CULTURA

La pandemia di Covid-19 e la speculative fiction

Non so se è accaduto anche a voi guardando la televisione o youtube o qualcosa in streaming in questi giorni del forzato necessario stare a casa. Si seguono le notizie con crescente ansia, ogni ora vorremmo avere un segno di inversione di tendenza, a prescindere dalla consapevolezza che la sincronia per ora è fra isolamento da nuovi contagi ed effetti dei contagi già avvenuti. Forse solo tra qualche giorno, in questa settimana di fine marzo potremo verificare davvero qualche positiva conseguenza dei decreti normativi e dei comportamenti più virtuosi datati a partire da quindici giorni fa.

E, poi, cerchiamo sul web e sui giornali online informazioni scientifiche dettagliate, comparazioni con altri paesi, scoperte e ipotesi sulla storia e geografia dei virus e delle pandemie, fake news da evitare. Ci siamo fatti una cultura e forse sarà utile per attrezzarci meglio in futuro (sappiamo che non finisce comunque qui). Però noi non guardiamo solo no fiction. Tanti seguono scene o visioni non connesse alla drammatica realtà là fuori, serie che avevano perso o che avevano molto amato, uno sceneggiato o un film per distrarsi e per essere catturati dalla adrenalina della fiction. Non so se è accaduto anche a voi. Se vedo una scena di baci e abbracci, di feste e affollamenti avverto uno straniamento, come se qualcosa non andasse bene, come se dovessi avvisarli che così ora non si può fare.

Se vedo una scena di baci e abbracci, di feste e affollamenti avverto uno straniamento, come se qualcosa non andasse bene, come se dovessi avvisarli che così ora non si può fare

Molte emittenti televisive hanno adattato la loro programmazione. Talora mandano programmi di lavorazione precedente il gennaio 2020 e inseriscono la dicitura che spiega che sono registrati prima della pandemia e dei conseguenti provvedimenti sanitari e sociali.

Anche in questo caso fa effetto vedere tutti quei sorrisi e strette, assembramenti e applausi, una contiguità che stiamo dimenticando, volti senza mascherine, mani senza guanti. Ancora una volta c’è una rilevante dirimente diacronia nella umana comunicazione, noi in mezzo agli altri (ormai molto raramente e giusto per pochi minuti), noi di fronte alle immagini filmate di altri, noi che pensiamo altri. Le stesse notizie sono continuamente sfasate.

Aspettiamo i dati delle 18 e, pur tuttavia, ogni commento è subito condizionato non tanto dal (possibile) confronto con i giorni precedenti, quanto dall’impossibile valutazione dell’andamento della stessa curva nei giorni successivi, se finalmente perniciosi contagi e terribili decessi ci saranno ancora ma in misura progressivamente stabilmente inferiore, fino lentamente ad azzerarsi. Forse sì. Ci vorranno ancora settimane.

La pandemia è un fenomeno diacronico, secondo l’OMS ora la diffusione sta accelerando negli altri continenti e l’epicentro si sta spostando dall’Europa agli Usa; inoltre nel lungo periodo è destinata a contagiarsi ampia parte della popolazione; infine epidemie e pandemie continueranno a crescere anche in futuro (purtroppo).

Il senso di straniamento riguarda pure la lettura di testi cartacei, per definizione meno emotiva e visiva, più lenta e meditata. Seguendo un testo contemporaneo, romanzo o racconto, narrato al presente, dobbiamo concentrarci un attimo per capire che non sta parlando delle dinamiche sociali concrete, per quanto varie e sorprendenti, in corso ora fra i nostri concittadini del pianeta fuori di casa.

Forse accade meno con i romanzi storici o riprendendo in mano volumi già letti, personaggi già entrati nel nostro immaginario senza diffusione del coronavirus e della malattia respiratoria Covid-19.

Comunque, spero, ci sovvien Leopardi, ci viene da comparare l’inedito scarso rumore esterno con il silenzioso antico fragore delle narrazioni, oppure le primavere trascorse con i tanti infiniti spazi e infiniti silenzi incontrati, mentre i pensieri facilmente si smarriscono di fronte a scritture che non potevano concepire il presente. E aiuta anche scoprire o ritrovare qualcuno, come il divulgatore scientifico americano David Quammen che si era occupato qualche anno fa (2012, in Italia Adelphi, 2014)  di Spillover, del salto di specie e della zoonosi di un patogeno, soprattutto da altri mammiferi (di cui si è poi qui parlato a proposito del Sar-CoV-2: https://ilbolive.unipd.it/it/news/epidemia-coronavirus-fenomeno-migratorio).

Non a caso, molti autori si stanno già cimentando nell’impresa di confrontarsi con l’attualità. Gli esempi sarebbero molteplici, sulle pagine dei giornali come sui siti delle case editrici. Cito qui solo il racconto del romanziere italiano la cui ultima avventura col vicequestore Schiavone era in testa alle classifiche a febbraio 2020: Antonio Manzini regala ai lettori sul sito di Sellerio “L’amore ai tempi del Covid-19”, si può scaricare gratis, lo hanno già fatto circa quaranta mila italiani e italiane.

Anche il fumettista Sclavi ha compiuto la stessa scelta con Dylan Dog. La letteratura fiction resta intrattenimento, non sarà male però che in futuro sia sempre più scientificamente oltre che letterariamente alta, sia propriamente speculative fiction, un termine suggerito dalla straordinaria scrittrice canadese Margaret Atwood.

