Vi è un’antica disputa intorno al susseguirsi di eventi vicini nel tempo e forse concatenati, al prima e al dopo, alla eventuale causa e alla possibile conseguenza, spesso riassunta da una frase interrogativa in parte metaforica e in parte retorica (“è nato prima l’uovo o la gallina?”), usata fin dall’antichità sia in ambito culturale che nelle proprie conversazioni, rispetto alla quale anche varie discipline scientifiche e filosofiche hanno dato un contributo di conoscenza e di risposte. Contributo relativo, si sa, perché le concatenazioni deterministiche e le logiche binarie non sempre si conciliano bene con le dinamiche biologiche e sociali. Del resto, la domanda fu formulata come un paradosso: dalle uova in genere vengono fuori ed evolvono galline, che successivamente forse deporranno altre uova da cui forse evolveranno altre galline fertili. Uova e galline sono, per certi versi, presupposto e conseguenza le une delle altre, da immemorabile tempo all’indietro e forse all’infinito. Si dice così anche per considerare futile una discussione o impossibile un’alternativa.
In linea di massima, vengono prima i fattori abiotici dei fattori biotici, prima la materia inorganica dei sistemi viventi, prima il pianeta delle specie, il biotopo della biocenosi, il luogo della vita delle vite di specie nel luogo, l’habitat dell’ecosistema, l’uovo della gallina. Evoluzione non è solo biologia, a viverla o comprenderla servono altre scienze, nessuna autosufficiente, nemmeno la fisica. C’è una macro-evoluzione che precede la biodiversità sulla Terra e meccanismi macroevolutivi che sono un altro motore dell’evoluzione biologica e in larga parte la condizionano, anche dopo che sono emersi sistemi chimico auto-alimentati capaci di evoluzione darwiniana, dopo che è iniziata la replicazione e l’evoluzione della vita, dopo che si sono accesi altri vitali motori evolutivi (fra i quali le migrazioni).
L’uovo e la gallina sono, comunque, entrambi fattori biotici, fanno parte di uno stesso sistema vivente, della stessa specie e dello stesso ecosistema. Dopo il primo uovo di quello che ancora non era proprio un Gallus gallus non riescono a esistere l’uno senza l’altra. Non ogni uovo, non ogni gallina, ovviamente, in ogni vita entrano sempre caso e necessitànell’evoluzione, sia delle uova che delle galline, sia individuale che familiare, sia della comunità di riferimento che dell’intera specie, sia delle specie correlate che dell’intero ecosistema di riferimento. Non entrano in gioco solo il caso e la necessità, non solo meccanismi genetici e biologici, c’entra anche il migrare, il cambiare della comunità o dell’ecosistema di riferimento, meccanismi geomorfologici e climatici, per molte specie pure meccanismi sociali e relazionali. Non se ne tiene abbastanza conto.
“ È nato prima il peregrinare o il risiedere?
Prima la stanzialità o il migrare? Prima l’emigrazione o l’immigrazione? Vallo a sapere per i mammiferi! Il primo sostantivo non esiste senza il secondo. Vale certo per i milioni di anni delle tante specie umane via via in tutti i continenti. Poi per noi, simpatici sapiens ibridi e cosmopoliti, verso la fine del Paleolitico. Poi per noi, poveri sapiens, rimasti ovunque soli, a cavallo fra il Paleolitico e il Neolitico. Poi per noi sapiens decisamente meticci nei recenti millenni del Neolitico. Poi successivamente, ora nell’Antropocene, domani! Ragioniamo in termini di eterna stanzialità e tendiamo a dire (sbagliando) che prima degli allevatori-coltivatori sapienti gli umani cacciatori-raccoglitori erano tutti nomadi. Ragioniamo in termini di separabili emigrazioni e immigrazioni e tendiamo (sbagliando) a pensare di determinare o selezionare a piacimento le prime e a voler impedire o selezionare a piacimento le seconde. Non possiamo farcela.
La dimensione strutturale, permanente e ubiquitaria del fenomeno migratorio umano ha reso la mescolanza un nostro patrimonio genetico universale. Forse è il caso proprio di definirci specie meticcia. Non migratoria, non migrante, né stanziale né nomade (non tutti lo siamo stati e lo siamo): ognuno di noi, da millenni, porta il segno genetico e culturale dei gruppi e degli individui che hanno migrato. E la nostra evoluzione ha subito la pressione selettiva del migrare, ha preso una strada ibrida, promiscua e propria, perché, non solo in senso figurativo, i progenitori (anche di altre specie ominine) sono stati capaci di percorrere a piedi quasi l’intero mondo, di sopravvivere e riprodursi, trovare o scegliere nicchie (anche di temperatura) negli ecosistemi, socializzare e prolificare, tornare indietro e avanti più e più volte (anche se nessuno o qualcun altro c’era stato prima), collettivamente in ogni dimensione spaziale e in ogni ecosistema, scambiando geni e culture in modo più o meno forzato e diseguale.
Vengono via via aggiornate le ipotesi sulle date di separazione genetica fra gli emigranti africani (il continente dove siamo comunque tutti restati per più tempo) e gli immigrati più lontani degli altri continenti (non oltre 80.000 anni fa per Australia e Melanesia, meno di 65 per l’Europa) e certificati eventi di accoppiamenti interspecifici e ibridazione locali in alcune aree dell’Eurasia fra specie Homo finché non si sono estinte, oltre che di altre specie Homo con i sapiens (presenti significativamente nei nostri genomi). I continui flussi e scambi migratori interni alla nostra specie hanno ridotto le differenze fra tutti i gruppi e le popolazioni umane, anche dopo che l’evoluzione musicale, linguistica e culturale ci ha differenziato. Col il lento progressivo diffondersi del modo di produzione agricolo nell’Olocene (Neolitico) tutti questi processi hanno avuto una vistosa accelerazione, dal punto di vista della biologia degli ecosistemi sempre più segnata dalla selezione antropica “artificiale”, “migrabile” ovunque, con la sperimentazione dei propri autodefiniti confini (linee o curve autolimitanti e superabili), come anche in forma non demica, attraverso il meticciato culturale.
