SCIENZA E RICERCA

La pericolosa corsa verso il vaccino

È con sempre maggiore frequenza che Science, la rivista della più grande e autorevole società scientifica del mondo, l’American Association for the Advancement of Science (AAAS), propone con decisione ai suoi lettori – per la gran parte scienziati di tutto il mondo – il tema del vaccino contro il COVID-19. La fa anche con editoriali, esponendosi dunque ufficialmente. 

Venerdì scorso è stata la volta di Holden Thorp, Editor-in-Chief (il redattore capo) della rivista scientifica, a firmare un editoriale dal titolo A dangerous rush for vaccines dove denuncia le modalità pericolose con cui si sta svolgendo la ricerca sul vaccino anti-COVID. Il giornalista denuncia, in particolare, la fretta della politica di alcun leader nazionalisti che, nel tentativo di mettere il cappello sul prezioso presidio medico, sono disponibili a sconvolgere ogni regola (leggi prudenza) scientifica.

L’esempio primario è venuto da Vladimir Putin, presidente della Federazione russa. Ha annunciato la messa a punto e la somministrazione di un vaccino, chiamato non a caso Sputnik V, che forse serve a iniettare ferro nella sua immagine personale indebolita e nella Russia, ma che rappresenta per l’appunto un pericolo. Di quel vaccino, infatti, non si sa nulla. Non esiste una sola pubblicazione scientifica su una rivista peer-review che spieghi come lo si è ottenuto, quanto sia efficace e quanto sia sicuro. Allo stato, non è un vaccino affidabile. Non può e non deve essere preso in considerazione.

Ma Holden Thorp è preoccupato anche per quanto sta avvenendo negli Stati Uniti, con Donald Trump che vuole, costi quel che costi, un vaccino “made in USA” prima del 3 novembre, giorno delle elezioni presidenziali, dove lui si presenta come candidato oltre che come inquilino uscente della Casa Bianca.

Il "costi quel che costi" significa superare ogni vincolo che ne rallenti la messa a punto e una prima diffusione. E il vincolo principale è di tipo scientifico: si chiama “fase 3”. Significa, in pratica, che prima di essere autorizzato alla commercializzazione e alla somministrazione, il vaccino deve essere testato su un numero elevato di persone (almeno 30.000) confrontate con un numero altrettanto grande di persone a cui viene somministrato invece un placebo e vedere, nel tempo, quale ne sia la reale efficacia e la reale sicurezza.

Occorrono molti mesi per portare a termine la “fase 3”. Ma è un processo cui non si può derogare, se non in caso di estrema emergenza. L’unica eccezione nota negli Stati Uniti ha riguardato un vaccino contro l’antrace, nel 2001, quando si pensava che gli Stati Uniti fossero sotto attacco con armi batteriologiche. 

Superare la “fase 3” significa correre il rischio di vaccinare inutilmente e pericolosamente (potrebbero esserci dei danni collaterali infatti) decine di milioni di persone.

Holden Thorp paventa la possibilità che, pur di dare l’annuncio prima delle elezioni del 3 novembre, il presidente Trump sia disposto a saltare la “fase 3” di un eventuale candidato vaccino americano. Non è una minaccia campata in aria. Da molti anni, ormai, negli Stati Uniti c’è una corrente di pensiero che in nome del mercato chiede di valutare ex-post e non ex-ante l’efficacia e la sicurezza di un farmaco che ha superato le prime fasi della ricerca. Dunque, Trump non è solo.

Ma non siamo in Russia. Il presidente non può decidere da solo. O, almeno, deve vincere la resistenza della comunità scientifica, che tradizionalmente negli USA è classe di governo. Contro la eventuale scelta di Trump si è già schierato Anthony Fauci, il famoso immunologo che fa parte della task force di Trump contro il coronavirus SARS-CoV-2 che non si è mai tirato indietro quando si è trattato di contraddire il presidente. Ma non c’è solo Fauci. 

Il redattore capo di Science ricorda che Francis Collins, il direttore di quei National Institutes of Health che coordinano la ricerca medica federale, ha chiesto con molta enfasi che non si abdichi alla “fase 3”.  

Ancora più decisiva – forse – la posizione di Stephen Hahn, il direttore della Food & Drug Administration, l’agenzia federale che autorizza la commercializzazione di un farmaco. Ebbene, Stephen Hahn ha autorizzato l’uso controverso della idrossiclorochina, che voluta fortemente da Trump malgrado l’opposizione di Fauci, a detta di molti scienziati americani si è rivelato un autentico disastro. Hahn ha assicurato che nel caso del vaccino seguirà la scienza. Ma la domanda è: saprà resistere alle pressioni del suo presidente? Science pensa che possa farlo, se la comunità scientifica lo sosterrà con forza e chiarezza

La probabilità non è nulla anche perché nello stesso entourage di Trump ci sono persone che “seguono la scienza”: come Robert Redfield (direttore dei Centers for Disease Control and Prevention, l’organismo federale di controllo della sanità); Deborah Birx (che coordina la Task Force della casa Bianca contro COVID-19) e Brett Giroir (l’ammiraglio a quattro stelle nominato da Trump quale assistente segretario alla salute della sua amministrazione).

Sono queste tre persone che devono mettere tutte le loro chips sul tavolo in favore della “fase 3” per la sperimentazione del vaccino Holden Thorp

La scorsa settimana – e Il Bo Live ne ha dato conto – la stessa rivista Science aveva stigmatizzato il “nazionalismo dei vaccini”: ovvero la corsa di tutti contro tutti per questo presidio che dovrebbe salvare vite umane e non fare da ricostituente dell’immagine di paesi e/o di singoli leader. Qualche giorno dopo anche papa Francesco si è pronunciato contro il nazionalismo dei vaccini: sarebbe molto triste, ha detto, che una volta ottenuto esso vada a vantaggio dei più ricchi e non di tutti.

Non c’è dubbio: il tema vaccino anti COVID evocherà nelle prossime settimane (lo sta già facendo) due temi decisivi per la democrazia e per la vita stessa dei popoli: la giustizia sociale e l’autonomia della scienza

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