SOCIETÀ

I polmoni della Terra. Il progetto che racconta le storie di chi lotta per salvare le foreste pluviali

Basuki combatte il fuoco a mani nude. Privo di adeguati strumenti di protezione prova a spegnere le fiamme che periodicamente bruciano la foresta del parco nazionale di Tanjung Puting, nella parte dell'isola del Borneo, in Indonesia. E’ la stessa area che nel 2015 fu devastata da incendi che sembravano non avere mai fine e che trasformarono in cenere circa due milioni di ettari di foreste pluviali. E quando il fuoco concede una tregua, insieme al suo piccolo team della Friends of the National Parks Foundation, Basuki torna sulle aree bruciate per piantare alberi nuovi che diano una speranza per il futuro.

Anthony è un giovane belga che sin da bambino sognava di diventare un pilota. Quando il destino gli ha offerto un’opportunità non ci ha pensato due volte e ha lasciato la sua vita confortevole in Europa per trasferirsi nella Repubblica Democratica del Congo e guidare un piccolo aereo in voli di ricognizione che sorvegliano dall’alto il parco nazionale dei Virunga. Un’attività che consente di vedere se tra la vegetazione si aggirano persone armate e se qualcuno sta portando avanti azioni illegali, come il taglio del bosco per la produzione di carbone.

Se si chiede a Jacopo Ottaviani, giornalista e autore, insieme al collega Isacco Chief, del progetto I polmoni della Terra, quali storie lo abbiano maggiormente colpito durante l’esperienza che lo ha portato prima nelle foreste del Borneo e poi nell’Africa centrale non ha dubbi. “Il momento più emozionante è quando incontri un eroe moderno. Capita poche volte nella vita e a me è successo sia in Indonesia che in Congo”, spiega ripercorrendo l'incontro con Basuki e Anthony. “Sono persone che si dedicano completamente a una causa che riguarda tutti. Ogni volta che ripenso alle loro storie mi sento ispirato”.

Basuki e Anthony sono due ranger. Il loro compito, o forse è più appropriato dire la loro missione, è tutelare le foreste pluviali del mondo, costantemente minacciate dal taglio illegale, dagli incendi, dall’estrazione di risorse, dalla cementificazione. Il principale driver della deforestazione cambia di continente in continente ma non è così per l’esito finale che resta drammaticamente uguale. Dal 1990 al 2015 - approfondisce Ottaviani nei materiali che accompagnano il progetto e che sono stati pubblicati da diverse testate giornalistiche, come Internazionale, Al Jazeera ed El Pais - a livello globale sono andati persi 129 milioni di ettari di foreste e, ancora oggi, perdiamo dieci ettari in ogni minuto che scorre.

La deforestazione nel mondo, come abbiamo recentemente approfondito anche sulle pagine di questo giornale, viaggia a velocità diverse. A livello globale nell’ultimo quarto di secolo i ritmi di distruzione del bosco sono diminuiti, ma se in Cina e in Europa si sta addirittura assistendo a un’espansione delle superfici forestali, nella fascia tropicale ed equatoriale il fenomeno è opposto. I più recenti dati diffusi dalla rete di monitoraggio di Global Forest Watch, relativi al 2020, indicano infatti un avanzamento della deforestazione in quasi tutte le foreste pluviali del mondo: in Amazzonia, dopo alcuni anni in cui finalmente erano state avviate delle politiche di protezione, i tassi di distruzione delle risorse forestali hanno ricominciato a salire, anche in conseguenza dello smantellamento delle tutele ambientali messo in atto dal presidente brasiliano Bolsonaro mentre nel Paese l'attenzione era focalizzata sugli effetti devastanti della pandemia. Nell'ultimo decennio il bacino amazzonico brasiliano ha rilasciato più anidride carbonica di quanta abbia potuto assorbirne e in questo processo, oltre alla deforestazione, ha avuto un peso ancora più rilevante il degrado forestaledeterminato sia dall'attività umana che dal cambiamento climatico.

