SOCIETÀ

Di qui al 2100 migreranno almeno tre miliardi di sapiens, uno più uno meno

Siamo sicuri che la maggior parte dei sapiens che si sono trovati a migrare negli ultimi diecimila anni non avrebbero probabilmente preferito restare dov’erano, piuttosto che mettersi in viaggio e trasferirsi? Tutti insieme sono comunque una (pur cospicua) minoranza rispetto a quelli che hanno preferito non migrare lontano, riuscendo in vario modo a evitare spostamenti definitivi sempre nella propria vita o limitando lo spostamento a un cambiamento di residenza senza salti di ecosistema, di lingua e di alimentazione, per esempio. Studi e previsioni scientifiche e geopolitiche descrivono uno scenario abbastanza diverso, già in corso e accentuato nei prossimi decenni, almeno fino alla fine del secolo: qualcuno dovrà consigliare, proporre e comunque gestire la ricollocazione di svariati miliardi di donne e uomini, famiglie e comunità, con un fenomeno che coinvolgerà ciascuno di noi, in tutti gli attuali luoghi di vita del Pianeta Terra.

Abbiamo già valutato il fenomeno migratorio vegetale e animale: si tratta di complesso evolutivo di azioni, più o meno coordinate, più o meno solo individuali, che compiono gli esseri viventi certamente da centinaia di milioni di anni (e forse da miliardi se verrà approfondita la questione in relazione alle specie vegetali); risulta una delle principali risposte alle sfide ecologiche e alle pressioni selettive, che diventa a sua volta sfida e pressione negli ecosistemi ed esiste una differenza comportamentale primordiale tra il fuggire da pericoli più o meno incombenti e lo spostarsi altrove per (anche meglio) sopravvivere e riprodursi. Ciò comporta una realizzazione asimmetrica e diacronica delle azioni per il cambio di luogo di vita.

Il fenomeno migratorio è connesso alla parallela intricata insorgenza della capacità di migrare, che evolve eventualmente in modo diverso per ogni specie animale, sul piano anatomico, psicologico, biologico e sociale; poco più di centomila anni fa comparvero coi sapiens gruppi culturali confinanti ma differenti e una nuova modalità di foraggiamento collettivo da un luogo centrale con obiettivi collettivi riguardanti la collocazione di una casa base e la destinazione di uno spostamento di gruppo; le migrazioni e alcuni tipi di nicchie e di confini (pure biologici) esistevano comunque molto prima della lenta contraddittoria conflittuale svolta stanziale agricola dei sapiens

Nel lungo periodo delle migrazioni umane del Paleolitico e di quelle sapienti prima del Neolitico si tende spesso a considerare sempre “nomade” la vita dei raccoglitori cacciatori; poi vi sarebbe la progressiva novità della stanzialità, con una presenza sempre più decrescente di residui di nomadismo (in termini quantitativi assoluti relativi alla sola popolazione non stanziale e molto anche in termini percentuali rispetto alla popolazione umana). Oggi un approfondito bel testo suggerisce che il nostro futuro dovrà essere molto più nomade che negli ultimi dieci mila anni. Certamente stiamo vivendo e vivremo in un secolo di migrazioni di massa: Gaia Vince, Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico, traduzione di Giuliana Olivero, Bollati Boringhieri Milano, 2023 (orig. 2022). Nel Sud del mondo e in molte zone costiere, i cambiamenti climatici estremi stanno spingendo e spingeranno un gran numero di sapiens ad abbandonare le proprie case, a trasferirsi per sopravvivere, con vaste regioni che diventeranno inabitabili.

La previsione realistica è che alla fine saranno complessivamente circa 3,5 miliardi i migranti. L’Organizzazione internazionale per le migrazioni delle Nazioni Unite (IOM) stima che già nei prossimi trent’anni potrebbero esserci fino a 1,5 miliardi solo di profughi o migranti climatici. Tutti noi, o saremo tra di loro o tra coloro che li dovranno accogliere. In larga parte del Nord del pianeta, dove il clima è da millenni più confortevole, le economie faticheranno a sopravvivere ai cambiamenti demografici, con una forte carenza di forza lavoro e una popolazione anziana impoverita. Questa migrazione imponente e diversificata è già iniziata, non pianificata e male organizzata: gli spostamenti dovuti al clima si aggiungono alla massiccia migrazione in atto, in tutto il mondo, verso le città.

Il nostro sarà il secolo di un movimento umano senza precedenti, almeno per entità assoluta degli umani coinvolti e per distanze complessivamente percorse da tanti nel corso di una sola esistenza. Non è una sfida che si possa affrontare a livello individuale: rischiamo crescenti miseria, guerre, morti. Mentre ripristiniamo l’abitabilità del pianeta, dobbiamo pensare adesso a dove poter rilocalizzare in modo sostenibile questi miliardi di persone, il che richiede un’azione concertata di diplomazia internazionale, negoziati sui confini e adattamento delle città esistenti. Forse è venuto il momento di maturare una certa mentalità geopolitica e superare l’idea che apparteniamo a un particolare territorio e che esso ci appartenga e ci identifichi. D’altra parte, sono le ingenti migrazioni antiche che ci hanno reso ciò che siamo, ovvero scimmie sociali e tecnologiche, ci siamo evoluti cooperando e migrando.

