SCIENZA E RICERCA

Alla ricerca dei meccanismi neurali che guidano gli animali alla ricerca di cibo

L’adozione di schemi ritmici di movimento sembra essere una caratteristica chiave nei tragitti percorsi dagli animali quando si spostano alla ricerca di cibo.
Per lungo tempo gli studiosi di comportamento animale hanno analizzato le caratteristiche degli schemi di movimento che compiono individui appartenenti a diverse specie, quando sono intenti nelle attività di foraggiamento, e hanno potuto notare che studi su animali diversi hanno dato risultati simili: ovvero che diverse specie si muovono sul territorio compiendo un percorso casuale che ricorda il cammino di Lévy, che prende il nome dal matematico Paul Pierre Lévy.

Lo schema di moto casuale più famoso è quello browniano, osservato da Robert Brown nel 1827, mentre studiava le oscillazioni dei granelli di polline nell’acqua. Anche il cammino di Lévy è un processo stocastico ma, a differenza di quello browniano, è caratterizzato da tratti dritti e lunghi intervallati da alcuni movimenti brevi e circoscritti.

Il cammino di Lévy si dipana quindi in una serie di piccoli spostamenti in direzioni diverse all’interno della stessa area, seguiti da uno spostamento più lungo in linea retta, seguito a sua volta da un'altra serie di brevi tratti. Vari studi hanno dimostrato che molte specie animali si muovono seguendo questo tipo di percorso, seppure su scale dimensionali diverse, quando cercano cibo in un ambiente che non conoscono: uccelli, meduse, molluschi, pesci, mammiferi e insetti: le api, ad esempio, quando passano da un fiore all’altro, compiono una serie di brevi voli, seguiti poi da uno spostamento più lungo, per raggiungere un’area diversa, e così via.

È interessante quindi notare che, quando sono alla ricerca di cibo ma non sanno dove trovarlo, animali con complessità cerebrale diversa e differenti capacità cognitive compiono questo tipo di percorso, procedendo a caso seguendo direzioni che appaiono, dalla loro posizione, tutte equiprobabili (hanno tutte, in altre parole, la stessa probabilità di essere imboccate).
Per questo motivo è verosimile che il cammino di Lévy si sia rivelato vantaggioso, nel corso dell'evoluzione, per la sopravvivenza di molte specie.

Diversi studiosi di comportamento animale hanno monitorato le attività di foraggiamento, in ambienti poco conosciuti, di animali come squali e albatros, per confermare l’esistenza di movimenti che ricordassero il cammino di Lévy. Tuttavia, nessuno di questi studi si è rivelato davvero in grado di confermare una volta per tutte la teoria in questione.
Il limite delle osservazioni empiriche è dato dalla difficoltà di tracciare in ogni momento gli spostamenti degli animali, oltre al fatto che non è sempre facile distinguere se il loro movimento è finalizzato alla ricerca del cibo oppure no.

Un punto sul quale, però, i sostenitori della teoria sull'adozione di modelli riconducibili al cammino di Lévy negli animali non sono d’accordo, riguarda l’origine di questo comportamento. Lo scopo di uno studio, pubblicato a novembre sulla rivista eLife, era infatti proprio quello di vagliare due diverse tesi, entrambe a sostegno del cammino di Lévy nelle strategie di foraggiamento degli animali.
Le due ipotesi in questione sono quella intrinseca, secondo la quale i meccanismi alla fonte dei modelli di Lévy sono processi neurofisiologici endogeni, i quali si adattano, di conseguenza, a diverse distribuzioni del cibo nell'ambiente; e quella estrinseca, secondo la quale, invece, sono le interazioni sensoriali degli animali con l’ambiente che originano schemi di movimento riconducibili al cammino di Lévy.
In altre parole: si tratta di una strategia comportamentale frutto dell’evoluzione, oppure emerge solo quando le risorse sono disposte in un certo modo nell’ambiente?

Nessuno studio è ancora riuscito a sostenere una delle due ipotesi in modo inequivocabile, e, a monte, l'adozione di modelli di movimento riconducibili alla camminata di Lévy è una teoria oggetto di dibattito da due decenni per gli studiosi di comportamento animale. Per la prima volta, però, questo fenomeno è stato indagato dalle neuroscienze.

Tra i maggiori studiosi dell'uso del cammino di Lévy nelle attività di foraggiamento degli animali c’è poi David Sims, professore di ecologia marina all’università del Sussex, che per molti anni ha studiato i percorsi compiuti dagli squali intenti a cercare il cibo.
Nello studio pubblicato su eLife, Sims ha collaborato con Jimena Berni, una scienziata argentina dell’università del Sussex, che nel 2012 aveva svolto degli esperimenti sulla drosophila, la larva della mosca della frutta, per indagare se l’origine della strategia di foraggiamento in questione sia rintracciabile già nei suoi sistemi nervosi. Berni aveva studiato il fenomeno chiudendo i canali sensoriali della drosophila. Aveva poi osservato il suo comportamento per capire se, in assenza di informazioni dal mondo esterno, compieva comunque movimenti riconducibili al cammino di Lévy. I risultati avevano dimostrato la tesi secondo la quale l’inattivazione genetica del cervello delle larve della mosca della frutta non le abbia impedito di effettuare passeggiate di Lévy per spostarsi in cerca di cibo.

Seguendo quindi la scia dei risultati raggiunti da Berni nel 2012, lei e Sims hanno continuato gli esperimenti sul comportamento delle drosophile con i sensi disattivati, e si sono resi conto che le passeggiate di Lévy sono ancora più evidenti quando queste sono impossibilitate a ricevere stimoli dall'ambiente esterno.

Le larve di drosophila la cui elaborazione cerebrale era stata compromessa, infatti, si muovevano in cerca di cibo effettuando movimenti riconducibili al cammino Lévy. Questa osservazione contraddice l’ipotesi estrinseca che tali movimenti siano generati in risposta alla conformazione dell’ambiente e al modo in cui sono diffuse le risorse sul territorio, suggerendo, al contrario, che i movimenti siano generati spontaneamente dalle reti centrali del sistema toracico e addominali, indipendenti dagli input del sistema sensoriale.

I risultati di Berni e Sims costituiscono finora la prova più forte a sostegno dell’origine intrinseca del cammino di Lévy negli animali in cerca di cibo.

Come viene specificato nello studio in questione, d'altro canto, le tesi a sostegno dell’ipotesi estrinseca presentate finora, sono state formulate osservando animali le cui funzioni cerebrali erano intatte, per cui non era possibile distinguere con certezza i movimenti che erano effettuati come conseguenza a input sensoriali.

Il prossimo passo sarà dimostrare che questo comportamento ha un’origine evolutiva di adattamento all’ambiente. Il cammino di Lévy potrebbe essere quindi il modello di comportamento teoricamente più vantaggioso per gli animali che ricercano cibo muovendosi “alla cieca”, ovvero in condizioni in cui non ci sono informazioni utili sul territorio che possano guidare i i loro spostamenti.

Sarà anche in questa direzione che continueranno gli studi di Berni e Sims, che intendono indagare, nelle loro ricerche future, quali sono esattamente i circuiti neurali che generano un movimento alternato tra lunghi tragitti in linea retta e piccoli spostamenti.

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