Critica è anche la situazione delle foreste pluviali dell'Africa centrale. Un recente studio pubblicato su Nature ha proposto una mappa del rischio, analizzando la loro risposta ai cambiamenti climatici e all'impatto antropico. Le foreste della Repubblica Democratica del Congo, che rappresentano più della metà delle foreste dell'Africa centrale, sono risultate resistenti alle variazioni climatiche ma pericolosamente soggette all’attività umana. Si tratta di un'area densamente popolata dove, secondo le stime delle Nazioni unite, l'espansione demografica continuerà ad essere particolarmente accentuata. 

Con Jacopo Ottaviani, che è anche chief data officer per Code for Africa, un progetto di giornalismo transnazionale basato sullo sviluppo di nuovi strumenti digitali per l'informazione, ci siamo soffermati proprio su questa area e in particolare sul parco nazionale dei Virunga, uno spazio di quasi 8 mila metri quadrati di superficie che racchiude una straordinaria ricchezza in termini di biodiversità: a nord le montagne del Rwenzori superano i 5 mila metri di altezza, la regione della savana centrale ospita ippopotami, leoni ed elefanti, mentre nella parte a sud hanno trovano rifugio i gorilla di montagna, una specie che ha rischiato fortemente l'estinzione e che non è ancora al sicuro. Sul parco, dichiarato patrimonio dell'umanità da parte dell'Unesco, incombono però molteplici minacce legate soprattutto alle attività di contrabbando e alle azioni criminali compiute da diversi gruppi armati.

"E' una zona ricchissima di minerali e quindi al centro di enormi tensioni", spiega Ottaviani che sottolinea poi il ruolo chiave del carbone. Vista la quasi totale assenza di elettricità è infatti la principale fonte di energia per la popolazione locale che dipende dal carbone per cucinare e bollire l'acqua prima di poterla bere, dato che spesso è contaminata. Ma, specifica Ottaviani "parlando con i ranger locali abbiamo capito che all’interno di questo commercio di carbone si infiltrano anche i gruppi ribelli che così accedono anche a una fonte di finanziamento per le proprie attività".

"Non è semplice vivere nel Nord Kivu e ci sono molti documentari che raccontano questa regione: uno che secondo me vale la pena vedere si intitola This is Congo ma consiglio anche Virunga e City of Joy. Quindi per chi volesse approfondire, oltre al documentario che abbiamo realizzato noi, ce ne sono anche altri che raccontano la situazione".

L'intervista completa a Jacopo Ottaviani, autore del progetto I polmoni della Terra. Servizio e montaggio di Barbara Paknazar

Il progetto "I polmoni della Terra"

"Lavoro su questo tema dal 2016, anno in cui insieme al collega Isacco Chief, iniziammo il progetto I polmoni della Terra insieme all’European Journalism Centre", introduce il giornalista Jacopo Ottaviani. "Al tempo decidemmo di trascorrere un mese nel Borneo e passare alcune settimane insieme ai ranger che lavorano nella foresta pluviale tra Malesia e Indonesia. Ne nacque un progetto giornalistico che è stato pubblicato in più lingue e che in Italia è uscito su Internazionale sotto forma di un web documentario che contiene quattro video, dedicati a questa regione del mondo".

"Quando parliamo di polmoni della Terra dovremmo parlare non solo di foreste ma anche di oceani. Però se ci focalizziamo sulle foreste le tre principali foreste pluviali del mondo sono localizzate nel sud-est asiatico, quindi il Borneo, in Brasile, Colombia e Perù con l’Amazzonia e nell’Africa centrale, prevalentemente nel Congo".

"Dopo il primo capitolo dedicato al sud-est asiatico io e Isacco, questa volta con il supporto del Pulitzer Center, all’inizio del 2020 siamo andati nella Repubblica Democratica del Congo e abbiamo trascorso del tempo nel parco nazionale dei Virunga. Anche in questa nuova esperienza, come era accaduto in Indonesia, abbiamo speso molto tempo con i ranger. Sono persone che combattono non solo con le fiamme, perché spesso la foresta viene distrutta per fare spazio a distese agricole di vario carattere, ma nel caso della Repubblica Democratica del Congo anche con gruppi ribelli che, per controllare zone strategiche dove proseguire l’estrazione di minerali preziosissimi, combattono con le autorità e con il parco nazionale dei Virunga che si trova in una zona ricchissima di minerali e quindi al centro di enormi tensioni", spiega Ottaviani.