La chimica (non a caso) bravissima giornalista scientifica Gaia Vince (1973) ha la doppia cittadinanza, inglese e australiana. Il suo terzo libro andrebbe letto urgentemente dagli studiosi di varie discipline, dai conoscenti di migranti del passato e dai paurosi degli immigrati contemporanei, e discusso bene, accettando di trarne conseguenze istituzionali e pratiche, come tutto ciò che dimostra un futuro di sconvolgimenti epocali, qui relativi alla qualità inevitabile e alla quantità enorme del fenomeno migratorio nel XXI secolo (da cui il titolo). Non sono del tutto appagato rispetto all’uso dell’aggettivo nomade per indicare l’impetuosa novità, ma il significato e la sostanza sono chiari, motivati e dirimenti. Li dice così, lei figlia e nipote di rifugiati e migranti, che possiede una formazione scientifica, è vissuta in tre continenti, ha viaggiato spesso e molto: “la migrazione non è il problema, è la soluzione”.

Le migrazioni sono inevitabili, spesso necessarie, e dovrebbero essere agevolate, un ponte indispensabile fra culture sapiens e un’opportunità per ristabilire un po’ di giustizia sociale (proprio questo fa paura ai governanti nazionalisti e ai ricchi sovranazionali, in realtà). Le persone migreranno comunque a decine di milioni, abbiamo la possibilità di una transizione pianificata, organizzata e pacifica verso un mondo complessivamente meglio abitabile. Deve esserci un percorso dignitoso e sicuro per tutti coloro che he hanno bisogno e il bisogno non nasce solo dal rischio di persecuzioni politiche e religiose, la minaccia è pure climatica ed esistenziale, drammaticamente. Vince è una delle poche scienziate che cita opportunamente più volte i Global Compact in vigore, approvati dall’Onu a fine 2018.

Nel primo capitolo (“la tempesta”) ricostruisce sinteticamente i frequenti cambiamenti climatici negli ultimi milioni di anni, sottolineando che la quantità di biossido di carbonio presente oggi nell’atmosfera terrestre “è già superiore almeno a quella degli ultimi tre milioni di anni” e rapidamente “sta riscaldando il pianeta più di quanto gli esseri umani abbiano mai sperimentato nel corso della loro intera storia evolutiva”. Le ingenti crescenti emissioni derivanti dalla combustione di materiali fossili sono le nostre. Nonostante alcuni segnali incoraggianti (episodici e localizzati) di moderazione e adattamento, “le nostre emissioni di gas serra continuano a crescere, le temperature sono in aumento, lo scioglimento dei ghiacciai sta accelerando, il cambiamento climatico sta peggiorando” e i connessi eventi estremi inevitabilmente sconvolgeranno la vita dei sapiens: ondate di caldo, inondazioni improvvise, violenti uragani, incendi devastanti.

Seguono una decina di approfonditi lindi capitoli sugli eventi estremi (“i quattro cavalieri dell’Antropocene”), sulla migrazione delle cose connessa soprattutto alla nostra specie, sulle primordiali e complicate strategie migratorie, sulla ricchezza diffusa dai migranti, sull’idea (da mantenere) di nazione, sui rifugiati climatici del futuro, sulle città dell’epoca contemporanea, sulle nuove città resilienti, sulle abitudini alimentari, su acqua ed energia, sulla rigenerazione degli ecosistemi, sempre guardando con competenza e rigore ai prossimi decenni nei vari scenari, aggiornati alle conoscenze di fine 2021. L’intera seconda parte del volume contiene spunti e proposte di merito. Ottimi anche gli apparati: le note, la bibliografia essenziale, utili figure e grafici utilizzati, il vasto indice dei nomi e dei luoghi. Cita mestamente Salvini, a pag. 89; per qualche aspetto positivo la Spagna, a pag. 171. Prendiamo atto della realtà, prima possibile!

“Le migrazioni hanno diversificato i nostri geni e la nostra cultura”, ricorda Vince, ci hanno reso meticci. In particolare, “durante l’Età della Pietra e del Bronzo ci sono state tre principali migrazioni di massa che hanno alterato drasticamente il patrimonio genetico di tutti gli europei, soprattutto perché hanno avuto luogo in periodi di bassa intensità di popolazione”: la prima, avvenuta circa diciottomila anni fa, di cacciatori-raccoglitori; la seconda, circa ottomila, verso nord dall’Anatolia di agricoltori; la terza, avvenuta solo cinquemila anni fa, di pastori nomadi delle steppe eurasiatiche verso le terre coltivate. Quest’ultima è quella del popolo Yamnaya, guerrieri dalla pelle chiara e dagli occhi scuri (con grande diffuso impatto genetico), i primi ad addomesticare i cavalli, portando con sé anche la loro lingua indoeuropea oltre alle rotte commerciali lungo una primordiale Via della Seta (qui se ne è già narrato).