Tra il 2003 e il 2013 Atwood pubblicò tre volumi ambientati nel futuro prossimo, circa cinquant’anni dopo in un ecosistema sconvolto da una catastrofe ecologica. Era già una scrittrice di fama mondiale, con trent’anni di carriera e riconoscimenti. Il termine cli-fi non veniva usato quando uscì il primo, era divenuto di moda all’uscita dell’ultimo. La trilogia viene oggi considerata una sorta di pietra miliare della climate fiction, quasi un vero e proprio campo letterario, appunto la cli-fi, branca contemporanea della fantascienza, science fiction. Evitiamo lunghe disquisizioni sulle etichette dei generi, tanto più su sci-fi e cli-fi: gli scrittori si sono sempre confrontati con l’ambiente naturale delle loro storie, anche per dare qualche base scientifica al rapporto dei personaggi con gli ecosistemi; vari scrittori da molto tempo trattano di futuro, più o meno terribile e fantascientifico, per descrivere possibili sviluppi del presente; esiste ormai una diffusa consapevolezza su alcuni raggiunti confini planetari e sugli effetti dei cambiamenti climatici antropici globali.

Atwood stessa preferisce definire la propria letteratura appunto speculative fiction, testi per ragionare e re-agire, per far emergere con competenza e liricità i nessi fra scienza e politica, fra inquinamenti e disuguaglianze, per mostrare alternative fra scenari distopici e resilienze possibili, fra una distopia e un’utopia fantastiche, verosimili, comunque relative. La narrativa speculativa può combattere forse anche il crescente diffuso disagio psichico ed è compito degli autori almeno quanto di noi lettori. Cogliamo l’occasione per dotarci di una griglia critica scientifica rispetto alle belle frasi che ci prendono lo sguardo, sia fra i giornalisti di no fiction che fra gli scrittori di fiction. Il giudizio può restare positivo sullo stile o sulla musicalità o sull’intreccio, ma anche parole e frasi hanno bisogno di biologia evoluzionistica per garantirci godimento di tutti i sensi. C’è una grande necessità di no fiction speculativa: fate un pensiero al modo di raccontare la realtà (non solo sportiva) del caro compianto amico Gianni Mura, giusto per capirsi!

Le periodizzazioni della critica collocano nel 2007 il momento in cui si esplicita nella letteratura anglofona una tendenza alla climate fiction. Proprio Atwood riprese il termine e contribuì a renderlo “social”, insieme al proprio impegno contro ogni violenza. Da allora si citano alcuni precursori o pionieri e innumerevoli opere, letterarie televisive cinematografiche, siti hastag e pagine facebook.

Il cli-fi si è caratterizzato per narrazioni che, a differenza della più parte della fantascienza tradizionale, non riguardano tecnologie immaginarie o pianeti lontani, piuttosto scenari ipotizzabili per un prossimo futuro del nostro pianeta.

A esempio, quanto probabilmente accadrà se persisteranno gli effetti del climate change e avranno luogo gli scenari descritti dall’Intergovernmental Panel noto come IPCC: innalzamento del mare e sommersione di aree costiere, eventi meteorologici sempre più estremi, desertificazione in aree ora solo un po’ secche o siccitose. Il 2007 fu l’anno in cui il Premio Nobel per la pace venne assegnato all’IPCC e ad Al Gore.

Il romanzo e il film con contenuto climatologico sono divenuti spesso uno strumento utile agli sforzi collettivi per affrontare il riscaldamento globale, per superare negazionismo e diffidenza. Dan Bloom, laureato a Boston nel 1971 in letteratura, poi giornalista in giro per il mondo, attivista ecologista, usò il termine "cli-fi" su Amazon, da allora lo ha “gestito” in saggi e rapporti. Non voleva definire un nuovo “genere", ma solo trovare una fraseologia accattivante per valorizzare la letteratura che si occupa di cambiamenti climatici e di riscaldamento del pianeta.

La mattina del 23 aprile 2012 Atwood twittò: “ecco un nuovo termine, cli-fi” e citò l’articolo di Bloom, suscitando interesse e apprezzamento ancor più larghi. Con l'affermarsi della nozione, il mondo dell’editoria iniziò a considerarlo come una nuova assestante categoria. Oggi si sta arricchendo di scritture passate, presenti e future sulle pandemie, fiction e no fiction.

Appare fecondo sia parlare dei crimini contro gli ecosistemi e di un nuovo patto di sopravvivenza sul pianeta (non del pianeta), fondato sulla maggiore rinuncia possibile al carbone, sull’aumento dell’efficienza dei carburanti e dei combustibili, sulle fonti rinnovabili di energia, sull’efficiente assistenza ai nuovi paesi industrializzati e sull’aiuto sostenibile ai paesi in via di sviluppo; sia parlare dei nessi fra distruzione degli ecosistemi e della biodiversità e diffusione di malattie infettive, delle capacità umane sociali e culturali di preparazione e prevenzione per sconfiggere le contaminazioni da animali selvatici (ospitanti virus pericolosi), della complicità mortale della globalizzazione dei profitti di pochi abbinata all’assenza o allo smantellamento di servizi sociali e sanitari per tutti.

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