SCIENZA E RICERCA

Il ruolo del cambiamento climatico nell’alluvione in Emilia-Romagna

L’indagine scientifica si occupa di individuare le cause dei fenomeni naturali. Al di fuori di ogni ragionevole dubbio, il riscaldamento globale che genera il cambiamento climatico è causato dall’uomo e in particolare dalle emissioni di gas climalteranti prodotte soprattutto dal consumo di combustibili fossili. Il dibattito scientifico su questo ha raggiunto un consenso pressoché unanime.

Nella prima metà di maggio l’Emilia-Romagna è stata colpita da piogge violente e persistenti che hanno devastato il territorio provocando frane, alluvioni, circa 50.000 sfollati e 17 decessi. Nell’ultima decina di anni gli studi di attribuzione, una branca della climatologia, hanno fatto notevoli passi avanti nel riuscire a stabilire quanto un singolo evento meteorologico estremo sia responsabilità del clima mutato o se, indipendentemente dal riscaldamento globale, si sarebbe verificato ugualmente.

La World Weather Attribution (WWA), un’associazione di scienziati nata nel 2015, negli ultimi anni ha raggiunto risultati che oggi vengono dati per consolidati. Ad esempio, è riuscita a stabilire con un buon grado di sicurezza che la probabilità associata al verificarsi della forte siccità che ha colpito il corno dell’Africa dal 2020 in poi è stata aumentata di ben due volte dal riscaldamento globale. Allo stesso modo, la WWA ha stabilito che il cambiamento climatico ha reso più intense del 30% le violente precipitazioni che si sono abbattute a febbraio di quest’anno sulla Nuova Zelanda, così come ha reso più abbondati del 50% le piogge monsoniche che hanno allagato più di un terzo del Pakistan nell’estate del 2022. Se la temperatura del pianeta non fosse stata più calda di 1,1°C rispetto all’era preindustriale, mostrano i lavori della WWA, tali eventi meteorologici estremi sarebbero stati meno intensi.

Sappiamo anche che il cambiamento climatico ha effetti diversi su diverse aree geografiche della Terra. Complessivamente, i modelli climatologici dicono che in un mondo più caldo ci aspettano in media più precipitazioni a livello globale, ma in alcune aree localizzate le piogge diminuiranno, mentre si aggraveranno siccità e ondate di calore. È questo il caso dell’area del Mediterraneo, di cui fa parte anche l’Emilia-Romagna. Qui ci si attende inoltre che le precipitazioni saranno sì di meno, ma quelle che verranno avranno un impatto che sarà amplificato da un terreno più secco e meno capace di assorbire le piogge violente.

Un gruppo internazionale di 14 scienziati della WWA dopo l’alluvione dell’Emilia-Romagna si è messo al lavoro per provare a capire se il cambiamento climatico abbia reso più probabili o più intense le perturbazioni che si sono abbattute sulla regione nella prima metà di maggio.

Sono stati considerati dati di circa 60 stazioni meteorologiche e sono state confrontate le precipitazioni cadute nei primi 21 giorni di maggio 2023 con quelle degli ultimi 60 anni almeno nello stesso periodo primaverile. Come solitamente si fa negli studi di climatologia, sono stati utilizzati modelli diversi che considerano diversi parametri e variabili (si parla di ensemble di modelli, 19 in questo caso) per compensare il grado di incertezza che i singoli modelli da soli hanno e rendere più robuste le conclusioni.

Le precipitazioni che si sono abbattute sull’Emilia-Romagna sono state valutate avere una probabilità dello 0,5% di verificarsi ogni anno: significa che sono attese 1 volta ogni 200 anni, in gergo si parla di un tempo di ritorno di 200 anni. Lo studio conferma quindi che si è trattato di un evento eccezionale, poiché sono caduti in pochi giorni quantitativi d’acqua che di solito si attendono in diversi mesi.