Il parco nazionale dei Virunga 

In un paese sconvolto da una guerra civile endemica e da continui conflitti tra centinaia di fazioni ribelli rivali e dove oltre la metà dei circa 84 milioni di abitanti vive in condizioni di povertà estrema il Virunga National Park è impegnato in un difficile lavoro di conservazione a cui vengono affiancati progetti di sviluppo a sostegno delle comunità locali. Le persone che vivono entro una distanza dal parco che può essere percorsa in un giorno a piedi sono quattro milioni e l'obiettivo del parco è anche quello di trasformare economicamente la regione e creare opportunità di lavoro. 

"Nella provincia del Nord Kivu, l'area della Repubblica Democratica del Congo dove si trova anche il parco, mancano elettricità ed acqua corrente, ci sono pochi ospedali e la zona è flagellata da oltre 100 gruppi ribelli che infestano questa regione. Il parco cerca di fare la propria parte per diminuire un po’ la pressione in questa zona, tutelare l’ambiente e creare anche posti di lavoro e fonti di energia sostenibile. Per esempio è in fase di costruzione un impianto idroelettrico che dovrebbe fornire elettricità a decine di migliaia di persone che vivono nei dintorni. Questo è solo uno dei progetti in realizzazione, lo abbiamo visitato ed è un'energia più pulita rispetto al carbone", approfondisce Jacopo Ottaviani.

Il Virunga National Park è diretto dal 2008 dall'antropologo conservazionista Emmanuel de Merode. Erede di due casate nobiliari belghe, si è allontanato dalla sua discendenza reale per vivere in una piccola tenda insieme ad altri ranger nel quartier generale del parco, a circa 40 km a nord della città di Goma, sulle rive del lago Kivu. Nell'aprile del 2014 rimase gravemente ferito nel corso di un'imboscata condotta da uomini armati e in un'ampia intervista rilasciata tre anni dopo a Scott Ramsay e pubblicata su National Geographic ha approfondito tutte le sfide collegate alla gestione del più antico parco nazionale africano, inclusa la lotta contro le compagnie petrolifere e i loro ripetuti tentativi di portare avanti attività estrattive. "La parte più difficile del mio lavoro è dover seppellire gli uomini che mi sono stati affidati", ha dichiarato Emmanuel de Merode in questa intervista, riferendosi ai numerosi ranger che sono morti per tutelare il parco e la sicurezza di visitatori e popolazione locale.

Il Virunga National Park ha progressivamente ampliato il numero dei propri ranger e oggi sono circa 700, tra cui 26 donne. La selezione è impegnativa e nel corso del tempo si è puntato sempre di più anche sulla loro formazione che include, ad esempio, tattiche di combattimento, pronto soccorso e conoscenza del diritto civile e penale. Questo mestiere continua però ad essere molto pericoloso e negli ultimi 25 anni le vittime sono state oltre 200. Ed è stato proprio all'interno del parco dei Virunga che il 22 febbraio scorso ha perso la vita l'ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, Luca Attanasio, insieme al carabiniere della scorta, Vittorio Iacovacci, e all'autista del convoglio delle Nazioni Unite Mustapha Milambo.

"I ranger purtroppo sono spesso nelle cronache e chi segue il Virunga National Park può vedere, anche andando sul sito e sui social, che purtroppo regolarmente vengono annunciati nuovi morti tra i ranger a cui il Parco offre un lavoro. I ranger, che sono tra l’altro parte dell’Istituto congolese della difesa della natura e quindi in teoria sono parte del governo della Repubblica Democratica del Congo, si ritrovano al centro di tante sfide. Vengono attaccati dai gruppi ribelli e possiamo anche ricordare la tragedia che ha colpito il nostro ambasciatore Attanasio solo pochi mesi fa in una delle vie che è a ridosso del parco. Quando ci si muove nel parco, sia come turisti, sia come giornalisti, sia come visitatori o studiosi della natura, si cerca la massima sicurezza, protetti sia davanti che dietro da guardie armate che spesso sono proprio i ranger", spiega Ottaviani.

