CULTURA

E Renoir scoprì l’Italia

Se l’impressionismo nasce come rottura con l’accademia, cosa avrà mai a che fare con una visione classica dell’arte? Eppure gli elementi di contatto ci sono, a partire da uno dei massimi esponenti del movimento francese: Pierre-Auguste Renoir (1841-1919), che nella maturità si avvicinerà ai grandi maestri del passato e a un ideale di misura e di equilibrio, sia nei soggetti ritratti che nello stile. Una conversione esemplificata ne La bagnante bionda oggi alla Pinacoteca Agnelli di Torino, in cui la bella ventiduenne Aline Charigot, futura moglie del pittore, è ritratta nelle sembianze di una Venere lievemente nordica appena uscita dal mare.

Le linee sono più nette, l’incarnato è pastoso e solido, tutto sa di luce e di nuova ispirazione. Non a caso l’immagine è stata scelta come copertina della mostra appena aperta a Palazzo Roverella, curata da Paolo Bolpagni e promossa dalla Fondazione Cariparo con il Comune di Rovigo e l’Accademia dei Concordi. Renoir. L’alba di un nuovo classicismo, aperta fino al 25 giugno, porta nel capoluogo polesano 47 opere provenienti da collezioni e musei di otto Paesi europei tra dipinti (una ventina), disegni, bozzetti, incisioni e sculture; queste inoltre, appartenenti in maggioranza alla fase successiva a quella più strettamente impressionista, vengono fatte dialogare sia con i capolavori dei grandi del passato come Vittore Carpaccio, Tiziano, Romanino, Pieter Paul Rubens e Giambattista Tiepolo, sia con altri artisti italiani contemporanei o successivi come Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Medardo Rosso, Giorgio de Chirico, Carlo Carrà, Filippo de Pisis e tanti altri, per un totale di altri 83 capolavori, ai quali si aggiunge anche l’edizione storica della traduzione francese del Libro dell’Arte di Cennino Cennini, del quale Renoir scrisse la prefazione (suo unico testo pubblicato in vita).

Il punto di svolta tra la fase “impressionista” e quella “classica” è il viaggio in Italia intrapreso nel 1881, quando Renoir è al culmine del successo ma è allo stesso tempo tormentato dall’insoddisfazione e dal bisogno di trovare vie nuove. Il tour inizia a Venezia, dove a colpirlo sono soprattutto Carpaccio e Tiepolo (mentre ha già conosciuto Tiziano e Veronese al Louvre), e prosegue a Padova, Firenze e soprattutto Roma, dove l’autore rimane profondamente colpito dalla lezione di Raffaello più che dalle figure “troppo muscolose” di Michelangelo. È poi la volta di Pompei, dove scopre le pitture parietali e i capolavori del museo archeologico, infine visita la Calabria e la Sicilia, dove ritrae Richard Wagner in un incontro dalla leggendaria freddezza (il compositore è in quel momento il simbolo di una Germania tronfia ed egemone, e forse per questo il francesissimo pittore trova noiosa la sua musica).

La sofferenza passa, la bellezza resta Pierre-Auguste Renoir

Il viaggio compiuto nella Penisola è essenziale per l’evoluzione dell’artista, che da allora più che sugli sprazzi di vita parigina si concentra su nature morte, ritratti e nudi: è rimasta proverbiale la sua sensibilità per la bellezza femminile, rappresentata nelle forme giunoniche, rubensiane delle sue baigneuses. Una stagione che fino ad adesso era percepita come secondaria e meno creativa rispetto alla giovinezza e che viene invece rivalutata nella lettura datane da Paolo Bolpagni: “Nella maturità Renoir si dedica alla celebrazione della bellezza, che aiuta e dà conforto – spiega il curatore della mostra –. Anche negli ultimi anni di vita, mentre è affetto dall’artrite deformante e per dipingere si fa incastrare i pennelli tra le dita rattrappite o addirittura li fa legare ai polsi, la pittura di Renoir si fa sempre più aggraziata, evitando di incupirsi persino nel 1914, quando dopo lo scoppio della guerra entrambi i figli sono feriti al fronte e inoltre la moglie muore improvvisamente”.

“La sofferenza passa, la bellezza resta”, confiderà lo stesso Pierre-Auguste ad Henri Matisse: fa parte di questa nuova visione, rasserenata ma non meno creativa, la rivalutazione della tradizione come entità viva e pulsante, a patto che ci si sforzi di ricrearla piuttosto che di imitarla. Una “moderna classicità”, al passo con una sensibilità nuova, che trova in Italia molti estimatori soprattutto negli anni Dieci, Venti e Trenta del Novecento, quando in reazione alle avanguardie si rafforza una tendenza al “ritorno all’ordine”, come evidenziato dai confronti, nelle sale di Palazzo Roverella, tra i lavori di dell’artista francese e le sculture di Marino Marini, Antonietta Raphaël e Arturo Martini, oltre che con i dipinti di Carlo Carrà, Giorgio de Chirico, Filippo de Pisis e diversi altri. Un Renoir che quindi, influenzato dalla grande arte del Rinascimento e del Manierismo, influenza a sua volta – in un continuo gioco di rinvii e di rimandi – i successivi autori italiani.

Forse adesso incomincio a capire qualcosa di pittura Le ultime parole di Renoir, confidate al figlio Jean

Degno approdo di un percorso espositivo che, pur non rinnegando intenti anche divulgativi, ha l’ambizione di cercare e di aprire nuove vie critiche e interpretative. E che si chiude con il commosso omaggio di Jean Renoir, secondo figlio di Pierre-Auguste e tra i più grandi registi della storia, che in un film del 1936 (il raro Una gita in campagna, restaurato e sottotitolato in italiano) ricrea nelle eleganti inquadrature le scene e soprattutto le atmosfere dei dipinti paterni.


RENOIR
L’alba di un nuovo classicismo

Mostra a cura di Paolo Bolpagni
Rovigo, Palazzo Roverella
25 Febbraio 2023 - 25 Giugno 2023

www.palazzoroverella.com

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