“L’agricoltura è stata l’invenzione che ha trasformato gli umani da migratori a stanziali”, ribadisce Vince, ci ha reso tutti immigrati e, talora in parte, emigranti. Nello specifico, “la migrazione mondiale degli alimenti prodotti dall’agricoltura moderna ha permesso alla stragrande maggioranza di noi di insediarsi nelle stesse piccole aree”, occupate così poi per centinaia di generazioni. Non un certo giorno. Avevamo già maturato prima la capacità di migrare: “la sedentarietà e l’agricoltura si sono evolute a partire dal nostro successo come specie migratoria”. Si è trattato, inoltre, di un processoconvulso (sporadiche esperienze stanziali nel Paleolitico, diacroniche e indipendenti “invenzioni” di coltivazioni e allevamenti nel Neolitico), lento e contraddittorio (non subito vantaggioso, per tanti e per la specie), conflittuale (per millenni fra popoli nomadi, fra stanziali in espansione, fra nomadi e stanziali, fra comunità di stanziali), articolato (condizionato enormemente da clima e biodiversità), aperto (cambiamenti climatici e migrazioni animali hanno continuato a farci migrare, ci hanno fatto divenire gruppi scientificamente nomadi e civiltà sapientemente stanziali).

“Le migrazioni hanno contribuito a diffondere in tutta l’umanità modificazioni genetiche vantaggiose, spesso mescolandole e ricombinandole in nuove varianti”, illustra meticolosamente Vince. Ecco che, citando una gran messe di saggi e studiosi: “tutti noi possiamo rivendicare la nostra ascendenza in tutto il mondo”, “anche se noi non migriamo, i nostri antenati lo facevano, e per il funzionamento del mondo moderno dipendiamo totalmente dalle migrazioni di altre persone e risorse”, “i legami che ci ancorano a un particolare luogo… si basano su una circostanza arbitraria, di solito il punto del pianeta in cui si trovava nostra madre al momento della nostra nascita”, “la variazione genetica all’interno delle popolazioni è grande almeno quanto quella esistente fra le popolazioni”, “le popolazioni presentano un’eredità di caratteri misti così diffusa che i pregiudizi tribali fra chi appartiene o non appartiene al gruppo non saranno più possibili sulla base di distinzioni visibili” e “la grande migrazione climatica potrebbe accelerare questo processo nel giro di poche generazioni”. Le nostre, le attuali e le prossime: “abbiamo bisogno di una migrazione legale, sicura, pianificata e facilitata”! Poi, certo, dipenderebbe da chi ci governa capirlo e concordarla e perlopiù sembrano non avere molta intenzione.

Ci piaccia o meno, volenti (una esigua minoranza dei migranti, con qualche grado di libertà) o nolenti (quei profughi in fuga forzata e una parte della grande ampia maggioranza di stanziali), nei prossimi decenni vari miliardi di sapiens migreranno. La ragione principale fa attribuita ad alcuni effetti dei cambiamenti climatici antropici globali: singoli drammatici eventi climatici e geomorfologici episodici e ubiquitari (seppur concentrati in alcune aree già individuate), accanto a quelli più lenti, irreversibili e già localizzabili come l’innalzamento del mare, la desertificazione e lo stress idrico. Il volume di Vince è aggiornato, una lista scioccante di fatti e cifre. Non sono esagerazioni e la crescita degli inevitabili flussi migratori sarà esponenziale nei prossimi decenni. Aggiungo che gli ultimi mesi confermano il quadro da lei descritto.

Decine di migliaia di internally displaced people causa inondazioni a maggio 2023 in Romagna (ancora piangiamo lutti e danni), centinaia di migliaia sempre causa inondazioni negli ultimi mesi nei tre paesi del Corno d’Africa (siccità e conflitti costringono 32 milioni di donne e uomini a dipendere dagli aiuti umanitari, ha segnalato la Conferenza dei donatori il 23 maggio scorso), in Congo, Sierra Leone, Sudafrica, Madagascar, nel continente che abbiamo a sud; in Brasile, Bolivia, Colombia nel continente che abbiamo a sud ovest; in Turchia, Pakistan, Bangladesh nel continente che abbiamo a sud est; per segnalare solo i casi eclatanti. È il sud del mondo che sta peggio, anche se quei paesi hanno emesso pochi e comunque meno gas serra rispetto a quelli del nord (si vedano i dati del Climate Inequality Report 2023).

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