Tuttavia, la sua probabilità di occorrenza, secondo le simulazioni compiute dallo studio di attribuzione, non sembra variare a seconda che la temperatura globale sia più alta di 1,2°C rispetto all’era preindustriale (ovvero i livelli di riscaldamento globale che abbiamo oggi) o pari ai livelli preindustriali. I ricercatori hanno quindi concluso che per quanto riguarda le piogge della prima metà di maggio, queste non sono state rese né più probabili né più intense dal cambiamento climatico. Da un punto di vista climatologico, l’evento sarebbe una rara occorrenza che da sola non stabilisce un trend climatico.

Il lavoro è quindi in accordo con quanto già si sapeva riguardo agli effetti del cambiamento climatico sull’area mediterranea, la quale dovrà attrezzarsi ad affrontare soprattutto ondate di calore e fenomeni siccitosi più frequenti e più intensi, come quelli che nel 2022 hanno fatto raggiungere record negativi ai livelli delle acque del Po. Le piogge intense accadranno, soprattutto in periodi autunnali o invernali piuttosto che in primavera, ma non con frequenza maggiore rispetto al passato.

Lo studio della WWA è però solo una parte delle analisi che si possono fare per stabilire la responsabilità da attribuire al cambiamento climatico in un singolo evento meteorologico estremo. Lo studio infatti non è costruito per prendere in considerazione le cause fisiche e termodinamiche che hanno portato alla formazione di più di un ciclone mediterraneo e alla lunga permanenza sulla penisola italiana.

Sono stati infatti tre i distinti sistemi di perturbazione che sono arrivati dal Mar Tirreno uno dopo l’altro sull’Emilia-Romagna: uno il 2, uno il 10 e uno il 16 maggio. Lo studio di attribuzione non prende in considerazione le loro modalità di formazione, su cui non è escluso il cambiamento climatico possa aver ricoperto un ruolo. Inoltre, confronta semplicemente la quantità di pioggia caduta dal 1 al 21 maggio negli ultimi 60 anni almeno, senza considerare il numero eil tipo di eventi da cui è scaturita.

La stessa WWA ha spiegato inoltre che in realtà l’invariata probabilità e intensità delle precipitazioni estreme primaverili in Emilia-Romagna è il risultato di due tendenze contrapposte, queste però sì figlie del cambiamento climatico: se da una parte l’atmosfera più calda tende a provocare precipitazioni più violente, dall’altra il cambiamento climatico ha modificato la circolazione atmosferica in area mediterranea generando meno sistemi di bassa pressione che portano precipitazioni. Questi due fattori si compensano risultando in probabilità e intensità di precipitazioni invariate in periodo primaverile.

Il fisico del clima Antonello Pasini, ospite del programma televisivo Piazza Pulita, il 18 maggio ha spiegato in che modo il cambiamento climatico ha modificato la circolazione atmosferica nel Mediterraneo, aggiungendo che quest’alterazione può portare a prolungare la permanenza di perturbazioni violente su una medesima area.

“Il cambiamento climatico aumenta gli eventi estremi e addirittura la circolazione nel Mediterraneo. Noi eravamo abituati a primavere con l’anticiclone delle Azzorre e deboli circolazioni di origine atlantica, quindi un flusso da ovest a est, molto variabile e veloce: avevamo un giorno bello e uno brutto. Adesso il riscaldamento globale ha fatto aumentare la circolazione sud-nord e nord-sud, quindi arrivano questi anticicloni africani e quando se ne vanno arrivano le correnti fredde che hanno un contrasto termico molto importante e quindi creano precipitazioni più violente. Inoltre queste onde lunghe sono molto più lente, addirittura si fermano ed è successo esattamente questo: abbiamo avuto precipitazioni sicuramente violente, ma soprattutto persistenti per più giorni”.