Le migrazioni forzate sono state associate a schiavitù e deportazioni, oltre che a fughe ed esodi di massa. Le migrazioni con qualche grado di libertà sono state conquiste civili di pochi, associate alla capacità di essere trasportati da vari mezzi su vari percorsi tracciati. Migranti e profughi (migranti forzati) sono esistiti fin dall’inizio, forse in proporzioni molto diverse, per decine di migliaia di anni molti di più i profughi (per il clima e i conflitti), sempre dovendo un poco ragionare sulla capacità di migrare (degli individui, dei gruppi, della specie) e con un parziale limitato (seppur crescente) grado di libertà effettiva. Ovviamente, in linea di principio, libertà umana ed eguaglianza umana sono divenute via via due facce della stessa medaglia, un nesso simile a identità-biodiversità umane: si è liberi perché eguali e si è eguali perché liberi, con diritti e doveri (umani, e riferiti pure al contesto umano, agli ecosistemi). Pur mancando un atlante storico globale dei fenomeni migratori, che tenga conto di diversità geografiche e stratificazioni umane, di differenze e disuguaglianze sociali, qualcosa sulla storia del migrare si è scritto.
Abbiamo più volte insistito sui caratteri diacronico e asimmetrico del migrare, ovvero del cambiare luogo di vita, che pure è parte stessa della vita e non è mai un fatto solo individuale, coinvolge prima e dopo anche chi non ha mai cambiato casa. Si tratta di un fenomeno comunque biologico, sociale, reciproco: ci si trasferisce in luoghi abitati (anche) da altri (e pure da altre specie). Riguarda cambi stabili di residenza sul pianeta ovunque si risiedeva prima e si risiederà dopo; sia chi parte o arriva, sia che vede partire o arrivare; asimmetricamente ogni Stato, società, territorio di residenza e ricollocazione. Ogni individuo e ogni specie cui è capitato di migrare ha modificato l’ecosistema di vita in cui si è verificata la partenza e ogni ecosistema di (successiva) vita in cui si è verificato il transito o l’arrivo, anche non definitivi per la restante vita. Ha viaggiato con altre specie al seguito, insieme o diacronicamente, ha alterato un sistema di relazioni negli ecosistemi abbandonati, trovati, acquisiti. Non c’era un accordo preventivo, né un facile equilibrio da trovare, prima e dopo, laddove si era e laddove si arrivò. Fra noi sapiens c’è per forza da trovare un accordo fra chi fugge e chi lo guarda, fra chi immigra e chi lo guarda, una reciproca informazione sulle regole di ogni realtà istituzionale e comunità sociale, questo è il senso dei Global Compact finalmente in vigore da fine 2018.
Dovremmo forse ascoltare o leggere con questo preventivo mite senso critico ogni frase su progetti di emigrazione che ci riguardano e ogni notizia su immigrazioni in corso in Italia. Solo poi discutere e agire, approfondire e reagire. Se qualcuno prepara invasioni o, anche non volendo, le sta mettendo in pratica, non va bene, certo. Tuttavia, non è così, non c’è alcuna invasione in atto, né di quantità né di qualità. Primo elemento: le uniche immigrazioni assolutamente da evitare sono quelle di chi è stato forzatamente costretto ad abbandonare il proprio luogo di residenza, se arriva dalle nostre parti assistiamolo sapendo che non voleva darci fastidio. Secondo elemento: altre immigrazioni di questi tempi occidentali (calo demografico, denatalità, abbandono aree interne, paure e rischi) vanno sempre valutate bene, perché forse si può trattare di emigrazioni non forzate da accettare con soddisfazione o addirittura da promuovere.
Qualche settimana fa ha suscitato un certo clamore il nuovo studio proveniente da uno dei centri di ricerca dove sta da tempo operando il recente premio Nobel per la Medicina e Fisiologia 2022 Svante Pääbo. 67enne genetista svedese. Il DNA di undici Neandertal vissuti forse fra 60 e 50 mila anni fa nelle grotte siberiane di Chagyrskaya e Okladnikov (Monti Altai, fra attuali Kazakistan Mongolia Cina, separate fra loro e distanti circa cento chilometri dalla grotta di Denisova, specie diversa) sembra aver segnalato che la maggior parte delle donne fertili migravano fra i diversi gruppi umani, mentre uomini e bambini erano abbastanza più stanziali, pure loro tuttavia in attesa delle migrazioni stagionali di alcune specie animali (bisonti e cavalli fra gli altri, di cui sono stati trovati resti nelle stesse grotte). Si sta continuando a studiare, dovremo tornarci su. Il terzo elemento riguarda allora intanto scienza e coscienza, su queste pagine avete trovato spesso dati, spunti, materiale e conforto per capire e sentire che la nostra identità è più forte quando è capace di guardarsi attorno e di confrontarsi. Speriamo se ne accorga anche chi scrive proposte e decreti, leggi e norme. In queste ore stiamo assistendo con sgomento a carichi residuali, sbarchi selettivi, blocchi illegali, respingimenti collettivi, discriminazioni incostituzionali, procedure mortificanti, morti per annegamento nelle nostre patrie acque e per ipotermia sui nostri patri suoli, altri naufragi e altre detenzioni. Pensiamoci bene.