni sembrano configurare una sorta di Time Machine, non a caso titolo di un romanzo di Herbert G. Wells, tra i più celebri testimoni e osservatori dei ribollenti fenomeni a ca­vallo tra Otto e Novecento (il libro è del 1895, ma è giusto ricordare che la primazia spetta alla novella del 1887 El anacronópete – colui che viaggia controtempo –, per mano di Enrique Gaspar y Rimbau).

Trasportandoci in quella che Stephen Kern ha definito efficacemente come l’esordio della nostra “età della simultaneità”, Sassoon racconta un XIX secolo inedito, dove nel ben noto ottimismo di una fede talvolta smodata nel “progresso” si innesta una robusta vena di “ansia” per gli esiti di mutamenti così rapidi e radicali: una sorta di “angoscia da progresso” – innescata dalla visione di un futuro che invece di tenderci la mano minaccia di travolgerci – che ci consegnerà innumerevoli profezie di “degenerazione” e distopie tecnologiche (tra i più venduti a fine Ottocento, non a caso, dopo La capanna dello zio Tom e Ben Hur, spicca il libro di Edward Bellamy, Looking Backward: 2000-1887).

Capitalismo, socialismo, società e cultura di massa non sono divisibili. I loro percorsi si intersecano. Di più, sembrano fatti della stessa creta

Ciò che lega a mio avviso i tre “viaggi” di Sassoon è il proble­ma storico cruciale della misura delle percezioni della realtà, non meno importanti dei fatti nel condizionare i processi storici. Si trat­ta di una lezione di metodo preziosa.

Inoltre, capitalismo, socialismo, società e cultura di massa non sono divisibili. I loro percorsi si intersecano. Di più, sembrano fatti della stessa creta: il capitalismo, spiega Sassoon, non è mai una questione meramente economica. Né il socialismo è meramente politico, o la cultura di massa un fenomeno di mere vocazioni e indirizzi intellettuali. Sono realtà che si compenetrano, e saperne cogliere sovrapposizioni, incroci e prestiti rappresenta un lavoro prezioso di arricchimento interpretativo di fenomeni in cui siamo oggi immersi.

Alle spalle di queste tre lezioni vi sono due monumentali libri di grande successo e uno in fieri. Si tratta di Cento anni di sociali­smo. La sinistra nell'Europa occidentale del ventesimo secolo (1998), de La cultura degli europei. Dal 1800 ad oggi (2011), e infine di The Anxious Triumph. The Global History of Capitalism, 1860-1914, di prossima pubblicazione, a cui Sassoon ha lavorato durante il suo soggiorno padovano. Nel 2017 l’Università di Padova ha infatti avuto l’onore di ospitare Donald Sassoon, professore emerito di Storia europea comparata alla Queen Mary, University of London, in qualità di Visiting Professor, invitato dal Dipartimento di scienze storiche, geografiche e dell’antichità e dal Centro di Ateneo per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, grazie al generoso contributo della Fondazione Cariparo.

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Intervista di Carlo Fumian a Donald Sassoon

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