SOCIETÀ

Populismo scientifico: lo strano caso dell’idrossiclorochina

Il ritorno alla normalità si annuncia lento e non privo di ostacoli. Durante la fase 2 lo Stato dovrà monitorare, con tamponi, tracciamento dei contatti e test sierologici, che l’indice di riproduzione del virus, R, non oltrepassi il valore critico di 1. Al contempo dovranno proseguire le sperimentazioni sui farmaci più adeguati al trattamento di CoVid-19, una patologia rivelatasi più complessa di una semplice sindrome respiratoria. Oltre alle difficoltà di carattere medico-scientifico, in qualche misura prevedibili, se ne aggiungono alcune di natura sociologica e psicologica, meno attese, ma che contribuiscono a complicare la ricerca di soluzioni terapeutiche.

In diversi Paesi di tutto il mondo sempre più pazienti colpiti da CoVid-19 nel mese di aprile hanno richiesto esplicitamente di essere curati con idrossiclorochina (Hcq) o clorochina (Cq), due farmaci chimicamente analoghi con azione anti-infiammatoria, che solitamente vengono impiegati contro la malaria e altre condizioni autoimmuni, come il lupus e l’artrite reumatoide.

Questo eccesso di domanda di idrossiclorochina ha impedito ai medici di somministrare altri farmaci per cui sono in corso valutazioni tramite trial clinici. Di conseguenza si sono incontrate più difficoltà del previsto nell’accumulare dati sufficienti a costruire studi scientificamente rigorosi. Dalle pagine di Nature il medico sud coreano Sung-Han Kim ha commentato che il rallentamento degli studi clinici su altri farmaci può costare numerose vite, mentre Lauren Sauer, ricercatrice della Johns Hopkins University di Baltimora, per gli stessi motivi ha riscontrato difficoltà nel trovare adesioni alla sperimentazione del remdesivir, un farmaco antivirale già utilizzato contro Ebola e Sars e su cui si è espresso positivamente anche Anthony Fauci.

In Messico le scorte di Hcq sono rapidamente esaurite e molti ospedali in Iran, negli Stati Uniti, in Cina e in Spagna continuano ad adottarla come terapia contro il CoVid-19, sebbene le indicazioni dell’Oms ne raccomandino l’utilizzo nei soli trial clinici.

Anche in Italia è stata denunciata una corsa all’accaparramento di farmaci a base di idrossiclorochina: “Comprendiamo il panico che il Coronavirus ha scatenato nella popolazione” ha dichiarato Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio Malattie Rare. "Ma questo non può giustificare comportamenti irresponsabili: acquistare idrossiclorochina 'in via preventiva’, per tenerlo a casa in caso di una eventuale necessità, significa togliere una terapia fondamentale a chi ne ha, invece, sicuro e immediato bisogno. Questo farmaco si può prendere solo su prescrizione: per ogni prescrizione non necessaria c’è una persona affetta da artrite reumatoide, sindrome di Sjogren o Lupus che rischia di dover interrompere le terapie, è importante che i medici dicano ‘no’ alle ricette ‘facili’, anche di fronte alle richieste insistenti di persone comprensibilmente spaventate”. Anche per questo il ministero della Salute a inizio aprile aveva incaricato lo stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze di produrre nuove partite di idrossiclorochina.

Le evidenze a disposizione

L’idrossiclorochina è inserita tra i farmaci in via di sperimentazione del programma dell’Organizzazione mondiale della sanità Solidarity I, cui partecipa anche l’Italia.

La scheda dedicata all’Hcq dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) riporta che in letteratura non ci sono studi che stabiliscano in via definitiva l’efficacia o l’inefficacia del farmaco, che è “entrato nella pratica clinica sulla base di evidenze incomplete”. Sulla base di queste premesse l’Aifa riporta che “l’uso terapeutico dell’idrossiclorochina può essere considerato sia nei pazienti COVID-19 di minore gravità gestiti a domicilio sia nei pazienti ospedalizzati”. Uno studio cinese non ancora sottoposto a revisione scientifica e pubblicato a maggio in pre-print su MedRxiv riporta invece che l’Hcq smorzerebbe il decorso della malattia nei casi gravi di CoVid-19. Ma una rondine non fa primavera. Ad oggi non esistono solide evidenze per ritenere l’idrossiclorochina la cura definitiva. Non solo: alcuni studi ne hanno già registrato preoccupanti effetti collaterali.

A inizio aprile una sperimentazione del farmaco in Brasile, dove pure è previsto il trattamento di pazienti CoVid-19 con idrossiclorochina, è stata interrotta proprio dopo aver scoperto che una dose eccessiva faceva sviluppare aritmie cardiache potenzialmente fatali.

La Food and Drug Adminisration statunitense il 24 aprile scorso ha rilasciato un comunicato in cui esprimeva preoccupazione per l’uso inappropriato di idrossiclorochina e clorochina al di fuori degli ospedali e sottolineava che “queste medicine hanno un numero di effetti collaterali che includono seri problemi cardiaci che possono mettere a rischio la vita del paziente”. L’Agenzia europea per i medicinali (Ema) ha ravvisato gli stessi rischi cardiaci.