Sebbene quindi il cambiamento climatico sembra non aver reso né più probabili né più intense le precipitazioni della prima metà di maggio, potrebbe aver favorito la loro persistenza sulla regione. Un suo ruolo quasi sicuramente c’è anche quando si vanno a ricercare le cause dei danni provocati dalle alluvioni. Il cambiamento climatico infatti è un fenomeno complesso e nel valutarlo occorre considerare non solo quello che avviene in atmosfera, ma anche quello che accade a terra: la vulnerabilità al cambiamento climatico (tema cui è stato dedicato un intero rapporto dell'IPCC, l'AR6WG2) infatti dipende da fattori sia naturali sia artificiali.

Uno dei fattori che incide sull’impatto delle precipitazioni è infatti la capacità di drenaggio del terreno su cui cadono. Quest’ultima è determinata sia dal consumo di suolo (più cementificato è, meno capacità drenante ha), sia dal grado di umidità del suolo. Un terreno molto secco assorbe meno acqua che invece corre in superficie. Come riporta lo stesso studio di attribuzione della WWA, “il Nord Italia è andato incontro a siccità negli ultimi due anni (…). Le pesanti precipitazioni del 2-3 maggio sono cadute su un suolo secco e impermeabile (…). Di conseguenza, il suolo si è saturato rapidamente, aumentando la corsa dell’acqua e la gravità delle alluvioni durante gli eventi successivi”.

Per quanto riguarda le cause dei danni provocati all’Emilia-Romagna quindi, lo studio attribuisce parte di responsabilità anche alla siccità provocata dal cambiamento climatico, in accordo con quanto già si sapeva sugli effetti in area mediterranea.

L’Emilia-Romagna solo nell’ultimo secolo ha dovuto far fronte a numerosi eventi alluvionali, tra cui quelli nel 1973, nel 1978, nel 1985 e, il più grave fino ad oggi, nel 1939. Nessuno però si avvicina alle conseguenze drammatiche che ha avuto quello di maggio 2023.

Sebbene la frequenza delle precipitazioni intense non dovrebbe aumentare in area mediterranea, potrebbe ugualmente aumentare la frequenza degli impatti negativi delle piogge violente se le capacità di adattamento del territorio emiliano-romagnolo, e italiano in generale, non miglioreranno: “le condizioni che hanno aggravato l’impatto di questo evento, con precipitazioni pesanti che cadono su suoli molto secchi e che generano flussi rapidi e alluvioni improvvise (tipicamente in autunno), si attende si presenteranno più di frequente in futuro” riporta lo studio.

La vera emergenza, che emergenza in realtà non è perché sarà sempre più la nuova normalità, restano però in area mediterranea la siccità e le ondate di calore, che a partire dal 2024 potrebbero esacerbarsi non solo a causa del riscaldamento globale antropico, ma anche per via di quel fenomeno climatico periodico e naturale noto come El Niño, che parte dal Pacifico tropicale e che produce conseguenze dirette e indirette su tutto il pianeta, alzando mediamente le temperature globali anche di mezzo grado: alcuni temono che il pianeta potrebbe sforare la soglia critica di 1,5°, anche se solo temporaneamente, già nel corso di questo decennio.

Il consumo di suolo è un problema non solo per le alluvioni ma anche quando si tratta di far fronte a ondate di calore, dato che il cemento lo assorbe. È quindi indispensabile investire sulla prevenzione del territorio in diverse forme, sia migliorando i sistemi di allerta e la manutenzione del territorio, inclusa quella dei corsi d'acqua e dei loro argini, sia limitando il consumo di suolo. Un rapporto Ispra indica che il 93,4% dei comuni italiani sono a rischio idrogeologico.

Sarà essenziale infine arrivare ad attuare il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che attende ancora l’approvazione definitiva e che tra le altre cose prevede una pianificazione urbana più attenta ai rischi causati da eventi meteorologici estremi, che siano precipitazioni intense o ondate di calore, ad esempio puntando su una vegetazione urbana (un tipo di nature-based solution) che sia in grado al contempo di aumentare la capacità di assorbimento del terreno e fornire maggiore copertura umbratile.

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