Il ruolo del carbone (makala) nella deforestazione del parco

Visto il limitato accesso all'elettricità l'abbattimento degli alberi all'interno del parco nazionale dei Virunga è finalizzato soprattutto alla produzione di carbone, makala nel linguaggio locale. Secondo le stime riportate dall'agenzia Agi l'attività di saccheggio delle foreste allo scopo di ottenere carbone di legna ha un valore annuo di circa 27,5 milioni di euro. Un approfondimento realizzato dalla rivista Africa segnala che il 97% dell'energia consumata a Goma dipende dal carbone e che il 56% della carbonella utilizzata in città proviene dal parco dei Virunga. Unico combustibile per una popolazione in continua crescita, il carbone è una fonte di reddito per le comunità locali che lo rivendono sul mercato. Ad essere coinvolte nel commercio del makala non sono però solo le persone che abitano nei dintorni del parco ma anche gruppi criminali che hanno così accesso a una redditizia fonte di finanziamento con cui sostengono le proprie attività illecite.

I gorilla di montagna

Oltre a tutelare la popolazione locale e i visitatori, i ranger che prestano attività per il Virunga National Park sono i custodi delle specie a rischio che abitano nella foresta. Tra loro ci sono i gorilla di montagna che, oltre alle pendici vulcaniche dei monti Virunga, vivono solo in un'altra area della Terra, sulle montagne dell'Uganda. 

"Fino a qualche anno fa la popolazione dei gorilla di montagna era in calo netto. Dal 2016 in poi si è assistito invece a un aumento di esemplari, proprio per effetto della protezione offerta dai parchi nazionali. Tra il 2019 e il 2020 è stata nuovamente raggiunta la soglia dei mille esemplari e questo fa ben sperare per la sopravvivenza di questi animali magnifici che tanto ci assomigliano", dice con una certa emozione Ottaviani. 

La parte del web documentario realizzato da Jacopo Ottaviani e Isacco Chiaf dedicata al Virunga National Park e pubblicata da Internazionale

Nel 2007, in un momento particolarmente convulso a causa dell'intensificarsi di bracconaggio e azioni criminali compiute da gruppi armati, il Virunga fu teatro del più drammatico massacro di gorilla della storia del parco. Sette esemplari adulti furono uccisi a colpi di fucile e alcuni cuccioli sopravvissuti all'attacco rimasero orfani, senza avere più la possibilità di essere nutriti. Per salvarli alcuni ranger fondarono il centro Senkwekwe, intitolato a un gorilla maschio ucciso in quell'attacco, dove sono ospitati i piccoli di gorilla rimasti senza genitori e gli esemplari che non hanno la possibilità di vivere autonomamente nel loro habitat naturale. Ad accudirli sono, in particolare, alcuni ranger del parco tra cui Patrick Sadiki Karabaranga che sul suo profilo Instagram pubblica periodicamente degli scatti che testimoniano il rapporto di profondo affetto instaurato con i gorilla orfani.

La deforestazione e le conseguenze sul clima

Come abbiamo accennato in precedenza nel corso degli ultimi 25 anni la perdita di ettari di foresta nella fascia tropicale del pianeta è stata immensa. Gli ultimi dati aprono un piccolo spiraglio che riguarda però soltanto l'area asiatica. "La diminuzione della superficie nella zona del Borneo sembra aver rallentato e secondo i più recenti dati del Global Forest Watch in questa area c’è un calo della deforestazione. Purtroppo questo non è accaduto in Congo e ancor meno in Brasile, dove le politiche recenti hanno nuovamente sdoganato le pratiche di deforestazione. Uno studio dell’università del Maryland traccia il futuro della foresta del Congo e ci dice che se non si inverte il trend al più presto, se la perdita va avanti alla velocità di questi anni, nel 2100 la foresta del bacino del Congo non esisterà più. E questo è un problema", spiega Jacopo Ottaviani. 