Trump, Macron e Didier Raoult

Come spiegare allora l’entusiasmo terapeutico suscitato dall’idrossclorochina in una fetta rilevante della popolazione mondiale? Nella politicizzazione del dibattito potrebbe risiedere la risposta.

Nonostante il quadro di incertezza, il farmaco antimalarico ha trovato infatti alcuni testimonial di eccellenza. Tra questi il presidente francese Emmanuel Macron. Un sondaggio del 6 aprile riportato da Science rilevava che quasi il 60% della popolazione francese riteneva la clorochina una cura efficace contro il coronavirus. La fiducia nel farmaco era alta tra gli estremisti, di destra e di sinistra, raggiungendo l’80% tra i gillet gialli che duramente avevano contestato la politica economica di Macron negli ultimi 2 anni. Un sorprendente 75% si raggiungeva nella sola area di Marsiglia. Proprio qui si è personalmente recato il 9 aprile il presidente Macron per incontrare colui da cui è partito tutto, dopo che una petizione online per la distribuzione dell’idrossiclorochina aveva raggiunto quasi 500.000 firme e un’ampia diffusione sui social network.

Didier Raoult, medico microbiologo, dirige l’unità di ricerca di malattie infettive e malattie tropicali emergenti dell’ospedale di Marsiglia ed è il vero guru della terapia a base di idrossiclorochina. Da mesi Raoult sostiene che la combinazione di Hcq e azitromicina, un antibiotico, sia la cura risolutiva per il CoVid-19. In Italia l’Aifa in particolare sconsiglia l’utilizzo di Hcq o Cq in associazione con l’azitromicina al di fuori dei soli studi clinici. Le tesi di Raoult però non solo hanno convinto Macron a sostenerne la sperimentazione nazionale, hanno anche attraversato gli oceani e persuaso alcuni leader mondiali.

Molto prima di consigliare l’ingestione o l’iniezione di disinfettanti, Donald Trump a inizio aprile aveva pubblicamente difeso l’idrossiclorochina con l’entusiasmo di un agente immobiliare, riporta il New York Times, ignorando gli inviti alla cautela provenienti dal suo consigliere scientifico Anthony Fauci. Accanto a Trump a difendere a spada tratta l’idrossiclorochina si era schierato anche il presidente brasiliano Jair Bolsonaro.

Il medico di Marsiglia nel 2010 è stato insignito con un importante riconoscimento scientifico in Francia, l’Inserm Gran Prix, per i suoi contributi alla fisiologia. Raoult però è anche stato ampiamente criticato per i suoi metodi controversi, che non rispettano gli standard tipici degli studi clinici. In risposta Raoult ha sostenuto che l’etica del medico verrebbe prima dell’etica del ricercatore: in altri termini, il dovere primario del medico è fornire una terapia al paziente, anche a scapito del rigore del metodo scientifico con cui quella terapia viene individuata. Secondo quanto riportato da Raoult su lequotidiendumedicine.fr, lo studio randomizzato è una moda scientifica tra le altre: l'osservazione aneddotica è quello su cui si è sempre basato per sviluppare i suoi trattamenti.

Ad oggi sono in corso più di 100 trial clinici diversi che mirano a stabilire l’efficacia dell’idrossiclorochina contro CoVid-19. C’è da chiedersi però quanto questi sforzi derivino da valide ipotesi e quanto invece siano stati sospinti da un’ondata di inedito populismo. La questione si sarebbe potuta risolvere sin dal principio, con uno studio rigoroso, riporta su Nature l’infettivologo Ole Søgaard dell’ospedale universitario di Aarhus in Danimarca.

Ad oggi non disponiamo degli elementi per dire se l’idrossiclorochina sarà una cura efficace contro il CoVid-19, ma neanche possiamo escluderlo con certezza: tanto meglio se si rivelerà utile a evitare decessi. Il punto è che oggi, e ancor meno un mese fa, non esisteva un consenso scientifico che convincesse i governi a scommettere su questo farmaco. C’era invece spazio per rincorrere un consenso politico.

Da un giorno all’altro la politica si è trovata a governare un’emergenza senza precedenti che richiede risposte rapide anche quando le evidenze disponibili non sono sufficienti a indicare quale sia la strada giusta da seguire. In questo clima di incertezza la popolazione e la politica insieme si sono rivolte alla scienza come forse mai avevano fatto in tempi di pace. Da questo rinnovato dialogo può nascere una collaborazione che meriterebbe di sopravvivere alla pandemia da coronavirus. Allo stesso tempo però, proprio per la mancanza di appigli sicuri, il rischio di incappare in errori madornali è dietro l’angolo. E certi comportamenti possono aumentare la probabilità di cadere in fallo.

Se la politica infatti si rivolge agli esperti non per gestire di concerto un problema sociale ma per risolvere un problema politico, svilisce e delegittima il ruolo della scienza. Se in più l’esperto che viene interpellato non si riconosce nelle regole del gioco scientifico, propugna tesi non sostenute da evidenze, antepone la propria personalità al ruolo che dovrebbe onestamente ricoprire e sfrutta le paure della gente per guadagnare visibilità, monta la tempesta perfetta e prende vita una nuova forma di populismo scientifico, che a propria volta diventa facile preda delle false promesse del populismo politico.

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