La foresta pluviale dell’Amazzonia è uno degli hotspot di biodiversità: regioni dove il numero di specie, vegetali e animali, è vertiginoso. Eppure non sarebbe qui che nascono nuove specie, ma piuttosto nelle regioni limitrofe e meno ospitali. Come annunciato sulle pagine di Science, a trovarsi di fronte a questo paradosso evolutivo è stato un team internazionale di ricercatori intento a ricostruire il primo albero genealogico completo di un gruppo di uccelli tropicali: i passeriformi appartenenti al sottordine dei Tyranni, anche detti suboscini.
I Tyranni sono un gruppo di uccelli che ha una diffusione molto ampia: hanno colonizzato l’Africa centro-meridionale e il subcontinente indiano, ma la maggior parte di loro vive in Centro e Sud America con qualche specie che sconfina nell’America del Nord. In un areale così vasto, le specie si sono adattate agli ambienti più disparati e perciò ricostruire la filogenesi, cioè la storia evolutiva, di un gruppo tassonomico tanto numeroso e diversificato non è una questione semplice: sono almeno 20 anni che gli scienziati spostano, separano e riuniscono, le varie famiglie e infraordini dell’albero filogenetico di questi uccelli in base a nuovi dati ed evidenze emergenti.
Il gruppo guidato da Gustavo A. Bravo, della Harvard University, e da Michael Harvey, dell’Università del Texas a El Paso, si è inserito nel solco di questa ricerca otto anni fa, nel 2012, quando i due autori erano ancora dei post-doc. E per tirare le fila dell’intreccio evolutivo e tassonomico di questo vasto gruppo di volatili ha puntato sulla genetica e si è servito della collaborazione di ornitologi, biologi e altri scienziati, e di ben 21 musei di storia naturale dove erano conservati anche esemplari risalenti alla fine del XVIII e all’inizio del XIX secolo e appartenenti a specie oggi rare, in via di estinzione o estinte.
Bravo e Harvey hanno così analizzato quasi 2400 campioni genetici prelevati da 1.940 individui, appartenenti a 1.287 specie di Tyranni. E considerando che le specie note di Tyranni sono 1.306, vuol dire che sono riusciti a esaminare il 98,5% di tutte le specie conosciute di suboscini ottenendo praticamente una mappa genetica quasi completa di questo gruppo di uccelli che rappresenta circa un terzo della popolazione piumata di tutto il Sud America. E proprio quest’indagine genetica ha rivelato qualcosa di inaspettato: un paradosso. Ma per spiegarlo dobbiamo fare un passo indietro.
Arcipelaghi, barriere coralline e foreste pluviali sono i cosiddetti hotspot di biodiversità. E tra l’inaccessibilità dei luoghi e la varietà di specie presenti, la nostra conoscenza della diversità biologica che abita questi luoghi rimane incompleta. Anche quando si tratta di animali ben visibili, rumorosi e facilmente avvistabili come i colorati uccelli tropicali.
Negli hotspot – come l’Amazzonia, appunto – ci si aspetterebbe alti tassi di speciazione, cioè di nascita di nuove specie. E invece, paradossalmente, i tassi di speciazione sarebbero più elevati nelle aree che i ricercatori chiamano “punti freddi”: luoghi considerati inospitali, come deserti e cime montuose, più vari dal punto di vista climatico e ambientale. Ma proprio qui le nuove specie troverebbero le opportunità e lo “spazio”, almeno ecologicamente, per evolversi. E poi – ma per ora è solo un’ipotesi – si sposterebbero verso climi miti e zone accoglienti, come la foresta pluviale. Secondo lo studio, quindi, gli hotspot come la foresta amazzonica sarebbero il frutto dell’arrivo graduale di nuove specie nel tempo, e non della loro comparsa in quel luogo. E infatti le nuove specie di Tyranni sarebbero nate probabilmente sulle vicine Ande, per poi “migrare” verso l’Amazzonia nel corso dell’evoluzione.
Questo paradosso è un concetto relativamente nuovo, suggerito da alcuni studi recenti che stanno confrontando le regioni tropicali con quelle temperate. E questa sembra la prima essere la prima conferma sperimentale ottenuta grazie alla ricostruzione di una filogenesi completa.
I ricercatori coinvolti nello studio provengono dall’America Latina, in particolare da Colombia, Brasile, Uruguay e Venezuela, e dal rinomato Museo di Scienze Naturali della Louisiana State University. Un mix di competenze, professioni e aree geografiche diverse che si è dimostrato utile non solo per ricostruire l’albero filogenetico dei Tyranni e portare alla luce questo paradosso evoluzionistico, ma anche per completare il lavoro in soli otto anni.
Studiare la biodiversità degli hotspot – in cui moltissime specie restano ancora da scoprire e catalogare in ciascun regno dei viventi – diventa sempre più urgente: le regioni tropicali che ospitano tale diversità sono soggette a una pressione e un declino sempre crescente per cause antropiche. Proprio in Amazzonia, intere aree della foresta pluviale, vengono bruciate ogni anno e rase al suolo per far spazio a pascoli e coltivi.
«Se vogliamo salvare l’Amazzonia e gli altri hotspot di biodiversità dobbiamo includere nelle misure di protezione anche regioni meno diversificate, ma che contribuiscono alla speciazione e quindi alla nascita nuove specie. Come la Puna andina: un altipiano freddo, costellato di montagne, vulcani e pianure di sale, spazzato dal vento» sottolineano gli autori.