"C’è poi un’altra questione di cui non si parla spesso che è quella delle torbiere: si tratta della parte più superficiale del suolo delle foreste dove viene accumulato materiale organico in via di degradazione. Questo materiale racchiude tantissima CO2 e nel momento in cui si distrugge la foresta si intaccano anche le torbiere, causando il rilascio immediato nell’atmosfera di questa grande quantità di anidride carbonica che vi era immagazzinata. Ho semplificato molto la descrizione di questo processo ma esistono molti paper scientifici e sforzi di ricerca sull’impatto della deforestazione sul cambiamento climatico e sulla diffusione di questi gas serra", aggiunge Ottaviani.

"Mi viene in mente anche il lago Ciad che non è esattamente nella foresta del Congo ma è sempre nel continente africano. Si sta prosciugando, togliendo una fonte di pesca e quindi di alimentazione a tantissime comunità che vivono in quella zona. Questo ha un effetto anche sul terrorismo perché molte persone che vivono nella zona del Ciad, una volta che non hanno più opportunità di reddito con la pesca o l’agricoltura, sono incentivate ad entrare all’interno di gruppi terroristici, come Boko Haram. Il cambiamento climatico ha quindi un effetto a catena su tanti aspetti".

L'impatto della pandemia da Covid-19

Se la Repubblica democratica del Congo godesse di una maggiore stabilità il turismo potrebbe rappresentare una risorsa enorme. In quest'ottica il Virunga National Park ha lavorato molto intensamente per "fornire un solido livello di sicurezza ai visitatori attraverso una combinazione di formazione altamente professionale e molta esperienza all'interno della forza dei ranger" ha dichiarato il direttore de Merode al National Geographic, pur precisando che "dobbiamo essere chiari sul fatto che il Congo orientale non è una destinazione sicura".

Qualche anno fa il paese ha dovuto fronteggiare anche un nuovo scoppio di epidemia di ebola che nel 2019 ha provocato oltre 2000 morti. Nella regione del Kivu l'epidemia è stata dichiarata conclusa nel giugno del 2020 ma in seguito sono emersi focolai in altre aree del Paese. In quel periodo di crisi sanitaria i ranger avevano anche il compito di sorvegliare i punti di controllo permettendo così agli infermieri di testare i casi sospetti ed eventualmente di mettere in atto i protocolli adeguati.

Poco tempo dopo tutto il mondo è stato investito dalla pandemia da Covid-19 e sebbene in Africa il virus abbia colpito meno rispetto ad altri continenti le conseguenze economiche legate alle misure di contrasto alla diffusione del virus sono state devastanti. Jacopo Ottaviani e Isacco Chief erano nella Repubblica democratica del Congo proprio a febbraio del 2020 e all'inizio di marzo sono riusciti, non senza difficoltà, a rientrare in Italia, quando il nostro paese era l'epicentro dell'emergenza. 

"Per diversi mesi il parco è stato chiuso, adesso sta cercando di ripartire e invito tutti a seguire gli sviluppi sui loro canali social perché raccontano continuamente le sfide che affrontano, tra cui proprio l’impatto della pandemia da Covid. Le ripercussioni sono state molto forti dal punto di vista economico, soprattutto a causa della caduta del turismo, che era una delle principali fonti di sostentamento per il parco nazionale. In Africa non esiste un sistema di welfare come quello europeo, non ci sono fondi di sostegno o misure di stato sociale che possano rappresentare una rete di salvataggio verso chi rimane senza lavoro. I settori del turismo e della ristorazione sono stati colpiti pesantemente", conferma l'autore del progetto I polmoni della Terra.

Il futuro del progetto I polmoni della Terra

"Io e Isacco ci siamo sempre detti che avremmo voluto coprire tutte le principali foreste pluviali del mondo e quindi ci piacerebbe portare avanti il progetto anche in America latina. Attualmente però stiamo ancora lavorando ai materiali che abbiamo raccolto in Congo. Invito tutti a guardare sia i video usciti su Internazionale, sia quelli in altre lingue. Il web documentario completo è uscito su El Pais, è liberamente accessibile e riportiamo video, mappe, dati, visualizzazioni satellitari e testimonianze raccolte nel Virunga National Park. Per il futuro il tema è così importante che va bene continuare a svilupparlo nel corso degli anni. Quindi l’idea di andare avanti c’è".

 

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